La vita è bella così

di Luca Bartolommei

Noa e Gil Dor durante una delle loro esibizioni. Sono gli autori del testo in inglese di Beautiful that way. Foto dalla pagina Facebook di Achinoam Nini/Noa

Il mio amico Massimo me l’ha alzata proprio bene, un bell’assist, e oggi mi ri-trovo a scrivere, dopo tanto tempo, di canzoni, genitori e figli. Il brano è conosciutissimo e tra l’altro mi offre il destro per un accenno velocissimo anche a altri argomenti che ogni anno, verso la fine di gennaio, tornano nella mente di tutt*, direi proprio nella memoria. Diciamo anche che le coincidenze a volte sono la cosa meno accidentale che ci possa capitare. Per ora restiamo nell’ambito strettamente genitorial-famigliare. Continua a leggere

«Una grande notizia: mi hanno tolto l’ossigeno»

Testo e foto di Maria Grazia Nichetti

Un mese di sofferenze causate dal Coronavirus, di ansie per il marito contagiato e solo a casa, di coraggio, di commozione e calore arrivati in ospedale attraverso i contatti telefonici con i figli, di fiducia ed empatia con i medici, di solidarietà con le altre pazienti. Si conclude il racconto della psicologa milanese che ha generosamente messo a disposizione di tutte/i gli appunti su come ha vissuto personalmente la malattia che ha infettato la terra.

Qui le prime due parti: «Tutto è iniziato con un raffreddore», il diario dal Covid di Maria Grazia Nichetti e «La notte mi assale l’emozione: e se ricoverano anche Andrea?».

Ecco, tutto è pronto per tornare a casa.

19 novembre, sfebbrata. Pressione 110/70, 98 saturazione /70. Ieri sera poi non mi hanno dato le gocce, perché non prescritte dal medico, quando incontri infermiere giovani, non si prendono la responsabilità di dartele se non sono state prescritte anche se dico che il dottore era d’accordo. Ma non le hanno scritte nel mansionario, così anche alla signora M. non vengono date, per la stessa ragione. Alle 3 la signora M. comincia ad agitarsi, ha ansia, chiama, le sembra di non respirare, provoca un po’ di trambusto e poi alle 4 chiama di nuovo per la padella e così ci sono un po’ di interruzioni al mio ricercato sonno.

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«La notte mi assale l’emozione: e se ricoverano anche Andrea?»

di Maria Grazia Nichetti

Febbre, saturazione, pressione, ossigeno, cibo, sonno, incubi, reazioni del corpo, dolori, ansie, rapporto con altre donne malate, notizie sulle condizioni del marito Andrea Veronesi – come lei stimato psicologo di Milano – alle prese con la stessa malattia ma a casa. «Tutto è iniziato con un raffreddore», il diario dal Covid di Maria Grazia Nichetti prosegue.

Questo è il quaderno nel quale la psicologa milanese Maria Grazia Nichetti ha annotato il suo “attraversamento” del Covid, dal raffreddore con cui la malattia si è annunciata fino alla fine dell’incubo durato oltre un mese di cure ospedaliere (la foto è sua).

14 novembre Questa notte ho dormito abbastanza fino alle 4,20, poi sono stata sveglia (se continua così mi farò dare qualcosa per dormire, quando mi sveglio nella notte mi assale l’emozione del momento che sto vivendo, penso a casa e mi viene un po’ da piangere, anche la preoccupazione per Andrea che non è seguito da nessuno… e se viene ricoverato anche lui??? Devo farmi dare qualcosa per dormire meglio, più rilassata, sicuramente il cortisone mette agitazione). Al passaggio il medico prova la saturazione con oss: 95, quindi mi toglie l’ossigeno per un po’ e poi la riprova, ma la saturazione si abbassa a 90: quindi rimesso ossigeno a 2 litri questa volta.

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«Tutto è iniziato con un raffreddore», il diario dal Covid di Maria Grazia Nichetti

di Maria Grazia Nichetti

La psicologa Maria Grazia Nichetti fotografata in piazza Duomo a Milano dal marito e collega psicologo Andrea Veronesi: è il 10 gennaio 2021 e la dottoressa Nichetti rimette finalmente piede in centro dopo 3 mesi, uno dei quali passato in ospedale per curarsi dal Covid. La ringraziamo per aver messo a disposizione di tutte e tutti il suo particolareggiato diario dalla malattia che ha infettato il mondo. In questo post la prima parte del suo racconto.

Tutto è iniziato con un raffreddore, nemmeno tanto forte, giovedì 22 ottobre 2020. Dovevano venire a cena mio figlio Michele e la sua compagna Sara. Michele era già qui con noi ma, nel fargli sentire l’odore del lievito madre che stavamo alimentando, mi accorgo di non sentire assolutamente l’odore fortissimo di “vernice” che emana. Subito dico a Michele che non è il caso che si fermino a cena e così se ne va. Quella notte stessa anche mio marito Andrea si sposta a dormire in cameretta.

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Salvatore e Alessandro Quasimodo, il figlio si riprende il palcoscenico

di Maria Elena Sini

Lettera-recensione su Assolo sul padre. Il teatro della vita, la famiglia dietro il Nobel (Aletti 2019), in cui Paola Ciccioli ha reso in forma di monologo gli inediti racconti privati di Alessandro Quasimodo.

Cara Paola,

ho trascorso domenica pomeriggio in compagnia di Assolo sul padre, uno squarcio sulla vita privata di un genio, ma, come dice il figlio “un analfabeta affettivo” che  “l’impatto con la profondità dei sentimenti  lo ebbe grazie all’incontro con mia madre”. Emergono aspetti  insospettabili  del poeta Salvatore Quasimodo per chi ne ha sempre avuto quell’immagine un po’ borghese che traspariva dai suoi sottili baffi neri, da  quel suo vestire composto e accurato, con il borsalino in inverno e con il cappello di paglia in estate. Mi pare che questo libro, con una documentazione preziosa, consenta un confronto tra padre e figlio che forse non è stato possibile quando il poeta era in vita. Finora molti di noi conoscevano solo l’immagine pubblica del poeta, che dopo aver avuto una serie di  occupazioni come impiegato riuscì ad affermarsi con la sua poesia sino a diventare quel monumento onorato  e riconosciuto in tutto il mondo tanto da essere insignito del Premio Nobel per la letteratura.

Illustriamo la recensione di “Assolo sul padre” a cura di Maria Elena Sini con l’immagine dell’impronta e degli scritti autografi di Salvatore Quasimodo che sono stati rinvenuti nella biblioteca Acclavio di Taranto. Un rinvenimento salutato dalla città pugliese come segno di buon auspicio per la proclamazione della capitale italiana della Cultura che avverrà domani 18 gennaio 2021 (Foto da http://www.laringhiera.net)

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L’ipocrisia è confinata “in fondo al corridoio”

di Patrizia Carrano

Un libro importante, una mappatura tra immaginazione e note di cronaca delle reti affettive che, con l’ingresso nelle nostre case di personale di cura proveniente da ogni parte del mondo, cercano una parola nuova per il termine “famiglia”. Allo stesso tempo, una denuncia senza grida e senza appello della frattura tra sistemi valoriali teorici e comportamenti quotidiani, presente anche in dimore insospettabili.

A sinistra in fondo al corridoio di Patrizia Carrano (1000 e una notte, 2019), eccone un assaggio.

Patrizia Carrano con Willy, purosangue alto 1,71 metri al garrese, che la scrittrice definisce “il principe della mia allegria”

Nonostante fosse arrivata a Roma già da dieci anni, Melinda parlava un italiano improbabile, divertente nei momenti di buon umore, ostico se c’erano guai. Giulia scoppiava a ridere quando Melinda diceva di aver cucinato «i carciofi romanisti» oppure di aver trovato nel portone «la cullana» del cane della vicina. Ma si sentiva impotente quando Melinda ascoltava le sue parole con un sorriso dolcissimo, senza aver compreso quasi nulla. Melinda annuiva per gentilezza, per compiacenza, perché le dispiaceva ammettere di non aver capito cosa le si chiedesse di fare. Giulia aveva tentato di usare due o tre delle ore settimanali del suo servizio per insegnarle un po’ di italiano, ma Melinda si nascondeva dietro i panni da stirare – sempre piuttosto pochi, Giulia ormai viveva sola -, le scarpe da pulire – più numerose, visto che Giulia aveva più scarpe di un millepiedi. Invano Giulia s’era accanita a spiegarle che per integrarsi doveva masticare un po’ di italiano: Melinda annuiva, sorrideva come un benigno idolo orientale, ma era palese che dell’integrazione poco le importava. Per mitigare certe iniziali e inopportune impazienze, Giulia si ripeteva che se avesse dovuto prendere un aereo, stabilirsi a Manila, imparare la lingua filippina e gli usi delle case filippine, non ce l’avrebbe mai fatta.

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Le sanitarie ebree della Grande Guerra

di Elena Branca*

Per il 27 gennaio, Giorno della Memoria, vorrei ricordare le sanitarie ebree che servirono durante la prima guerra mondiale ma patirono comunque le leggi razziste. Traggo i dati generali da L’apporto degli ebrei alla assistenza sanitaria sul fronte della Grande Guerra di Rosanna Supino e Daniela Roccas: Durante la prima guerra mondiale sia nei comitati civili che nelle forze armate troviamo moltissime persone di religione o origine ebraica. Molti si arruolarono in Croce Rossa o nella Sanità Militare: nonostante le difficoltà date dagli Archivi, e dal fatto che non sempre gli ebrei si facevano identificare come tali, le due autrici sono riuscite a raccogliere circa 500 nomi, uomini e donne. Nonostante il valore e le tante medaglie, nel 1938 patirono le leggi razziste, costretti a lasciare lavoro e incarichi, e poi nel ’43 molti furono mandati nei campi di sterminio.

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L’amore al tempo delle bombe

di Giulia Berti Lenzi

Una storia familiare che è anche la nostra Storia. Dopo “Da Giulia a Giulia“, il racconto continua.

“Lisetta”, la mamma di Giulia Berti Lenzi in una fotoriproduzione della stessa autrice del post

Durante quel mese di manovre militari a Carlazzo, mio padre conobbe la mia mamma. Se ne invaghì e la corteggiò. Anche a mamma piacque subito il giovane tenente e accettò di passeggiare con lui, sempre scortata dalla sorella maggiore! Si fidanzarono ufficialmente e dopo qualche mese si sposarono. Andarono a vivere a Roma, dove papà era stato chiamato in servizio e dove risiedevano i suoi genitori. Qualche mese dopo mamma rimase incinta di me e, quasi contemporaneamente, papà dovette lasciarla per partecipare alla campagna di Grecia e Albania. Nonna Giulia e nonno Giuseppe la vollero a Torino e la mandarono a prendere. Nel mese di aprile del 1941 nacqui io!

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Da Giulia a Giulia

di Giulia Berti Lenzi

Una nuova storia tramandata oralmente diventa sul nostro blog memoria, scrittura e condivisione.

Giulia Ostinelli Dell’Acqua, nonna materna della nostra Giulia Berti Lenzi, è stata la moglie dell’industriale della seta Giuseppe Del Bo (fotoriproduzione a cura dell’autrice del post)

La mia nonna materna si chiamava Giulia, come me. Dovrei dire, più correttamente, io mi chiamo come la mia nonna! Era piccolina, molto carina. Era nata nel 1885. Giovanissima aveva sposato un giovane dell’alta borghesia milanese di allora, fratello direttore di una banca importante e cugino di un ministro della prima Repubblica italiana. Il mio nonno diventò un grosso industriale della seta, il suo cognome ancora oggi è ricordato tra Milano, Como e Torino, sì Torino, dove aveva impiantato una seteria, oltre a quelle di Como. Nonna Giulia Ostinelli Dell’Acqua e nonno Giuseppe Del Bo ebbero 11 figli. Quattro morirono piccoli, ne rimasero sette. La mia mamma, Lisetta, era la seconda.

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