Finita la guerra, bisognava imparare a non andare a scuola in ciabatte

di Lucia Paciaroni*

Memorie di scuola. Contributo a una storia delle pratiche didattiche ed educative nelle scuole marchigiane attraverso le testimonianze di maestri e maestre (1945 – 1985) presenta la prima ricerca sulla scuola elementare nelle Marche nei primi quarant’anni di Repubblica (eum edizioni università di macerata, 2020). Lucia Paciaroni, studiosa di Storia della Pedagogia, ha rintracciato insegnanti e scolaresche di allora, filmando i loro racconti. Dai quali emerge il ruolo di sostegno anche materiale svolto da maestre e maestri, specie nelle zone rurali e di montagna più povere e isolate. Come si legge in questo estratto che pubblichiamo con il consenso dell’autrice che interverrà nel corso del 2022 a Urbisaglia per #siscrivedonna.

Ha scritto su Facebook Paola Ciccioli, autrice di questo scatto: «E tra le fonti di platino di questo studio di Lucia Paciaroni c’è anche la Maestra Anna Caltagirone, la mia maestra delle elementari, che all’età di 90 anni ha scritto di suo pugno la sua vita per il blog di “Donne della realtà”, diventando poi autrice del libro di carta “La Maestra. Racconti dall’Italia scalza”».

Tra le iniziative più interessanti proposte dagli ex maestri, merita di essere citata quella di Del Giudice che istituì una mensa a scuola:

Queste creature, quelli che venivano al mattino, quando andavano a casa non trovavano niente da mangiare, così come quelli che venivano la sera, non trovavano niente, perché i genitori andavano a lavorare nei campi e quindi praticamente non è che potevano stare a pensare a cucinare, allora magari avevano preso un pezzetto di pane con qualcosa. […] Allora feci in maniera tale che si istituisse una mensa. Trovai tutti contrari, l’ira di Dio, una mensa lì, non c’è una stanza, dove vai a farli mangiare! Allora io mi misi d’accordo con l’ECA, organizzai questa mensa. I banchi erano fatti con il piano inclinato, avevamo fatto un affarino di legno che quando era ora di pranzo lo tiravano su e diventava un tavolinetto. E poi, d’accordo con le famiglie, le famiglie davano il piatto, il tovagliolo, il pane, le posate. Naturalmente il bicchiere anche, se c’era, se no non faceva niente. Quando era l’ora di mangiare tiravano su questo, mettevano la tovaglietta. Un giorno arrivò uno dell’UPAI di Macerata, era il dottor Pennesi. Siccome avevo fatto questa domanda venne lì a vedere un po’ e trovò che stavano mangiando proprio nel momento. «Ma come fai?», mi disse. E io: «Guardi, visto che non c’è niente da fare, se non me lo date voi, c’ho chi me lo dà, va bene?». Il giorno dopo m’arrivò un sacco di roba, i formaggi, quelli che davano con gli aiuti americani, erano barattoli lunghi così, grossi in questa maniera con il formaggio, poi c’era una specie di nutella. […] Una specie di mortadella, sempre dentro scatole di latta. Allora, la pasta si cuoceva da una famiglia lì, la portava a 10 metri di distanza, va bene, quindi veniva bella calda, così mangiavano quelli del mattino e quelli del pomeriggio che erano arrivati. Quindi tutti avevano la loro mensa. E questo fino a quando sono stato lì è andato bene.

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«Nel mese di aprile del 1941 nacqui io!»

di Giulia Berti Lenzi

Oggi è un giorno speciale per Giulia Berti Lenzi, oggi la sua vita raggiunge il traguardo degli 80 anni e noi la festeggiamo facendo arrivare nella sua casa di Cosenza il suono delle campane di Carlazzo, bellissima località in provincia di Como, cuore geografico della storia familiare che Giulia sta scrivendo per noi. Mentre nei suoi occhi scorrono le vicende della seconda guerra mondiale e dunque la nostra Storia.

DI GIULIA IN GIULIA

La mia nonna materna si chiamava Giulia, come me. Dovrei dire, più correttamente, io mi chiamo come la mia nonna! Era piccolina, molto carina. Era nata nel 1885. Giovanissima aveva sposato un giovane dell’alta borghesia milanese di allora, fratello direttore di una banca importante e cugino di un ministro della prima Repubblica italiana. Il mio nonno diventò un grosso industriale della seta, il suo cognome ancora oggi è ricordato tra Milano, Como e Torino, sì Torino, dove aveva impiantato una seteria, oltre a quelle di Como. Nonna Giulia Ostinelli Dell’Acqua e nonno Giuseppe Del Bo ebbero 11 figli. Quattro morirono piccoli, ne rimasero sette. La mia mamma, Lisetta, era la seconda.

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«Sentivamo le urla delle madri, sorelle, fidanzate dei ragazzi portati in Germania»

di Edda Moretti

Arriva il fascismo e, letteralmente, l’oro si trasforma in ferraglia. La spoliazione dei poveri, le bombe a mano nei vicoli di un paese marchigiano, la censura, i rastrellamenti: una bambina di allora ha lasciato a Urbisaglia questa eredità.

Edda Moretti (Urbisaglia, MC, 25 agosto 1930 – Macerata, 26 marzo 2017). «Da tempo desideravo scrivere qualcosa sulla seconda guerra mondiale e scrissi questo qualcosa nel 1998. Poi lo lasciai chiuso in un cassetto, mi vergognavo a farlo leggere a chicchessia, perché avevo paura di non esprimermi bene dato il mio titolo di studio di quinta elementare». Anni dopo, durante gli incontri per il progetto “Radici” di Paola Ciccioli, Edda ha consegnano il suo scritto alla giornalista che ora ne presenta qui la parte iniziale, d’accordo con Riccardo Pagnanelli, figlio della signora Moretti. (Foto di Francesco Cianciotta in una fotoriproduzione di Paola Ciccioli)

Presento la mia famiglia: babbo spazzino nel senso più spregevole della parola in quel periodo; mamma filandaia, noi sei figli, cinque femmine ed un maschio. Io la più piccola, troppo piccola per capire la tragedia di una guerra, troppo piccola per subire ogni sorta di privazioni.

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L’amore al tempo delle bombe

di Giulia Berti Lenzi

Una storia familiare che è anche la nostra Storia. Dopo “Da Giulia a Giulia“, il racconto continua.

“Lisetta”, la mamma di Giulia Berti Lenzi in una fotoriproduzione della stessa autrice del post

Durante quel mese di manovre militari a Carlazzo, mio padre conobbe la mia mamma. Se ne invaghì e la corteggiò. Anche a mamma piacque subito il giovane tenente e accettò di passeggiare con lui, sempre scortata dalla sorella maggiore! Si fidanzarono ufficialmente e dopo qualche mese si sposarono. Andarono a vivere a Roma, dove papà era stato chiamato in servizio e dove risiedevano i suoi genitori. Qualche mese dopo mamma rimase incinta di me e, quasi contemporaneamente, papà dovette lasciarla per partecipare alla campagna di Grecia e Albania. Nonna Giulia e nonno Giuseppe la vollero a Torino e la mandarono a prendere. Nel mese di aprile del 1941 nacqui io!

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Il mondo com’era nel diario di Luciana Castellina

a cura e con foto di Paola Ciccioli

Certo che i libri ci hanno sostenuto durante la fase più rigida della nostra quarantena: su Facebook e qui sul blog, i due canali che abbiamo usato di più, c’è stato tra noi uno scambio intensissimo. Tra le letture più belle che ho fatto io in queste settimane c’è La scoperta del mondo di Luciana Castellina (Nottetempo 2011), un racconto appassionante basato sulle pagine del diario che la futura dissidente del PCI e tra i fondatori del Manifesto inizia a 14 anni in coincidenza con una data decisiva per la Storia d’Italia: il 25 luglio 1943. Quel pomeriggio, a Riccione, l’adolescente Luciana stava giocando a tennis con Anna Maria Mussolini quando la figlia del dittatore fu portata via dalla guardia del corpo perché il Duce era stato arrestato. Il libro ha accompagnato me e chi ci segue sui social tra i giorni precedenti il 25 aprile e quelli successivi al 1° maggio 2020, due ricorrenze che abbiamo celebrato sentendoci comunque vicine/i sulla sconfinata piazza del web.

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“Amore mio nostalgico e lontano, tu vieni alla baracca piano piano”

di Paola Ciccioli

“Signorinella pallida

Amore mio nostalgico e lontano

Tutte le notti in nuvole di sogno

Tu vieni alla baracca piano, piano

Ho messo un fiore sul tavolo

E la stanzetta ha l’aria di una sala

L’anima si addormenta e si riposa

Domani andremo ancora a picco e pala

Oh, dolce amore

T’invoco sempre mentre passan le ore

(…)”

Per la giornata mondiale della poesia, che coincide con il primo giorno di primavera, ho scelto questi versi scritti da anonimi soldati italiani in una baracca del campo di lavoro nazista di Linz, in Austria. Il testo completo è pubblicato nel libro “Diario di guerra e di prigionia, 1941 – 1945” di Pierino Mucci, soldato maceratese che nel dicembre del 1940 venne inviato in Albania con la 62ª Sezione Ambulanze. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Mucci si rifiuta, come scrive lo storico Mario Avagliano nell’introduzione, «di continuare a combattere al fianco dei tedeschi o per il fascismo ricostituito sotto forma di Repubblica Sociale Italiana», diventando così uno degli oltre 600 mila Internati Militari Italiani (IMI) rinchiusi nei lager e nei campi di lavoro coatto del Terzo Reich.

I suoi diari sono stati custoditi dai figli Mario, Matilde e Domenico Mucci e pubblicati nel 2017 da Marlin Editore.

Il consueto grazie a Luca Bartolommei per la collaborazione e per le riprese con il cellulare.

“Pane nero”, le nostre letture dalla terrazza sul lago di Como

di Paola Ciccioli*

Pane nero, oggi dalla terrazza di Bellano, sul lago di Como e di fronte al monte Bregagno, ci siamo affidat* alle parole della maestra di giornalismo Miriam Mafai. Che ha scritto questo libro, a mio giudizio bellissimo, denso di storie delle donne che durante la seconda guerra mondiale presero l’Italia sulle proprie spalle, facendosi forza anche con la musica e le canzoni per poi dire, una volta arrivata la pace: «… però, in fondo, è stato bello».

*Questo video è stato anticipato in giornata sui nostri canali Facebook e rientra nell’iniziativa sfogliare collettivamente ogni giorno un libro alle persone costrette in casa su disposizione del Governo italiano a causa della drammatica epidemia da Corona Virus in corso.

Grazie come sempre a Luca Bartolommei per le riprese con il cellulare.

Il sacrificio di Martha, il solo perdonato dalla Torah

di Lucio Pardo*

Nello schermo luminoso, il ritratto di Marta Kold Kleiman della quale si racconta l’estrema scelta di coraggio nel libro “Dopo la barbarie, Il difficile rientro”, curato da Lucio Pardo e Carolina Delburgo ed edito in collaborazione con l’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e la Comunità ebraica di Bologna. Il volume è stato distribuito lunedì 27 gennaio 2020 ai partecipanti all’incontro per la XX Giornata della Memoria svoltosi nella Cappella Estense del Palazzo d’Accursio, sede del Comune del capoluogo emiliano. (La foto è di Paola Ciccioli)

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Cantiamo il tuo cuore, città

 

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A Mammina e a chi deve affrontare “prove estreme”

Tra le testimonianze più forti e toccanti che abbiamo pubblicato nel nostro blog, c’è senz’altro quella di Mammina, Teresita Fantacone, violentata dai “goumiers” del Corpo di spedizione francese durante la seconda guerra mondiale a Esperia, in provincia di Frosinone. Soltanto in tarda età Mammina ha confidato il suo devastante segreto alla figlia Maria Luisa Marolda, chiamata in famiglia Zezè, che ci ha fatto l’onore di affidarci questo capitolo della storia personale e collettiva:

«Quando io avevo già superato i quarant’anni e lei gli ottanta, in uno di quei dolci discorsi dell’età avanzata più propensi alla confidenza, accertandosi che i nipoti tanto amati non fossero presenti, mi parlò per la prima volta del “fatto dei marocchini”. Non solo lei, ma tutti in famiglia con me avevano taciuto. Ricordo la sua voce decisa che si incrinava, mentre io, allibita, fissavo la sua pelle trasparente che non sembrava scalfita dall’evento oltraggioso subìto».

Di seguito pubblichiamo il commento di Carla Bielli, da sempre amica di Maria Luisa-Zezè. Entrambe animano il gruppo di lettura “Il vizio di leggere” del Centro anziani Monte Sacro di Roma. E proprio a Roma, in una domenica speciale di confidenze, tavola, brindisi, fiori, note e progetti, si è parlato di libri: da scrivere e da commentare… Non perdetevi il prossimo post. (Paola Ciccioli)

Teresita Fantacone, in famiglia “Mammina”, giovane e bellissima in un ritratto che proviene dall’archivio privato della figlia Maria Luisa Marolda

di Carla Bielli

Di questo racconto mi ha colpito soprattutto la forza di questa giovane e bellissima Mammina, unica capobranco della sua famiglia. Figli maschi e una ragazzina adolescenti, affamati e in pericolo costante di essere catturati e schiavizzati, una bambina piccolissima. Signorina di buona famiglia diventa abile a correre e saltellare sui sassi come e più delle contadine. Eppoi la prova estrema, trascinata nei cespugli da dove esce fuori e, stravolta e discinta, trova la forza di dare istruzioni utili al figlio grande: «zitto figlio, zitto». Ma questa forza la trasmetterà alle figlie ritratte bellissime nei giorni dei loro matrimoni, famiglie ricche di figli e nel caso di Zezè, anche di innumerevoli nipotini. Mi sembra che Mammina, nonostante la mortificazione alla sua splendida femminilità, abbia salvaguardato appieno i suoi progetti di donna e di madre e li abbia trasmessi alle proprie figlie. E d’altra parte chissà quante testimonianze di questo tipo potrebbero essere raccolte oggi tra “le madri coraggio” nei campi profughi o tra coloro che stanno fuggendo da morte sicura rischiando una morte molto probabile.

«Quando tornai, la mia famiglia era riunita attorno al tavolo a pregare»

di Anna Caltagirone Antinori

«Era l’8 dicembre, la mia famiglia era riunita attorno al tavolo e recitava le preghiere della novena alla Madonna Immacolata per implorare il nostro ritorno». Queste parole di Anna Caltagirone ci hanno spinto a scegliere, per la seconda parte del suo racconto, l’immagine della Madonna della Basilica di San Francesco d’Assisi, a Palermo, alla quale la sua città di origine è sempre devotissima (https://www.comune.palermo.it/noticext.php?id=16492)

È il 1943 e una ragazza  palermitana di 16 anni cerca una via d’uscita alla guerra e alla fame raggiungendo, da sola, il fratello nelle Marche. Ecco: questa non è la Storia che si studia sui libri ma la testimonianza, scritta al computer per noi, di una donna di novant’anni che trascorre le proprie giornate a leggere, studiare, ricordare. Di seguito la seconda parte del suo emozionante racconto. Grazie, signora Anna. Auguri a lei e tutt* noi per un 2018 di serenità e soddisfazioni!

L’estate passò in fretta, molti eventi si susseguirono portando nel paese e nelle famiglie cambiamenti che sconvolsero la vita di tutti: la caduta del fascismo, lo sbarco degli alleati in Sicilia, l’armistizio dell’8 settembre. Mi toccavano particolarmente perché non potevo più comunicare con la famiglia in Sicilia e in settembre, con l’armistizio, i militari dovettero decidere se collaborare o darsi alla macchia. Nei mesi di luglio e agosto avevo avuto modo di conoscere la fidanzata di mio fratello e la sua famiglia, bravissime persone che si offrirono di ospitarmi a Macerata mentre mio fratello si univa ai partigiani tra le montagne di Acquaviva Picena. Lino, pur stando lontano, mi seguiva affettuosamente e provvedeva alle mie necessità.

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Il pane, la pasta e la tessera annonaria

di Anna Caltagirone Antinori*

Aspettando di lasciare andar via anche quest’anno, passiamo la parola alla più grande delle nostre autrici che – infiniti auguri – di anni ne ha superati 90. Per il sito www.donnedellarealta.it, in Rete da pochi giorni per presentare i principali progetti dell’Associazione Donne della realtà, una sua foto da ragazza ci fa entrare, con interesse ed emozione, nel capitolo della nostra storia collettiva chiamato “guerra”. Di seguito la prima parte della nuova testimonianza, la signora Anna ce l’ha inviata con il titolo “Per la tessera annonaria”.

Salutiamo Anna Caltagirone con un dipinto (anche lei dipinge…) di Francesco Lojacono, “Veduta di Palermo” (1875). Un omaggio alle sue origini, alla città Capitale italiana della cultura 2018 e a quel mare, giù in fondo, che è sempre nei suoi ricordi (https://www.youtube.com/watch?v=u56-biqBc-E)

Nell’aprile del 1943 avevo 16 anni e frequentavo a Palermo il penultimo anno presso l’istituto magistrale Regina Margherita. A scuola andavo bene e con una buona media dei voti, ogni anno ottenevo come orfana di ferroviere, una borsa di studio dalle Ferrovie dello Stato, che mi permetteva di andare avanti senza difficoltà.

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Lo stupro e la vergogna: una doppia violenza sulle donne di Esperia

di Maria Luisa Marolda *

Maria Luisa Marolda il giorno del suo matrimonio con Giampaolo Canella celebrato il 7 luglio 1967 nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma. Sua madre Teresita Fantacone, chiamata Mammina, le dà un amorevole buffetto

Mia madre visse una lunga vita. Nacque e morì ad Esperia (in provincia di Frosinone) a 94 anni, e pure lì accadde il fatto centrale della sua esistenza, forse il più devastante, durante quella che viene chiamata “battaglia di Esperia” da chi conosce bene questa fase della seconda guerra mondiale”. Terza e ultima parte dell’eccezionale racconto che Maria Luisa Marolda ci ha generosamente affidato con il titolo Un’altra “livella”: lo stupro di guerra sui monti Aurunci.

Nella notte tra l’11 e il12 maggio gli abitanti sui monti, spettatori di un terrificante bombardamento alleato dalla parte del Garigliano, capirono che si era giunti ad una fase decisiva della guerra. Infatti la marea marocchina, guidata dal generale Guillaume, sbaragliati i tedeschi, occupò Spigno e risalito facilmente il monte Petrella, raggiungeva proprio l’altipiano di Polleca. Un altro contingente, aggirando le postazioni tedesche verso Pontecorvo, occupava Sant’Oliva, isolando Esperia e quanti vi erano rimasti. Il 15 maggio Esperia venne occupata dagli alleati. Il fronte era sfondato ed aperte le strade verso Roma. Nello stesso giorno, alle cinque del pomeriggio, vi fu il primo incontro con la fanteria marocchina. Le truppe francesi, annunciate genericamente come “americani”, apparvero a Gigi, in esplorazione, assai diverse: «Sono tutti neri e parlano francese», riferì stranito. (Il libro di Esperia, p.173). In contemporanea, si verificavano passaggi cruenti di piccoli gruppi di tedeschi in fuga. Anche aerei tedeschi cominciarono a bombardare le linee alleate sull’altopiano. Continua a leggere

«Le cose e gli esseri umani diventarono un immenso bottino di guerra per quelle furie scatenate»

di Maria Luisa Marolda

Maria Luisa Marolda, al centro, a La Spezia nel 1956, il giorno del matrimonio della sorella Anna Rosa. Anche questa foto, come quelle pubblicate nella prima parte del racconto, proviene dall’archivio privato della scrittrice romana e ci dà la possibilità di conoscere i volti dei protagonisti di questa sua straordinaria testimonianza. Con lei c’è il padre, il generale Alberto Marolda, in divisa, che le tiene una mano sulla spalla. E c’è naturalmente Teresita Fantacone, in famiglia chiamata Mammina, appoggiata sulla spalla dell’amatissimo consorte. Accovacciato, anche lui in divisa, il fratello Massimo Marolda, autore del testo di memorialistica “Il libro di Esperia”

Una grande famiglia, la seconda guerra mondiale, la “battaglia di Esperia”, i goumiers. E una madre che ha vissuto una lunga vita, nascondendo dentro di sé «il fatto centrale della sua esistenza, forse il più devastante». Di seguito la seconda parte del toccante racconto che Maria Luisa Marolda ci ha affidato con il titolo: Un’altra “livella”: lo stupro di guerra sui monti Aurunci.

Il 30 settembre del ’43, quando l’illusione di sicurezza e l’esultanza per l’armistizio venne meno col primo bombardamento alleato su Esperia, io avevo da poco compiuto un anno. Intanto una autocolonna tedesca aveva già occupato il paese e la popolazione dette il suo primo tributo di morti. Esperia si trovò, fino alla sanguinosa primavera del ’44, schiacciata tra le due forze in campo. Cosa poteva percepire una bambina così piccola di tutto quel frastuono e poi, da allora, del frequente correre, gridare, agitarsi, tenuta in braccio per non perderla di vista da mamma o fratello grande?

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La guerra di Mammina e il suo devastante segreto sui “goumiers”

di Maria Luisa Marolda

Le due magnifiche foto che pubblichiamo provengono dall’archivio privato di Maria Luisa Marolda e ritraggono sua madre Teresita Fantacone, detta “Mammina”, vittima di uno degli episodi più orrendi di cui furono protagonisti i “goumiers” del Corpo di spezione francese durante la seconda guerra mondiale (https://www.youtube.com/watch?v=bO2RoB0quzs)

Un racconto eccezionale, e di eccezionale intensità, che la scrittrice romana Maria Luisa Marolda ci ha amorevolgente affidato con questo titolo: Un’altra “livella”: lo stupro di guerra sui monti Aurunci. Questa è la prima parte.

Mia madre visse una lunga vita. Nacque e morì ad Esperia (in provincia di Frosinone) a 94 anni, e pure lì accadde il fatto centrale della sua esistenza, forse il più devastante, durante quella che viene chiamata “battaglia di Esperia” da chi conosce bene questa fase della seconda guerra mondiale. E se questo può apparire normale in un’esistenza senza grossi cambiamenti, non lo fu per lei, moglie allora di un Tenente colonnello della Regia Marina, che già si era trasferita con la famiglia in varie città portuali: Brindisi, Livorno, Ancona, dove ero nata io, e da dove eravamo venuti via, nella primavera del ’43, con il coinvolgimento dell’Italia nella guerra.

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