di Antonio Ferrara*

Steve Jobs ( San Francisco, 24 febbraio 1955 – Palo Alto 5 ottobre 2011) ritratto in un momento di vita in famiglia con la moglie Laurene Powell e i tre figli Eve, Erin e Reed http://www.melablog.it
Stefano Lavori si rifugia in garage per restarsene da solo con l’omonimo in versione americana Steve Jobs, il genio della tecnologia scomparso il 5 ottobre 2011 all’età di 56 anni. L’inventore dell’Ipod, dell’Ipad e del touch screen gli racconta dei suoi genitori adottivi, degli studi irregolari, delle amicizie e dei tradimenti, dell’amore e del cancro. E incita Stefano, insieme con tutti gli adolescenti come lui, ad essere “affamato e folle” (stay hungry, stay foolish), esortazione che il fondatore della Apple rivolse in un celebre discorso agli studenti di Stanford. Ottima lettura, anche per i genitori, che ha però un non trascurabile difetto. Sembra che a sognare in grande debbano essere soltanto i maschi, visto che in questa storia alla sorella di Stefano Lavori è riservato lo stereotipato ruolo di rompiscatole eternamente attaccata al cellulare. (Paola Ciccioli)
– E allora cosa? – dissi, e la voce mi venne fuori come un piccolo grido.
Per via del mio grido Steve diede una capocciata contro il fondo della lavatrice. Fece un tac sordo di zucca dura contro metallo.
Finalmente tirò fuori la testa dalla lavatrice. Si tirò su in piedi massaggiandosi la testa. Prese lo straccio per pulirsi le mani. Non la finiva più di pulirsele., se le puliva e mi guardava, e non parlava.
La lampadina che pendeva dal soffitto gli faceva scintillare gli occhiali.
– È un bel voto, cinque, no? – dissi.
– Ti accontenti, Stefano, ti accontenti – rispose. – Io al tuo posto mi vergognerei.
– Come sarebbe?
– Sarebbe che cinque è un voto da schifo, Stefano, non ti sembra?
Non dissi niente.
Non me l’aspettavo.
– Insomma, ci tieni ad andar bene in matematica o non te ne frega assolutamente niente? Se non te ne frega lascia perdere.
– Ci tengo…
– E allora dacci dentro, no? Cosa aspetti? Io e il mio amico Woz ci tenevamo a diventare quello che
siamo diventati. E io ci tenevo più di lui. Ci davamo dentro, a studiare i microchip e le schede madre. Ci lavoravamo giorno e notte. E poi domenica 29 giugno 1975 Woz schiacciò un tasto e vide che la lettera che schiacciava compariva sullo schermo! E la cosa non era mai successa prima, capisci?
– Quindi cosa hai fatto?
– Cominciai a tempestarlo di domande. Il computer si poteva collegare ad altri? Si poteva aggiungere un disco di memoria? Insomma era nato l’Apple I. Solo che Woz regalava a destra e a sinistra copie dei suoi software, e io non volevo. D’altra parte nessuno aveva tempo di mettersi a progettare da solo dei computer. “Perché non ci mettiamo a progettare computer?” gli proposi. Accettò.
Funzionava proprio così: ogni volta che Woz progettava qualcosa io trovavo il modo di ricavarne un po’ di soldi per tutti e due. Ci sapevo fare, con gli affari. Decidemmo di aprire un’azienda tutta nostra, ma per cominciare ci volevano dei soldi. E così Woz vendette per cinquecento dollari la sua calcolatrice HP e io vendetti per millecinquecento dollari il mio furgone Volkswagen. Adesso
avevamo il capitale per cominciare. Per inseguire il nostro sogno di scienziati e imprenditori.
– Ma, a proposito, Stefano: tu ce l’hai un sogno?
*Tratto da Steve Jobs, “Affamato e folle” di Antonio Ferrara (Raffaello Ragazzi, 2016)
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