di Elisabetta Baccarin
L’altroieri un tassista, circa 50 anni: tragitto lungo per lavoro in milano nel traffico. Partiti da un commento a una radio, arrivati parlando di radiopopolare e della cronoscalata delle grazielle. E in mezzo gli appunti partigiani e la diversità delle nostre considerazioni.
«…e che balle mio nonno… E quel cazzo di fucile, che ogni venerdì sera tornato a fine della settimana di lavoro, lo tirava fuori e lo puliva e lo ingrassava. Solo nel ‘77, quando lui stava male, glielo abbiamo buttato. Sarà ancora giù, nel Villoresi. E un bottiglione se ne andava tutte le volte che iniziava a parlare… sono stufo ancora adesso di tutte le volte che da piccolo mi ha raccontato la storia della sua brigata!».
Voci.
Il tema è fondamentale ma non penso solo alle voci che cantano.
Mi vengono in mente i burattinai e i cantastorie, che di voci ne sanno fare mille e ai burattini e alle storie, se vogliono, possono far fare politica.
E mi vengono in mente i fratelli Cervi, che coi Sarzi burattinai di Mantova, che ai burattini facevano fare anche politica, hanno iniziato a fare lotta.
I 7 fratelli Cervi, che sembra una fiaba ma fiaba non è. (Sig. B, ora lo sai?!)
Le staffette partigiane che portavano notizie.
Voci in rivolta o sussurri o solo silenzi dal preciso significato.
I nomi di battaglia che erano anche nomi di animali e di eroi…
“Raccontami una storia!”
E la storia incominciò:
c’era una volta un re…
che adesso non c’è più.
E in mezzo sta la nostra storia. E continuiamo a raccontarcela e a cantarcela e a costruirla a braccia: a fucili buttati, perché non servano ancora.
*E’ uno dei 25 aprile di Elisabetta, quello del 2005. Iniziamo da qui.
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