«Nel mese di aprile del 1941 nacqui io!»

di Giulia Berti Lenzi

Oggi è un giorno speciale per Giulia Berti Lenzi, oggi la sua vita raggiunge il traguardo degli 80 anni e noi la festeggiamo facendo arrivare nella sua casa di Cosenza il suono delle campane di Carlazzo, bellissima località in provincia di Como, cuore geografico della storia familiare che Giulia sta scrivendo per noi. Mentre nei suoi occhi scorrono le vicende della seconda guerra mondiale e dunque la nostra Storia.

DI GIULIA IN GIULIA

La mia nonna materna si chiamava Giulia, come me. Dovrei dire, più correttamente, io mi chiamo come la mia nonna! Era piccolina, molto carina. Era nata nel 1885. Giovanissima aveva sposato un giovane dell’alta borghesia milanese di allora, fratello direttore di una banca importante e cugino di un ministro della prima Repubblica italiana. Il mio nonno diventò un grosso industriale della seta, il suo cognome ancora oggi è ricordato tra Milano, Como e Torino, sì Torino, dove aveva impiantato una seteria, oltre a quelle di Como. Nonna Giulia Ostinelli Dell’Acqua e nonno Giuseppe Del Bo ebbero 11 figli. Quattro morirono piccoli, ne rimasero sette. La mia mamma, Lisetta, era la seconda.

Le due bambine più grandi furono mandate in collegio dalle suore Orsoline, gli altri figli crebbero in casa con una governante e le balie per i piccolissimi. Da Milano la famiglia si trasferì a Como per l’attività del nonno, in una grande villa a Monte Olimpino con un immenso giardino. Non so se oggi c’è ancora. Alcuni anni dopo , poco tempo prima dello scoppio della guerra (la seconda guerra mondiale) fu la volta di Torino, dove nonno Giuseppe poteva seguire l’altra seteria.  La mia mamma era una signorina, ormai, e aiutava il padre come segretaria. Era bellissima, la mia mamma, e non se ne rendeva conto! In estate la famiglia affittava tutti gli anni una casa in un paese sopra Menaggio, sul lago di Como, il paese di Carlazzo, mezza montagna, castagni, prati verdi, aria buona e i ragazzi si divertivano con lunghe passeggiate, corse in bicicletta, giochi  con gli amici e la nonna Giulia si rilassava  serena.

Nell’estate del 1937  il paese si animò perché arrivarono “i soldati”: soldati del genio pionieri che si accamparono in un grande prato vicino al fiume per le manovre e ci restarono un bel mese. La sera, liberi, scorrazzavano per il paese, conoscevano gli abitanti, guardavano le ragazze… li comandava un tenentino, molto severo, molto attento, molto corretto! Era bello, soprattutto quando indossava la divisa militare, con gli stivali lucidi e la camicia cachi sempre impeccabile…

L’AMORE AL TEMPO DELLE BOMBE

Durante quel mese di manovre militari a Carlazzo, mio padre conobbe la mia mamma. Se ne invaghì e la corteggiò. Anche a mamma piacque subito il giovane tenente e accettò di passeggiare con lui, sempre scortata dalla sorella maggiore! Si fidanzarono ufficialmente e dopo qualche mese si sposarono. Andarono a vivere a Roma, dove papà era stato chiamato in servizio e dove risiedevano i suoi genitori. Qualche mese dopo mamma rimase incinta di me e, quasi contemporaneamente, papà dovette lasciarla per partecipare alla campagna di Grecia e Albania. Nonna Giulia e nonno Giuseppe la vollero a Torino e la mandarono a prendere. Nel mese di aprile del 1941 nacqui io!

Finita la campagna di Grecia, mio padre, promosso maggiore, tornò a Torino. Restammo ancora un paio d’anni, ma l’8 settembre del 1943 l’armistizio di Badoglio sconvolse la nostra vita. L’esercito italiano cessò di esistere, fu lasciato a se stesso, in balia degli eventi, come quando si calpesta un formicaio. Soldati, ufficiali, allo sbando furono obbligati a difendersi dai tedeschi che li catturavano, li imprigionavano, li reclutavano per le loro follie. E mio padre, insieme ad altri militari, amici e uomini dovette fuggire.

Lasciò mamma, di nuovo incinta di mia sorella e me piccolissima con i nonni e delle zie a Torino e, con la morte nel cuore, da Carlazzo arrampicandosi sulla montagna, con l’aiuto di certi contrabbandieri raggiunse, insieme agli altri, la Svizzera. Qui fu internato in un campo di raccolta, dove fu scelto, in seguito come ufficiale di collegamento. Intanto, a Torino, che incominciava ad essere bombardata dagli alleati, i nonni decisero di trasferirsi, insieme a mamma e alle altre figlie, anche loro a Carlazzo, nella casa delle vacanze.

Fecero partire prima la mia mamma con un treno da Torino a Milano, con me e qualche bagaglio. Un treno zeppo di gente, che continuava a fermarsi in mezzo alla campagna e che impiegò una vita ad arrivare! Loro l’avrebbero raggiunta appena possibile. Appena scesa dal treno a Milano, aiutata da una signora gentile, mamma fece appena in tempo ad uscire dalla stazione che iniziarono i bombardamenti sulla città! Fu una strage! Tutti lo ricordano! Qualcuno da Como era venuto a prenderci, non so chi fosse! Ci scortò fino a Como, ci mise su un battello che attraversò il lago al buio, a causa del coprifuoco. Di notte arrivammo a Menaggio.

La piccola Giulia con la mamma e la zia a Carlazzo.

“DA ALLORA NON SORRISE PIÙ”

Da Menaggio salimmo a Carlazzo, sempre accompagnate da amici dei nonni, e ci stabilimmo nella grande casa delle vacanze, al pianterreno, perché i piani di sopra sarebbero stati occupati dai nonni e dalle zie. Lì saremmo restate per tutta la durata della guerra. I nonni con le ragazze ci raggiunsero pochi giorni dopo. Di papà nessuna notizia!

Torno indietro col mio racconto: quando eravamo ancora tutti a Torino, uno zio, studente universitario, 21 anni, Vittorino, come molti, troppi giovani di allora si fece convincere dai discorsi di Mussolini, che si era alleato con Hitler, che bisognava occupare la Russia e si preparò a partire per quella assurda e maledetta campagna. Mio padre lo inseguì fino al treno, strattonandolo per la giacca, cercando di fermarlo, ma lui partì e…non tornò più. La famiglia seppe poi che, ferito, era stato caricato su un vagone di altri feriti, ma il treno che avrebbe dovuto riportarli in patria fu bloccato al confine, il vagone fu staccato e i poveri ragazzi morirono lì dentro, soli!

Ormai eravamo sfollati a Carlazzo. La nonna Giulia abitava sopra, al primo piano con le due figlie più piccole e Paolino, il minore dei ragazzi. I tedeschi erano arrivati anche lì. E terrorizzavano il paese: cercavano gli uomini, confiscavano i beni di consumo che trovavano nelle casa. Mamma raccontava che per ben due volte, verso le 4 di notte aveva dovuto aprire la porta per trovarsi davanti soldati che, non trovando uomini si erano portati via da una cassapanca patate e mele che mamma conservava. Al primo piano c’era nonna Giulia con Paolino e il nonno Giuseppe che si era ammalato, era a letto e aveva dovuto abbandonare le sue seterie per i bombardamenti e la sua salute molto precaria. Lo videro, lo lasciarono stare, ma portarono via Paolino (17 anni). Seppi in seguito che fu mandato in Germania in un centro di addestramento dove facevano allenare ragazzi e uomini a torso nudo in mezzo alla neve facendogli mangiare brodaglie di bucce di patate. Paolino morì dopo tre mesi per una leucemia fulminante! Anche nonno Giuseppe fu trasportato all’ospedale di Como, straziato dalla malattia e dal dolore di non sapere niente dei suoi cari figli. Nel corso di qualche mese la povera nonna Giulia perse il marito e quei bei due figlioli. La sua gentile bellezza sfiorì! Da allora non sorrise più.

Continua.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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