«Guardiamo avanti», rimettendoci in gioco dalla testa ai piedi

di Alba L’Astorina

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Il “vecchio” Centro Stile Moda di via Caposile

È come una ferita aperta lo squarcio che le ruspe del cantiere di via Caposile hanno lasciato nell’area a sudest di Milano dove una volta sorgeva la scuola per parrucchieri, Centro Stile Moda. L’enorme buco ha scoperchiato alcune palazzine colorate che per anni erano state celate agli sguardi indiscreti dei passanti dall’edificio della scuola, di cui ora rimangono solo macerie. Le loro finestre, come bocche spalancate, sembrano chiedere un intervento che chiuda presto quella crepa, come una fessura da cui entri troppa corrente o troppa terra. Dovranno aspettare ancora a lungo prima che la nuova costruzione le restituisca al loro antico riserbo, cancellando definitivamente ogni traccia del vecchio Centro Stile Moda Continua a leggere

In ricordo di Teresa Mattei, che ha salvato la vita a mio padre e consentito a me di esistere

di Antonio Del Lungo

Teresa Mattei (1921-2013)

Teresa Mattei (1921-2013)

Teresa Mattei salvò la vita a mio padre Silvano, classe 1922, e conseguentemente ha permesso al sottoscritto di esistere. Nella foto grande è tra mio padre ed Ettore Bernabei in uniforme. Voglio ricordarne la storia…

Due anni fa se ne è andata Teresa Mattei. Filosofa, partigiana, deputata della Costituente, viene tra l’altro ricordata per aver scelto la mimosa come simbolo della festa della donna e per il coinvolgimento personale nella controversa uccisione del filosofo Giovanni Gentile. Voglio oggi raccontare un aneddoto privato che mi coinvolge personalmente: Teresa salvò il destino e la vita di mio padre nel 1944 permettendo, indirettamente, al sottoscritto di esistere. Continua a leggere

Poesia nel mondo offeso

di Vivian Lamarque

POESIA ILLEGITTIMA

Stellina, ma perché piangi…? Orazio

Vivian Lamarque durante la lettura nella Libreria del Mondo Offeso a sostegno di Emergency

Vivian Lamarque durante la lettura nella Libreria del Mondo Offeso a sostegno di Emergency

Quella sera che ho fatto l’amore

mentale con te

non sono stata prudente

dopo un po’ mi si è gonfiata la mente

sappi che due notti fa

con dolorose doglie

mi è nata una poesia illegittimamente

porterà solo il mio nome

ma ha la tua aria straniera ti somiglia

mentre non sospetti niente di niente

sappi che ti è nata una figlia.

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La Resistenza, le nuove resistenze e la nostra “metamorfosi”

di Angela Giannitrapani

Lidia Menapace

Lidia Menapace

«Figlie mie, siate indipendenti. Potrete sposarvi, non sposarvi, cambiare marito ma non dovrete mai chiedergli i soldi per le calze. Perché non si può essere indipendenti dalla testa se non lo si è dai piedi». Questa raccomandazione ricorda Lidia Menapace, tra quelle più importanti di sua madre e la divide con il pubblico di donne che affolla le due sale della Casa delle donne di Milano, dove sabato 11 aprile si è svolto l’incontro: Le Donne, la Resistenza…il Presente, organizzato dal gruppo Libr@rsi e condotto da Francesca Amoni. Protagoniste due inossidabili novantenni: Lidia Menapace e Lidia Custodi. Per un improvviso contrattempo, non è intervenuta Francesca Wronowski Fabbri, la terza invitata a partecipare. Rimando alle loro intense biografie per un approfondimento. Qui mi fermo all’elemento comune che le ha portate all’incontro: entrambe hanno fatto la Resistenza, una delle due con il grado di sottotenente. Entrambe hanno avuto a che fare con la lotta armata; ma tengono a precisare che si sono rifiutate di usare le armi. La Custodi le trasportava soltanto e sorride al ricordo di quella volta in cui, caricati i fucili su un carretto, con le sue compagne completò il carico con la testa e le zampe di un agnello per camuffarlo come trasporto di cibo, facendola in barba ai tedeschi del posto di blocco. Ma ripensa a quanto sarebbe stato bello poter disporre anche della parte mancante dell’animale, perché di fame ce n’era tanta!

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Donne spaziali, imbecillità terrestri

di Roberta Valtorta

samantha-cristoforetti

Samantha Cristoforetti (Milano, 26 aprile 1977) http://www.asi.it/it/flash/abitare/samantha_cristoforetti

Si tratta probabilmente della Preghiera più “popolare” pubblicata da Camillo Langone: passando dal sito ufficiale de Il Foglio si leggono 154 commenti (mai successo per nessun altro pezzo della sua rubrica), circa 17.000 condivisioni tramite Facebook, 240 retweet su Twitter e 115 condivisioni su Google+. Riesce a essere al contempo la più popolare e la più infelice (e in quanto a tristezza ce ne vuole per battere le tante uscite del giornalista de Il Foglio!) Continua a leggere

«Le cose non tacciono mai, sussurrano o urlano incessantemente»

di Elisabetta Baccarin*

«I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia». (I sentieri sotto la neve, Mario Rigoni Stern)

i motivi – miei – per cui mi ritrovo a buttare cose, sono in genere dettati dallo spazio. quello reale, e quello ancora più reale dello spazio disponibile dentro di me. forse perché le cose stanno zitte fino a che non le togli dalla scatola. allora meglio metterle a tacere del tutto buttandole. e lo spazio in casa in cantina in solaio nel cuore, farà –questo il forse e questa la sfida, oltre che l’augurio- spazio ad altro.

il problema è la memoria, quella non si svuota come col cestino del pc.

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L’anoressia e il “vuoto d’amore”

di Massimo Recalcati*

Il post è illustrato con le copertine di tre diverse edizioni della raccolta "Vuoto d'amore" di Alda Merini

Il post è illustrato con le copertine di tre diverse edizioni della raccolta “Vuoto d’amore” di Alda Merini

L’anoressia è una sorta di patema d’amore e quindi, se c’è un masochismo femminile nell’anoressia, potremmo pensare a questo masochismo femminile come a una scrittura radicale del discorso amoroso, un patema d’amore, insomma.

L’intervento di Macola mi ha evocato un episodio legato a una conduzione della cura con una paziente anoressico-bulimica molto grave di circa 30 anni che aveva, da diversi anni ormai, un rapporto col cibo da tossicodipendente. C’è un momento dei preliminari di questa cura che mi sembra rilevante: accade per una circostanza particolare che io arrivi in studio con circa 2 ore di ritardo e non trovo la paziente; al posto della paziente però trovo un biglietto dove lei mi scrive che ha percepito la mia mancanza in un modo diverso rispetto alla mancanza del cibo, cioè non l’ha percepita allo stomaco. Quindi un incontro mancato ha aperto un vuoto, ma l’ha aperto non nello stomaco, non nel corpo anatomico, ma nel desiderio. È un vuoto che potremmo chiamare un “vuoto d’amore” e che ha permesso a questa paziente intanto di non ricorrere all’abbuffata bulimica e poi di portare una metafora: l’analista in quanto oggetto è mancato tanto quanto prima mancava il cibo, dunque un significante ha preso il posto di un altro significante e ha reso possibile una costruzione metaforica.

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Zita e «il richiamo per scegliere il cibo giusto»

di Angela Giannitrapani*

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“La lattaia” (particolare), «dipinto a olio su tela di Jan Vermeer, databile al 1658-1660 circa e conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam.» (da Wikipedia)

Da quanto tempo non andava più al cinema o leggeva un libro? Se lo chiese mentre si preparava il suo primo pranzo da vedova, ma il profumo di mare che esalava dal pesce le restituì il senso del suo corpo e con esso anche lo spirito. Aveva salato a dovere, aveva aggiunto un ciuffo di prezzemolo e una fetta di limone all’acqua, avrebbe anche potuto aggiungere uno spicchio di aglio per dare a quel severo pesciolino un po’ di vivacità, perché Zita non era certo vecchietta da minestrine e pappine pallide. Sentiva che il sangue le scorreva nelle vene con certi cibi ed era fermamente convinta che chiunque avesse bisogno di tutto ciò che il Padreterno aveva messo a disposizione degli uomini per coltivare e raccogliere, nulla escluso. L’alternanza dei colori a tavola, dei profumi delle stagioni, delle forme della terra, dei sapori che l’abilità e la fantasia di una cuoca sapeva miscelare erano un comando preciso del suo corpo e di tutti i corpi che solitamente vengono affidati a una donna. Certo, molti di loro non lo sanno e dunque vanno istruiti, educati e allenati ad ascoltare il richiamo per scegliere il cibo giusto. Aveva fatto così per i suoi bambini, inondandoli degli aromi della sua cucina, delle sue carni pasticciate, dei pesci variopinti, dei fritti dorati, delle verdure nascoste, delle uova mascherate e dei frutti in pezzi audacemente maritati e talvolta benedetti, perché no, con uno spruzzo di vinsanto. Aveva anche abbreviato le canoniche fasi dello svezzamento, con sua grande soddisfazione e con quella dei suoi figli. Solo con il marito non era riuscita ad ampliare il repertorio, metodico e abitudinario com’era. Man mano, però, negli anni aveva ritoccato qua e là le sue pietanze aggiungendo, sempre aggiungendo, mai togliendo e aveva finito per dare personalità e, a suo giudizio, gusto a quei piatti monotoni e incolori che solo una donna distratta e infelice può somministrare a un uomo.

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«Lo sguardo di cui son gelosa»

Ed ecco il sonetto con il quale Emma Coccanari Marconi, la “nonna Emma” di Mariagrazia Sinibaldi, esprime l’amore per il marito Giuseppe e le ansie per il suo lavoro di «direttore dell’officina elettrica di Subiaco che portava la corrente elettrica a Roma».  «Nonna Emma era tanto “storiosa”», racconta Mariagrazia mentre, tirato giù ancora una volta il quadro con il sonetto incorniciato, controlla punteggiatura e accenti. «Il lavoro del marito la terrorizzava. Del resto, la nostra attuale paura dell’energia nucleare assomiglia a quella che ai suoi tempi incuteva l’elettricità. E, a ripensarci, adesso capisco perché in Sardegna mi sono persa a contemplare i disegni dei cavi tra tralicci e nuvole…».

Emma Coccanari Marconi, la "nonna Emma" di Mariagrazia Sinibaldi (foto dal suo archivio privato)

Emma Coccanari Marconi, la “nonna Emma” di Mariagrazia Sinibaldi (foto dal suo archivio privato)

di Emma Coccanari Marconi 

Ei dalle lunghe veglie affaticato

Sui tripli fili lo sguardo stanco posa.

Lo sguardo che in me suole innamorato

fissar, lo sguardo di cui son gelosa.

 

Il notturno feral manto è calato,

ma ratta una corrente misteriosa

sui lunghi fili ha l’Amor mio mandato,

e sui Romulei colli radïosa

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Dichiarazioni d’antan e specchi d’amore

«Ecco: oggi ho ritrovato quel cartoncino e voglio pubblicare la dichiarazione d’amore in versi di nonno Beppe a nonna Emma… e voglio pubblicare anche il sonetto (trovato anche lui nella preziosa scatoletta) scritto da nonna Emma a nonno Beppe, un po’ di anni dopo, quando nonno era direttore dell’officina elettrica di Subiaco cha portava la  corrente elettrica a Roma e “s’impicciava” (diceva lei) di quella terribile cosa che era l’elettricità».

L'ingegner Giuseppe Marconi, "nonno Beppe" (dall'archivio privato di Mariagrazia Sinibaldi)

L’ingegner Giuseppe Marconi, “nonno Beppe” (dall’archivio privato di Mariagrazia Sinibaldi)

Il desiderio di Mariagrazia, la nostra Mariagrazia Sinibaldi, è esaudito. Il suo post «La prego, signorina, indossi la sua bella camicetta rosa» è riuscito come sempre a suscitare emozioni e riflessioni: qui, su Facebook, nelle chiacchierate private e nelle mail che accompagnano la preparazione e l’impaginazione degli interventi. È successo anche a proposito dei suoi divertenti interrogativi storici su Osimo, la cittadina marchigiana dove c’è un palazzo intitolato alla famiglia Sinibaldi e dove Mariagrazia ha trascorso anni importanti della propria vita. Il seguito è già in cantiere.

Adesso la parola passa all’ingegner Marconi, “nonno Beppe”. Poi sarà la volta della risposta in rima di “nonna Emma”. Emerse dalla scatola dei ricordi, le loro parole d’amore sono ora in cornice nella casa di Mariagrazia.

SPECCHIO D’AMORE

di Giuseppe Marconi

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