Le frecce all’arco del sessismo

di Roberta Valtorta

La Fiamma Azzurra Claudia Mandia, 24 anni, salernitana, in una foto da Facebook

Serate di grande atletica a Londra, tenniste che scivolano sul doping in Italia, i migliori arcieri del mondo in gara a Berlino fino a domenica. Tiro con l’arco? Già, giusto un anno fa…

Il 7 agosto 2016 le arciere azzurre Guendalina Sartori, Lucilla Boari e Claudia Mandia hanno concluso la gara femminile a squadre ai Giochi Olimpici di Rio con il quarto posto: «il miglior risultato del tiro con l’arco italiano nella storia dei Giochi Olimpici»[1].

Continua a leggere

Fratelli al galoppo

di Laura e Luca Bartolommei

Mia sorella Laura mi ha inviato una email e un’immagine dopo aver letto il mio post su “Luci a San Siro“. Ho risposto ai suoi ricordi con altrettanti ricordi, sbucati improvvisamente e inaspettatamente dalla memoria, o forse dalla curva di fondo, al galoppo.

“San Siro” opera di Renato Vernizzi, (Parma 1904 – Milano 1972). Spiega Laura Bartolommei: «L’autore è stato uno dei protagonisti di quella tendenza espressiva che venne definita “chiarismo”. Il quadro ritrae un esile cavallo ed il suo fantino che rientrano al passo nelle scuderie, un senso di pace e di tranquillità li accompagna, dopo la fatica fisica e nervosa dell’allenamento mattutino. Poche pennellate staccano i due dal fondo chiaro della strada, del cielo e dei muri privi di spessore delle due casette, sul bianco risalta il verde delle chiome degli alberi, l’azzurro tenue delle persiane, il rosso della cancellata, il nero dei tronchi alti e sottili che fanno da quinta alla scena principale»

Complimenti per il pezzo su San Siro, bellissimo, mi ha commosso.

Continua a leggere

Cicliste all’Isola (con stile vario)

Testo e foto di Luca Bartolommei

Il murales all’uscita della metropolitana che colora la zona del quartiere di fronte al giardino condiviso “Isola Pepe Verde” di Milano dove, il 16 settembre 2017, si terrà “Ero straniero… ora sono milanese”, pomeriggio di cultura meticcia con la musica della Banda Dehors e molto altro (https://allevents.in/milan/ero-straniero-ora-sono-milanese/1814793451881225#)

Ogni canzone milanese deve essere crudele e sbarazzina, recita l’incipit de La “Gagarella” del Biffi Scala, composta dalla coppia simbolo della musica meneghina Giovanni D’Anzi – Alfredo Bracchi, di cui ho parlato ieri. Attraverso un brano, quindi, si possono prendere in giro usi, costumi e personaggi della nostra città con ironia tutta ambrosiana.
Proverò ad adeguarmi all’invito dei due maestri, non scrivendo rime e note ma soltanto un breve testo nato ascoltando, ma anche suonando, questa canzone che tanto mi piace e che mi dà l’opportunità di usare la mia lingua madre, il milanese.

Continua a leggere

La scoperta dell’America

di Marco Gigli

margherita-1

Ecco il Gran Canyon che ha riempito di occhi di Marco Gigli, 13 anni-dicasi 13, alunno di terza media ad Ancona. In questo tema, ovviamente premiato con un tondo 10, Marco ha raccontato lo stupore della sua prima volta negli States la scorsa estate, in un viaggio avventuroso con papà Stefano, mamma Margherita (intesa come la giornalista Margherita Rinaldi) e la sorella maggiore Giulia. Le foto del post sono quelle della famiglia Gigli-Rinaldi

La California ci ha accolto calorosamente: con un bell’incendio. Durante le mie vacanze estive ho viaggiato nel sud-ovest degli Stati Uniti: Arizona, Nevada e California. La mia meta californiana era Los Angeles. Io e la mia famiglia ci volevamo arrivare con la macchina che avevamo noleggiato, percorrendo la Highway 15 e un pezzettino della Route 66, che collega Chicago a Los Angeles, cioè l’est degli Stati Uniti all’ovest. C’eravamo quasi, eravamo vicini a San Bernardino, quando mio padre dice: «Ragazzi laggiù c’è un incendio». Così abbiamo conosciuto anche i famosi incendi della California (per fortuna non i famosi terremoti, ma purtroppo il terremoto ci aspettava in Italia). Siamo finiti quasi in mezzo a uno dei più grandi incendi: 35 mila evacuati, abbiamo sentito il giorno dopo dal telegiornale. Nel giro di pochi minuti è scomparso il sole, coperto da una nube nera di fumo. Una macchina della polizia ha fatto da safety car in autostrada, ma mio padre ha subito capito che ci saremmo trovati incastrati in una coda chilometrica, così abbiamo cambiato strada, però in quella che abbiamo scelto c’erano un po’ troppe buche, allora abbiamo deciso: facciamo una sosta per il pranzo e facciamo il punto della situazione davanti alla cartina (e a un bel chili messicano).

Continua a leggere

Nipotina mia carissima, lo sai che quando ero giovane in Italia non c’erano prefette, ambasciatrici e magistrate?

di Rosa Oliva*

rosanna-tagliata

Rosanna Oliva in una foto scattata il 10 settembre, giorno del suo compleanno.

Vorrei tanto che mia nipote e le sue coetanee crescessero in un Paese dove le donne fossero liberate dalla necessità di scegliere tra lavoro e famiglia, tra avere figli e fare carriera.

Cara Irene,

hai nove anni e presto ti parlerò di questa mia lettera che leggerai tra qualche tempo.

Una sera ti dirò del compito che ti voglio affidare per quando tu sarai una donna e io non ci sarò più. Devo trovare l’occasione giusta, magari uno di quei momenti felici in cui stai per addormentarti ed io accanto a te ascolto le tue domande difficili: “Nonna, ci credi in Dio?”, “Nonna, oggi ho sentito una parolaccia” e non hai il coraggio di dirmi quale, poi la pronunci sottovoce per conoscerne il significato, che io ti spiego, dicendoti che sì, le parolacce sono una cosa brutta e vanno evitate.

Continua a leggere

Lo sguardo di un’appassionata d’arte sulle città colorate di Domenico David

Testo e foto di Laura Bartolommei*

Laura, foto 3

Il Colosseo di Domenico David

“Ceci n’est pas…”: il titolo della personale di Domenico David alla Galleria d’arte San Barnaba di Milano rimanda alla celebre serie di quadri di René Magritte Ceci n’est pas une pipe, manifesto della decontestualizzazione dell’opera d’arte, della messa in discussione dell’illusionismo pittorico.

Così Domenico David, mentre si avvicina maggiormente, rispetto ai suoi lavori precedenti, ad una rappresentazione mimetica del reale (i protagonisti delle tele sono immediatamente riconoscibili in quanto monumenti simbolo delle nostre città), vuole avvertire lo spettatore: “questa non è la realtà”.

Continua a leggere

La mia “altra vita possibile” nell’ecovillaggio di Suderbyn, in Svezia

di Giada Sofia Conti

Giada, Gruppo al mare

I volontari dell’ecovillaggio di Suderbyn “in esplorazione” del mar Baltico. Tutte le immagini di questo servizio sono state scattate dai compagni di viaggio di Giada

Vivo i miei 25 anni come una fase di studio per compiere una scelta.
A marzo mi sono laureata in Psicologia e dal primo settembre comincerò a lavorare a tempo pieno nell’ufficio dove ho trascorso gli ultimi 4 anni tra attività di volontariato e contratti a progetto.
Mi sento fortunata ma allo stesso tempo sento di dovermi impegnare ancora molto per scegliere una strada che rispecchi la mia indole e i miei interessi, contrastando così il forte rischio di vivere una vita che non mi soddisfi.

Continua a leggere

Il calcio italiano è fuori dal mondo: “maschi ignoranti”, direttori di giornali “datati” e “figlie di” (magari intelligenti)

di Andrea Colombo*

carolina_morace_canada

Carolina Morace lavora attualmente a Perth, in Australia. «Eterna campionessa in campo e fuori. È a capo di una Female Football Academy e insegna il gioco del calcio, lei lo conosce bene. Le sue bambine hanno dai 9 anni in su, e questo inedito progetto sta avendo un enorme successo»: dal sito http://www.gianlucadimarzio.com

Carolina Morace ha ricoperto molti ruoli nel mondo del calcio: prima giocatrice ad altissimi livelli, poi allenatrice di club maschili e femminili e commissaria tecnica, infine commentatrice tecnica e opinionista.

– Lei ha iniziato nel settore femminile giocando per circa 20 anni in giro per l’Italia e anche per la Nazionale: com’è percepito il calcio femminile rispetto al più seguito calcio maschile?

«Il mondo femminile in Italia, sia a livello sportivo che lavorativo, è molto indietro rispetto alla maggior parte dei Paesi europei e Oltreoceano. In Italia una atleta viene prima giudicata in base alla sua “bellezza” dopo in base alle sue capacità, probabilmente perché la maggior parte dei direttori in campo giornalistico sono uomini e, purtroppo, quasi mai giovani ma spesso “datati”, come età e come mentalità».

– Non le hanno mai consigliato di dedicarsi alla danza o alla ginnastica artistica come “tutte le bambine” ?

«No, le mie capacità calcistiche erano troppo evidenti».

– Nel 2012 Zlatan Ibrahimovic, dopo una partita del Milan, attaccò la giornalista Vera Spadini dicendo: «Vai a casa a cucinare!». Nel dicembre 2013 Gennaro Gattuso, dopo una domanda su Barbara Berlusconi, dichiarò: «Le donne nel calcio non le vedo bene». Queste dichiarazioni rispecchiano la realtà?

«Si, rivelano la non cultura nel calcio. Riporto una frase del compianto Boskov: “Testa di giocatore di calcio è buona solo per mettere cappello”. Ovviamente ci sono anche le eccezioni. Ad esempio quando ho fatto i corsi a Coverciano per il conseguimento di vari patentini di allenatrice sono sempre stata rispettata dai compagni, ex calciatori di grande livello. So di essere molto stimata nell’ambiente del calcio maschile, anche da Gattuso». Continua a leggere

Carolina Morace: «Tavecchio è lo stereotipo dell’italiano approssimativo, scelto per il posto sbagliato»

di Paola Ciccioli

Carolina Morace: è stata giocatrice ad altissimi livelli, allenatrice di club maschili e femminili, commissaria tecnica e commentatrice sportiva

Carolina Morace: è stata giocatrice ad altissimi livelli, allenatrice di club maschili e femminili, commissaria tecnica e commentatrice sportiva

Cominciamo dalla fine. Andrea Colombo, studente all’università Bicocca, per superare la seconda prova dell’esame di Psicologia delle influenze sociali concorda con me un tesina sulle donne nel calcio e la intitola “Il più maschilista degli sport”. Calciatore e, per così dire, cultore della materia, per approfondire l’argomento come si conviene contatta a Perth Carolina Morace che in Australia «guida un’accademia di calcio femminile». Lui le manda via mail alcune domande, lei risponde per iscritto in modo asciutto.

Ero già d’accordo con Andrea che avrei pubblicato il suo lavoro. Ma quando è esploso il caso Carlo Tavecchio, il candidato alla presidenza della Federazione italiana gioco calcio che straparla quotidianamente di donne, atleti di colore e assassinii eccellenti, ho dato un’acceleratina alla “messa in pagina”. Chiedendo ad Andrea di ricontattare Carolina Morace e di chiederle se volesse fare un  commento sul candidato Tavecchio e sulle sue improponibili dichiarazioni.

Continua a leggere

Alleno i bambini e le bambine a fare canestro, eliminando gli stereotipi nello sport

di Dario Lovino*

«Ognuno ha il diritto di praticare sport in ambienti sani che garantiscano la dignità umana. Donne e uomini di età differenti e diverse provenienze sociali e culturali devono avere le stesse opportunità di praticare sport. Le organizzazioni  sportive e le istituzioni devono essere responsabili per l’implementazione di politiche di parità di genere e devono trovare strumenti utili alla promozione della partecipazione delle donne nello sport, a tutti i livelli» (dalla Carta europea dei diritti delle donne nello sport).

Dario Lovino con la fidanzata Francesca

Dario Lovino con la fidanzata Barbara

Grazie al prezioso aiuto fornito dalla Carta   europea dei diritti della donna nello sport, e all’esperienza che vivo quotidianamente come allenatore di basket, mi sento di trarre delle considerazioni personali sul rapporto che lega il genere femminile alla pratica sportiva.

Prima della stesura di questo elaborato non ero a conoscenza dell’esistenza di un documento ufficiale che trattasse il tema dei diritti  della donna nello sport. Per questo motivo ringrazio la professoressa Paola Ciccioli per avermi consigliato, all’inizio del corso di Psicologia delle influenze sociali, di consultare la Carta europea che si è rivelata uno strumento molto utile per analizzare le condizioni attuali della presenza della donna in questo specifico settore Continua a leggere

“Ho perso mia madre e sono diventata dipendente da Facebook”

Testimonianza raccolta da Paola Ciccioli

«Le dipendenze tecnologiche, da internet e smartphone, sono le malattie mentali destinate ad essere le più diffuse del prossimo decennio a livello mondiale stando al report del XVIII Congresso Mondiale di Psichiatria dinamica che si è tenuto a Firenze» (http://www.ansa.it/)

Ho quarantaquattro anni, una bella famiglia e un lavoro che mi dà soddisfazione.

E fin qui tutto perfetto. Ma mi porto dentro da sempre un senso di solitudine che fino ad ora non sono riuscita a colmare, mai definitivamente. Sono divorziata e la mia famiglia sono i miei numerosi fratelli, i nipoti e gli amici.

Ho iniziato a usare Facebook a fine 2008 per promuovere un gruppo femminile che si occupa di sport e di solidarietà e per qualche anno è stato solo un mezzo utile e divertente. Internet mi ha sempre affascinato per la potenza di comunicazione che ha in sé e per il numero di persone che puoi raggiungere.

Tanto facile da usare, quanto facile lasciarsi prendere la mano. Sembra impossibile, ma il confine tra utilizzare uno strumento e diventarne schiavo è veramente sottile e a un certo punto ti accorgi di averne bisogno e che è difficile farne a meno. Credo che sia una specie di dipendenza.

Posso identificare con certezza il momento in cui sono stata fagocitata nel vortice della Rete, è stato nel 2010, quando ho perso mia madre. A quel punto collegarsi, e incontrare virtualmente delle persone, mi faceva sentire meglio e il peso della solitudine e della tristezza scomparivano per il tempo in cui restavo in contatto con quel mondo.

Mi sono sentita sempre più coinvolta, tanto da creare dei contatti con persone mai viste dal vivo, ma che mi piacevano e mi ispiravano simpatia e che alla fine mi sembra di conoscere veramente.

Mi collegavo in ogni momento libero, pensavo a cose da scrivere, foto da pubblicare, ogni mezzo per creare interesse intorno al mio profilo e attirare l’attenzione dei miei contatti. La sensazione di sentire le persone vicine, parte della mia vita, mi dava lo stimolo a continuare e a fare sempre di più.

Tutto ha funzionato bene fino a quando mi sono resa conto di aver varcato una linea e di aver perso il controllo. Passavo da due a quattro, cinque ore al giorno collegata a Facebook, trascurando tantissimi aspetti della mia vita reale. La cosa peggiore è che ho creato un’immagine distorta di me stessa, non mostro come sono veramente, ma enfatizzo i lati che si dimostrano più interessanti e che attirano maggiormente l’attenzione del mio pubblico.

Circa un mese fa, a una festa, ho conosciuto un uomo e dopo aver chiacchierato insieme per un paio d’ore, lui mi ha chiesto se utilizzavo qualche social network, «per avere la possibilità di restare in contatto», così mi disse. Quella richiesta mi è sembrata talmente assurda, soprattutto perché veniva da un over quaranta e gli ho risposto che non ero connessa ad alcun social network e che pensavo che i modi migliori per frequentare le persone fossero ancora un sano incontro o una telefonata. Da quel momento ho iniziato a pensare a quanto fosse stupida la mia sete di “amicizie virtuali” e ho deciso di iniziare un processo di disintossicazione da facebook. Mi sono data delle regole, dei tempi massimi di connessione, una linea degli argomenti da trattare, ho ripulito la lista dalle amicizie, eliminando le persone mai viste o con cui non ero interessata a mantenere i contatti, ma soprattutto mi sono imposta di mostrare la vera me stessa.

Ci sono momenti in cui la mia auto-terapia funziona e altri momenti in cui ricado nella Rete, ma sono sicura che alla fine vincerò questa piccola guerra. Nella vita non sono mai riuscita ad ottenere nulla facilmente e per questo ho sviluppato una forte determinazione, in questo somiglio molto a mia madre.

AGGIORNATO IL 22 AGOSTO 2017

«Gioco a calcio con amiche lesbiche e so quanto male fa la cattiva informazione sul mondo gay»

di Federica Mariani *

Questa foto è stata pubblicata sulla pagina Facebook della Nazionale femminile di calcio il 15 giugno 2019, all’indomani della vittoria per 5 a 0 da parte delle calciatrici azzurre contro la squadra della Giamaica. Grazie ai Mondiali di calcio femminile che si disputano in Francia, e grazie all’interesse mediatico che le atlete sono riuscite a catalizzare, una realtà sportiva che ha dovuto farsi largo tra i pregiudizi sembra finitivamente uscita alla scoperto. (https://www.facebook.com/azzurrefigc/photos/a.331644917530304/340408236653972/?type=3&theater)

Un documentario sull’omosessualità e sulla sua narrazione televisiva, diritti ancora da conquistare, l’esperienza di una studentessa che gioca al calcio e vive sulla propria pelle lo stigma legato a questo sport.
Un intervento da rileggere 8 anni dopo la sua prima pubblicazione.

Continua a leggere