Testimonianza raccolta da Paola Ciccioli

«Le dipendenze tecnologiche, da internet e smartphone, sono le malattie mentali destinate ad essere le più diffuse del prossimo decennio a livello mondiale stando al report del XVIII Congresso Mondiale di Psichiatria dinamica che si è tenuto a Firenze» (http://www.ansa.it/)
Ho quarantaquattro anni, una bella famiglia e un lavoro che mi dà soddisfazione.
E fin qui tutto perfetto. Ma mi porto dentro da sempre un senso di solitudine che fino ad ora non sono riuscita a colmare, mai definitivamente. Sono divorziata e la mia famiglia sono i miei numerosi fratelli, i nipoti e gli amici.
Ho iniziato a usare Facebook a fine 2008 per promuovere un gruppo femminile che si occupa di sport e di solidarietà e per qualche anno è stato solo un mezzo utile e divertente. Internet mi ha sempre affascinato per la potenza di comunicazione che ha in sé e per il numero di persone che puoi raggiungere.
Tanto facile da usare, quanto facile lasciarsi prendere la mano. Sembra impossibile, ma il confine tra utilizzare uno strumento e diventarne schiavo è veramente sottile e a un certo punto ti accorgi di averne bisogno e che è difficile farne a meno. Credo che sia una specie di dipendenza.
Posso identificare con certezza il momento in cui sono stata fagocitata nel vortice della Rete, è stato nel 2010, quando ho perso mia madre. A quel punto collegarsi, e incontrare virtualmente delle persone, mi faceva sentire meglio e il peso della solitudine e della tristezza scomparivano per il tempo in cui restavo in contatto con quel mondo.
Mi sono sentita sempre più coinvolta, tanto da creare dei contatti con persone mai viste dal vivo, ma che mi piacevano e mi ispiravano simpatia e che alla fine mi sembra di conoscere veramente.
Mi collegavo in ogni momento libero, pensavo a cose da scrivere, foto da pubblicare, ogni mezzo per creare interesse intorno al mio profilo e attirare l’attenzione dei miei contatti. La sensazione di sentire le persone vicine, parte della mia vita, mi dava lo stimolo a continuare e a fare sempre di più.
Tutto ha funzionato bene fino a quando mi sono resa conto di aver varcato una linea e di aver perso il controllo. Passavo da due a quattro, cinque ore al giorno collegata a Facebook, trascurando tantissimi aspetti della mia vita reale. La cosa peggiore è che ho creato un’immagine distorta di me stessa, non mostro come sono veramente, ma enfatizzo i lati che si dimostrano più interessanti e che attirano maggiormente l’attenzione del mio pubblico.
Circa un mese fa, a una festa, ho conosciuto un uomo e dopo aver chiacchierato insieme per un paio d’ore, lui mi ha chiesto se utilizzavo qualche social network, «per avere la possibilità di restare in contatto», così mi disse. Quella richiesta mi è sembrata talmente assurda, soprattutto perché veniva da un over quaranta e gli ho risposto che non ero connessa ad alcun social network e che pensavo che i modi migliori per frequentare le persone fossero ancora un sano incontro o una telefonata. Da quel momento ho iniziato a pensare a quanto fosse stupida la mia sete di “amicizie virtuali” e ho deciso di iniziare un processo di disintossicazione da facebook. Mi sono data delle regole, dei tempi massimi di connessione, una linea degli argomenti da trattare, ho ripulito la lista dalle amicizie, eliminando le persone mai viste o con cui non ero interessata a mantenere i contatti, ma soprattutto mi sono imposta di mostrare la vera me stessa.
Ci sono momenti in cui la mia auto-terapia funziona e altri momenti in cui ricado nella Rete, ma sono sicura che alla fine vincerò questa piccola guerra. Nella vita non sono mai riuscita ad ottenere nulla facilmente e per questo ho sviluppato una forte determinazione, in questo somiglio molto a mia madre.
AGGIORNATO IL 22 AGOSTO 2017
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