Sono una “tardodiscente”, proprio come la regina

di Simona Zucconi*

Simona Zucconi

Simona con Peeta (che sembra gradire alquanto)

Ho terminato il libro La sovrana lettrice di Alan Bennett che mi aveva suggerito Paola Ciccioli.
 È stata una lettura gradevole. Se non mi fosse stato consigliato, forse non l’avrei mai scelto. 
Ultimamente chiedo molto agli altri,  non ho preferenze, mi piace essere coinvolta in ciò che mi accingo a leggere. Non tutti i testi riescono nell’intento, con alcuni creo un legame, da altri ricevo nuove nozioni, è vero, che però a volte restano fine a se stesse. 
La regina nel romanzo di Bennett si approccia ai libri un po’ come me, senza un filo conduttore, ma leggere per conoscere e ampliare i propri orizzonti mentali diventa pian piano una necessità.

Nel mio caso, leggere è un po’ viaggiare, raggiungere mete altrimenti inaccessibili. La sovrana ritaglia del tempo per la lettura e poco a poco si appassiona: lo stesso accade a me. 
Leggere mi apre mondi nuovi e soprattutto mi dà la consapevolezza di ciò che sono. Quando leggo attingo sempre cose nuove, dalla vita e dalle esperienze di coloro (in questo caso gli autori) che mi danno la possibilità di crescere nel sapere.

Sapere non è un dono, sapere è impegno, è la possibilità che ci viene offerta per essere persone libere e capaci di avere delle idee.

«Leggere un libro è un ordigno per infiammare l’immaginazione», scrive Bennett ne La sovrana lettrice. Sono pienamente d’accordo e come la sua regina sono una tardodiscente («chi impara solo in età avanzata», pagina 42, ndr) ma con tanta voglia di scoprire il mondo anche e soprattutto attraverso gli occhi e il sapere altrui.

Grazie Paola, leggevo anche prima di incrociarti virtualmente, ma adesso lo faccio in modo più consapevole.

Suore a Castelluccio

Leggendo e camminando a Castelluccio, nel cuore del Parco nazionale dei Monti Sibillini (la foto è di Ivana Forconi)

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“… un sol che nel bel volto porta la notte, et ha negli occhi il giorno”

di Giovan Battista Marino*

LA BELLA SCHIAVA

Liù

Liù, “schiava d’amore” della Turandot di Giacomo Puccini. Immagine da http://operaomniablog.blogspot.it/

Nera sì, ma se’ bella, o di Natura
fra le belle d’Amor leggiadro mostro.
Fosca è l’alba appo te, perde e s’oscura
presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro.

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Nel campo di concentramento la scoperta di un tassello di storia e di dolore della mia famiglia

Testo e foto di Elisabetta Baccarin

A Dachau, visitando l’esposizione permanente all’interno degli ex edifici di manutenzione, sono rimasta colpita da questa carta d’identità.

Foto Dachau

mi è balzata agli occhi per quanto è simile alle nostre attuali.

mi ha fatto ricordare del fratello di mio nonno, ettore baccarin, che da vari documenti in rete ho scoperto essere nato a teolo PD il 26/1/1904, arrestato a teolo, deportato da bolzano il 14/12/1944 a mauthausen e deceduto a melk il 12/2/1945. (fonte: ’elenco dei deportati da Bolzano a Mauthausen’ in http://www.venegoni.it/venegoni_sec.pdf).

 pagina 4 del registro delle morti del 12 febbraio 1945

La pagina 4 del registro dei morti del 12 febbraio 1945

prigioniero numero 113875. nella foto qui sopra il registro che riporta il suo nome e i suoi dati nella pagina dei decessi del giorno. non conosco il motivo dell’arresto. una mia zia di quasi 90 anni ricorda che lui lavorava come mio nonno in miniera e l’avevano accusato di aver fornito polvere da sparo, ma non ne ho alcuna certezza. da altre fonti pare che giaccia in fossa comune e non sia esumabile.

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Per la fiera della beneficenza se ne riparla l’anno prossimo, ma nonna e nipote ancora sono in fuga dal baratto “in”

di Adele Colacino

raccolta_fondi

Sono trascorsi appena una ventina di giorni e le coscienze si sono allontanate dai solleciti alla generosità e alla partecipazione attiva e contributiva ai dolori della fame e delle privazioni di una gran parte del mondo

Giusto! Adesso è il momento di pensare a come smaltire il peso accumulato nel periodo delle Feste, sì quelle con la EFFE maiuscola. Adesso, calendari e calorie sott’occhio, occorre impegnarsi a ritornare in forma, a sudare nelle tute griffate, a pensare alla prova costume che quando meno te lo aspetti ti manderà in crisi davanti allo specchio che riflette carni bianchicce, molli, e debordanti, occhi sbarrati.

Faccio un passo indietro e torno all’inizio di novembre, quando già cominciano ad arrivare con la posta le buste piene di letterine che, associazioni e missionari sparsi per il mondo, ci scrivono sotto lo sponsor di santi e sigle per la campagna di raccolta fondi.

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E la dottoressa Rosa brilla di fantastica fatica

di Rosalba Griesi

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Rosa Di Paolo fotografata dall’amica Rosalba Griesi nel momento in cui viene proclamata dottoressa in giurisprudenza: Bari, 5 novembre 2014

La mia amica Rosa si è laureata e io ne sono immensamente felice perché ha realizzato un sogno, uguale al mio, perché ha raggiunto un traguardo, come il mio, perché abbiamo percorso insieme la stessa strada, perché ci siamo tenute quasi per mano… sono felice ed orgogliosa della mia amica e le voglio tanto bene!

La sua laurea è in giurisprudenza. Rosa ama quel campo, tant’è che si è sempre appassionata a quei ghirigori di leggi… i diritti civili, penali, del lavoro… una gran testa la mia amica. Quanti articoli da ricordare e ad ogni esame teneva testa a tutti. Sì, perché ci siamo raccontate di ogni esame. Quante risate a pensare a noi mamme, lavoratrici, tra i banchi universitari di fianco ai ragazzi che avrebbero potuto essere figli nostri. Davvero un bel coraggio, davvero determinate. Talvolta per non rubarci tempo, quel prezioso tempo centellinato, ci sentivamo per telefono per aggiornarci sugli eventi. Tuttavia un caffè al bar di qualche sabato, nessuno ce lo toglieva. Ci abbracciavamo e veniva a piovere per quell’evento meraviglioso. Mi diceva sorridendo: «Tutta colpa tua se ora mi ritrovo indaffarata con gli esami». Ma lo diceva con tale affetto e tale trasporto, come a dirmi invece grazie per aver dissodato questo terreno.

È stata davvero brava la mia amica.

Rosalba, amica 6

Rosa e Rosalba abitano a Palazzo San Gervasio, in Basilicata, ed entrambe hanno avuto la caparbietà di laurearsi (nonostante le difficoltà, gli anni teoricamente “non canonici”, il lavoro e la famiglia da mandare avanti)

Un giorno mi dedicò le parole di Nelson Mandela per dirmi di brillare e di non scoraggiarmi mai nel percorrere la mia strada senza mai nascondermi per il timore di apparire troppo: «La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura. È la nostra luce, non le nostre tenebre, ciò che più ci spaventa. Ci domandiamo chi sono io per essere brillante, splendido, ricco di talento, favoloso? In realtà chi non devi essere? Sei un figlio di Dio. Farti piccolo non serve al mondo. Non vi è nulla di illuminante nel restringersi cosicché gli altri intorno a te non si sentano insicuri. Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi; è in tutti. Facendo brillare la nostra Luce, inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso. Mentre noi ci liberiamo della nostra paura, la nostra presenza automaticamente libera gli altri». (1)

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Grazia Livi e la “scabrosa libertà”

di Grazia Livi

livi

Grazia Livi (Firenze, 1930 – Milano, 18 gennaio 2015)

Questo è il testo di una intervista alla scrittrice Grazia Livi, pubblicata sul n. 22 del giugno 1994 di “Lapis”, rivista fondata e diretta da Lea Melandri.

Grazia Livi è morta domenica 18 gennaio a Milano. Non mi dilungo a scrivere di lei, qui, perché altri più autorevoli di me lo stanno facendo sulla stampa e altrove.

Posso solo dire di averla conosciuta personalmente, in questi suoi ultimi anni di vita e averne colto, oltre la scrittura, la levità del vivere e la profondità del sentire, misti a una dolcezza e garbo nelle relazioni con gli altri, che non so se furono da sempre sue o acquistate con una canuta e saggia vecchiaia.

(Angela Giannitrani)

Giornalista. Ancora oggi, se pronunzio questa parola e la riferisco a me, provo un senso di malessere, quasi dicessi qualcosa di bizzarro e di incongruo, come “acrobata” o “venditrice di accendini”. Eppure, per vari anni, fra il ’57 e il ’70, quando l’area dell’informazione non era ancora stata invasa dalla TV, sono stata giornalista per un grande settimanale a rotocalco. Avevo un contratto di collaborazione con esclusiva di firma; ero una specie di inviata. Inchieste, interviste. Il mio territorio era genericamente culturale. D’un tratto, io ragazza fiorentina borghese, educata studiosamente e moralisticamente, firmavo disinvolta articoli col mio nome e cognome. Che fossi impaurita non si vedeva: il nome appariva in lettere grandi, in neretto. Firmavo e viaggiavo. Incontravo artisti. Portavo a termine incarichi, in Italia e all’estero. C’era di che inebriarsi un poco. Cosa facevano, nello stesso periodo, le ragazze del mio ambiente? Finito il liceo e l’università, sposavano un professionista, mettevano su una famiglia regolare. Io, invece, spinta dall’energia, dalla curiosità, dal bisogno di conoscere, da un’informe ansia di attuazione, mi ero allontanata da quelle regole. In verità, come scrissi molti anni dopo, cercavo di sottrarre “la mia identità all’informe destino femmineo”. Sì, questo era il punto. Da sola, senza essere cosciente di nulla, priva di una ideologia che mi sostenesse, andavo verso la mia emancipazione, così, per l’impulso ad allargarmi, per l’impossibilità di credere in quei modelli femminili, statici e inespressi, che mi toglievano la voglia di vivere. Il giornalismo fu, nei primi tempi, più delizia che croce. Intanto avevo un committente che mi convocava, e percepivo uno stipendio. Entravo nella stanza del direttore con una mascherina vivace e tiravo fuori un foglietto con una lista di proposte, c’erano a volte degli assensi subitanei. In segreteria veniva prenotato per me l’albergo e il treno. Sperimentavo così un rapporto di dare e avere che a me pareva fondato sull’equità e sull’oggettività e che mi lusingava perché era lo stesso che legava gli uomini fra di loro, sul terreno della professione. In secondo luogo imparavo un mestiere, sfruttando un dono per lo scrivere che giaceva nella mia oscurità e obbedendo a una mia acerba esigenza: che le parole mettessero ordine, conferissero un significato, una lucidità, una ragione.

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Un dito sopra quei numeri come un bacio sulla bua dei bimbi

di Elisabetta Baccarin*

Elisabetta,  gen monaco

Elisabetta Baccarin all’Englischer Garten di Monaco di Baviera

io ho visto prima le mani.

stava aiutandomi a smontare pezzi della sua giardinetta fiat che si trovava arrugginita da anni nell’aia della cascina dove abitava e che mi sarebbero serviti per aggiustare la mia. Alcune sue galline amavano far le uova in quell’automobilina e lui aveva messo del fieno sui sedili per renderla più accogliente.
ha messo una mano vicino alla mia mentre tenevo fermo un pezzo che lui ha smontato.

ho detto
‘che mani grandi che ha!’

e lui di getto
‘sì. ho mani grandi. deformi. me le hanno martellate in campo di concentramento. non ce la facevo più a lavorare. non riuscivo più a stringere i pezzi di ferro che mi obbligavano a lavorare. allora me le hanno martellate. poi sono guarito. ma non del tutto’.

Elisabetta, dachau 1 gennaio 2015

Dachau, 1° gennaio 2015

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Pinuccio, che Dio ti benedica

di Alba L’Astorina

La chitarra, in una piazza gremita da 100 000 persone, esibita a mo' di fazzoletto da Domenico mio figlio nel momento del saluto (foto dal Mattino di Napoli)

La chitarra, in una piazza gremita da 100 mila persone, esibita a mo’ di fazzoletto da Domenico, il figlio dell’autrice, nel momento del saluto (foto dal Mattino di Napoli)

«Può capitare di avere tutto il proprio passato sulla punta della lingua come un gigantesco inammissibile lapsus. Una straripante bolla di amnesia può trattenerlo per decenni, poi qualcuno da qualche parte butta una sigaretta dal finestrino e quel po’ di brace ne buca la superficie scatenando l’alluvione.»

È stata proprio come la sigaretta buttata dal finestrino, per me, la morte di Pino Daniele, avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 gennaio scorso per un ennesimo affanno del suo cuore. Ed è un sentimento a lungo trattenuto quello che «l’alluvione», come la chiama Francesca Ramos nel suo bellissimo passo con cui ho voluto cominciare questo mio ricordo personale dell’artista, ha liberato: l’amarezza per una separazione consumatasi già molto tempo fa, quando il cantore napoletano si era allontanato da molti di noi, o noi da lui Continua a leggere

«Facteur ne fais pas joujou»

par Marcel Proust*

_Tour Eiffel

La Tour Eiffel spenta ieri sera alle 20 in segno di lutto per la strage nella redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo” e per lo sconvolgente attacco alla libertà di espressione. Dei francesi e dell’intera umanità (immagine da http://www.bbc.com/)

 

ADRESSES

 

Facteur d’un pied rythmique il faut que tu t’en ailles

Cent neuf, au bout de l’avenue Henri Martin

Porter ce mot à la Comtesse de Noailles

Qu’aiment le mélitot, la carotte et le thym.

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«Et puis je suis allé au marché aux esclaves…»

par Jacques Prévert

Le monde

Con questa immagine il quotidiano francese Le Monde (www.lemonde.fr/) ha fissato l’orrore dell’attacco di questa mattina contro “Charlie Hebdo”. Due uomini armati hanno fatto strage della redazione del settimanale satirico, nel cuore di Parigi: 12, al momento, i morti. Compreso il direttore Stéphane Charbonnier, Charb, 46 anni, che proprio in un’intervista a Le Monde aveva detto: «Je préfère mourir debout que vivre à genoux». «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio». Era protetto dalla polizia dopo l’incendio doloso subito da “Charlie Hebdo” nel 2011 in seguito alla pubblicazione di caricature di Maometto.

 

POUR TOI MON AMOUR

 

Je suis allé au marché aux oiseaux

Et j’ai acheté des oiseaux

Pour toi

mon amour

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«Finalmente ho pianto»

di Giuseppe Di Modugno*

GIARDINI DIAZ

giardini diaz

I Giardini Diaz di Macerata. Con un grazie e gli auguri di Buon Anno a Loretta Bentivoglio dell’ufficio stampa del Comune che ci ha fornito l’immagine

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