di Angela Giannitrapani

Per questa bellissima fotografia dell’antropologa Stefania Renda, dal titolo “La bambola”, usiamo come didascalia l’incipit del pezzo di Angela Giannitrapani. A lei un grazie per lo squarcio di intelligenza che ci ha fatto arrivare dalla Sicilia: «Un bimbo di pochi anni è chinato su una ciotola dalla quale raccoglie il liquido con un cucchiaio. Ha i tratti di un cinese ma è vestito all’americana. Sulle spalle tiene una bambola legata con la tradizionale banda che indossano le madri quando portano con sé i piccoli» (Gli scatti che illustrano il servizio sono di Giampiero Masi)
Un bimbo di pochi anni è chinato su una ciotola dalla quale raccoglie il liquido con un cucchiaio. Ha i tratti di un cinese ma è vestito all’americana. Sulle spalle tiene una bambola legata con la tradizionale banda che indossano le madri quando portano con sé i piccoli. La foto La bambola arriva al secondo posto in un concorso dal titolo “Rompiamo il silenzio”nell’ambito della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, indetto a Marsala lo scorso novembre dall’Assessorato alle Pari Opportunità coordinato da Anna Maria Angileri. La foto vince anche sullo stereotipo che distingue tra giochi maschili e giochi femminili. La spontaneità con la quale il piccolo porta sulle spalle la grossa bambola alla maniera delle donne del suo villaggio rivela, in uno scatto, quanto i valori e la cultura possano sovvertire abitudini e modi di essere.
Il premio è consistito nell’esposizione gratuita di una “personale” offerta dall’Ente Mostra di Pittura. Così, in un pomeriggio di fine luglio di questa torrida estate, il settecentesco Palazzo Grignani ha aperto il suo cortile al bimbo e alle altre immagini del suo villaggio, madri e padri compresi. In questa storia, infatti, si parla di madri e padri al plurale: di genitori biologici e sociali. Le venti foto esposte sono solo una parte delle immagini scattate da Stefania Renda. La giovanissima ricercatrice marsalese si è laureata in Lingua e cultura cinese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, specializzandosi in antropologia ed etnologia. È stata quindi ammessa a un corso di dottorato di ricerca alla Yunnan Minzu University di Kunming, in Cina, con un progetto di studio sulla minoranza etnica dei Mosuo che vivono nella regioni del Sichuan e dello Yunnan, nel sud ovest del Paese.
La ventottenne antropologa fa la spola tra la sede universitaria e i villaggi delle due aree, tra colline verdeggianti e le splendide acque del lago Lugu. È interessata alla struttura matriarcale di queste etnie, nelle quali la centralità delle donne in campo economico e nella trasmissione della discendenza avviene in un contesto di uguaglianza di genere. Dal complesso delle tradizioni, abitudini e condizioni dei Mosuo emergono con chiarezza i valori del rispetto di entrambi i generi e di tutti i componenti delle piccole società al punto che, pur parlando di matriarcato, tale termine non viene dalle antropologhe assimilato a patriarcato, in quanto non si verifica lo squilibrio di potere tipico della società maschile.
L’istituto del matrimonio non è a fondamento della relazione sentimentale-sessuale e vi possono essere varie forme di relazione-matrimonio private o pubbliche, temporanee o definitive. Anziani e giovani, due delle categorie sociali solitamente più deboli nelle culture occidentali, nell’etnia Mosuo sono dotate di pari dignità in relazione al resto della società, anzi vengono dedicati a loro riconoscimento e cura. I riti di passaggio dei giovani e delle giovani sono significativi per sé stessi ma anche per tutto il gruppo. Dall’equilibrio di una tale convivenza episodi di violenza, stupro o omicidi sono inesistenti, così come quelli di depressioni e suicidi. Interessantissimi ancora altri aspetti della vita e della cultura di queste popolazioni e non si smetterebbe mai di ascoltare Stefania che, con la scioltezza verbale che il suo entusiasmo le dona, affascina i visitatori, commentando le foto.

Energia e competenza femminili. Da sinistra: Angela Giannitrapani, Stefania Renda e Anna Maria Angileri all’inaugurazione della mostra fotografica “All’origine le madri” al Palazzo Grignani di Marsala
Con l’umiltà della ricercatrice seria, Renda sottolinea che non guarda a queste strutture sociali come a esempi esportabili ma come ad occasioni di osservazione per farne preziose deduzioni e riflessioni, a correzione di modelli sociali con drammatici squilibri e con sviluppi pericolosi per una armoniosa crescita individuale e collettiva. Lo precisa, continuando a parlare con la stessa passione a un pubblico attento e rapito a fine serata durante l’incontro con altre voci femminili del campo della scienza, dell’imprenditoria e della scrittura, tenuto nell’atrio del Convento del Carmine, di fronte al Palazzo Grignani. Incontro, anche questo, voluto dall’assessora alle Pari Opportunità Anna Maria Angileri e promosso dall’Amministrazione comunale di Marsala.
Storie di donne dentro storie di altre donne, voci femminili autorevoli, come quella dell’assessora che segue con tenacia e lucidità un filo a lei molto chiaro, quella di Stefania che, partita dalla sua cittadina siciliana, approda a Venezia e da lì, seguendo le sue passioni, arriva tra gli altopiani del Sichuan e il lago Lugu a 2700 metri nello Yunnan, dove trova altre donne autorevoli e sagge che, pur tenendo per sé le prerogative della loro femminilità non tolgono dignità agli uomini. Donne che l’hanno letteralmente e ufficialmente “adottata”, mi confida Stefania, perché senza il loro atto d’amore e la loro accettazione, non avrebbe avuto il permesso di conoscerle, secondo un’antica regola al femminile che vuole che la conoscenza passi attraverso la relazione.
Bella la voce di Stefania, bello il suo sguardo innamorato del mondo, coinvolgenti la sua passione e il suo coraggio. Assolutamente incantevole la sua freschezza.
Peccato che non ci sia nessun riferimento al lungo lavoro di chi l’ha preceduta – Francesca Rosati Freeman, siciliana anche lei ma residente in Francia – e alla disponibilità di questa ricercatrice e regista verso la giovane Renda su più fronti, ivi compresa l’instaurazione di rapporti amicali con le famiglie Moso.
Suppongo che ciò sarà saltato nella stesura del pezzo. Peccato, ripeto, perché il lungo filo della ricerca femminile su modelli sociali diversi non andrebbe spezzato nettamente neanche per esigenze di concisione.
http://kultbazaar.blogspot.it/2014/05/documentario-sui-moso-dove-il.html
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Letto il tuo post, Iole, molto interessante. Approfondiremo, grazie, Paola
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Cara Iole, fa sempre bene aggiungere precisazioni alla comunicazione e per questo ti ringrazio. Conosco la valentìa della Francesca Rosati Freeman, originaria di Trapani, dalle parole ammirate e affettuose della Renda che me ne ha parlato con gratitudine. Hai ragione, tuttavia non intendevo fare un testo specificatamente antropologico, ma anche sulle buone pratiche promosse da donne e che arricchiscono la vita culturale in momenti estivi spesso a rischio di superficialità. Nonché presentare una giovane ricercatrice che ho avuto occasione di conoscere personalmente. Ottima, comunque, l’opportunità che mi dai per aggiungere, sia pure nel ristretto spazio dei nostri commenti, il nome della Rosati Freeman che ricorre su siti web, studi e articoli. A questo proposito, indico anche l’articolo apparso sulla rivista online “Uno sguardo al femminile” il 5 maggio 2017 http://www.unosguardoalfemminile.it/wordpress/?p=7518.
Un saluto,
Angela Giannitrapani
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Grazie per la tua risposta dettagliata. Al piacere di rileggerti in altra occasione.
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Grazie Angela, l’articolo che tu avevi segnalato in fondo al pezzo trasmesso via mail, non compare perché è stato linkato. Basta cliccare sulla prima citazione dei Mosuo.
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Grazie ad Angela per le generose parole sul mio lavoro e sulla mia persona. Ringrazio Iole Natoli per la precisazione sul lavoro e lo studio sul popolo Mosuo di Francesca Rosati Freeman, scrittrice e documentarista, ma soprattutto una grande amica e confidente, verso la quale nutro stima e gratitudine. Un caro saluto a tutte!
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Il 30 novembre 2017, da Zuosuo, Sichuan, China, Stefania Renda ha postato queste parole su Facebook: «Essere parte di una famiglia Mosuo è una grande responsabilità e un privilegio. È sentir dire “tu sei una figlia di questa famiglia”, oppure, “questa è la tua mamma italiana”, e ancora, “questo non è solo il mio bambino, ma è anche il tuo”. Significa essere parte di una trama di punti interconnessi. Se ferisci uno di quei punti, allora avrai ferito anche gli altri e, allo stesso modo, se offendi uno di loro, li avrai offesi tutti. Io sono un punto di questa trama.
In questi quattro anni, per periodi più o meno lunghi, ho mangiato sotto lo stesso tetto della famiglia Mosuo che mi ha adottata, ho riso e ho pianto con loro, ho condiviso le mie storie e lo stesso hanno fatto loro con me. I rapporti di fiducia infatti si costruiscono nel tempo, nello spazio e nella condivisione.
Quando ci si accinge a far ricerca su questo popolo, bisogna anche capire come funzionano le relazioni familiari e cosa significhi essere (o diventare) parte di una famiglia estesa Mosuo. Ma soprattutto bisogna aver rispetto per tutti i membri di quella famiglia, altrimenti non si hanno possibilità di integrazione, non si costruiranno rapporti di fiducia e non si troveranno porte aperte».
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“zia straniera andiamo a cercare pietre color latte!” ❤️
Xiao Najin non sa pronunciare il mio nome e così ha iniziato a chiamarmi “zia straniera”, pronunciando “straniera” in cinese e “zia” in lingua mosuo.
(Così ha scritto Stefania sul suo profilo Facebook il 15 dicembre, aggiungendo due foto di una creaturina vestita di un giaccone rosa e che nasconde il suo viso dietro una foglia).
Sono affascinata dai racconti di Stefania e dall’esperienza che sta vivendo.
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Post di Stefania del 29 dicembre: «Oggi e’ il dodicesimo giorno dell’undicesimo mese lunare, e i Mosuo festeggiano la festa del “piccolo anno trascorso”, detta anche “giornata della benevolenza/gentilezza”.”Se sei felice in questo giorno e ridi tanto, allora sarai felice tutto l’anno”, mi hanno detto. È una festa dedicata principalmente ai bambini, ai quali viene preparato un sontuoso pranzo che tradizionalmente veniva consumato all’aperto, in montagna. Oggi a casa non c’era nessun bambino, ma abbiamo festeggiato ugualmente».
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non credo che lo stile di vita moso sia applicabile da noi
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