di Miriam Mafai

«Au moins 129 personnes ont perdu la vie après les attentats du vendredi 13 novembre à Paris et Saint-Denis. 117 d’entre elles ont été identifiées a annoncé Christiane Taubira, mardi 17 novembre». http://www.lemonde.fr
Luciana che partorisce in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l’Abruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare; Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera; Zita, la mondina di Cavriago che ha il fratello partigiano e il fidanzato nell’esercito repubblichino; e ancora la confinata Cesira, Lela che comanda le ausiliarie di Salò nel Veneto; Carla che durante tutta la guerra fa la postina aspettando il ritorno del marito; Lucia che impara a guidare il tram a Milano e il marito non lo aspetta più, la Biki che continua imperterrita a preparare le sue collezioni di abiti da sera…; queste e tante altre sono le donne che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui a un certo punto ho avuto voglia di scrivere la storia.
Alla fine non ho scritto la storia di una soltanto di loro, benché per ognuna ce ne fosse abbondante materia e possibilità. Ho tentato invece di scrivere la storia di tutte queste donne insieme, attraverso gli anni che vanno dal 1940 al 1945: gli anni cioè del secondo conflitto mondiale.
Mi aveva sempre colpito il fatto che, parlando di quel periodo, Carla e Lucia, Marisa e Luciana, Lela e Cesira dicessero a un cero punto, come sovrappensiero: «… però, in fondo, è stato bello».
Un’affermazione curiosa, imprevedibile, se si pensa che gli avvenimenti ai quali si riferivano sono stati certamente tra i più tra i più tragici della nostra storia e della loro vita. Quell’affermazione doveva essere precisata e chiarita.
«… però, è stato bello»: forse perché tra le difficoltà e le tensioni della vita quotidiana, ognuna di loro – anzi potrei dire ognuna di noi – dovette imparare in quegli anni a decidere da sola, senza l’aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati, «… però, è stato bello»: forse perché ognuna di noi divenne, nel pericolo e nella miseria, più padrona di se stessa.
Federico il Grande diceva: «Se anche dobbiamo lottare con tutta l’Europa possiamo proteggere i nostri confini così che il pacifico borghese può tranquillo e indisturbato a casa sua non sapere che il suo paese si batte, se non leggendolo nei resoconti di guerra». Non è più così. Già la guerra del 1914-1918 coinvolge in molti paesi le popolazioni. Ma la guerra del 1940-1945, quella di cui parliamo, ci entra in casa e trasforma città e villaggi in campo di battaglia.
Quando farà i conti l’Italia scoprirà che ha avuto un numero di morti civili di poco inferiore a quelli dei caduti in combattimento.

«Les photographes de “M” sont dans les rues de la capitale et racontent le Paris d’après les attaques. Leur travail est diffusé en direct sur Instagram : @m_magazine».
http://www.lemonde.fr
* Luca ed io abbiamo i nostri occhi fissi sullo schermo del mio computer. È notte fonda – quella tra il 13 e 14 novembre – ma non riusciamo a smettere di vagare da un sito all’altro per partecipare a quanto in quegli istanti sta succedendo a Parigi: la città invasa dalla morte portata da un’inedita guerra mentre ragazze e ragazzi mescolano destini, interessi, ambizioni e lingue, abbandonandosi al piacere della vita. «L’amore ai tempi della guerra», commenta Luca. E a me torna in mente questo brano di “Pane nero” (l’ho già segnalato sul blog) perché è con lo stesso stupore descritto da Miriam Mafai nel suo libro che ora Parigi e l’Europa stanno facendo i conti: con la nostra forza, gioia, ostinazione a capire e vivere.
Grazie, Paola. Ne abbiamo bisogno e salvare queste forze in noi è una precisa scelta politica.
Abbracci, angela
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Io oggi sono in crisi e mi sento inutile come artista, perchè a quanto pare ormai è assodato che l’arte non influenza la vita mentre le bombe, gli omicidi, la guerra lo fanno. Cosa posso creare più se niente di quello che faccio ha un peso sulla società? Solo la guerra sembra avere questo potere.
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