Elisabetta, “La bambina che mangiava i comunisti”

di Paola Ciccioli

Sembrerebbe ormai assodato che i comunisti non mangiano i bambini. Anche perché quelli che avevano in tasca la tessera del Pci non ci sono più per conclamata estinzione del Partito, fondato nel 1921 e sciolto nel 1991. In mezzo ci sono passaggi cruciali della storia politica e culturale italiana, che adesso ci vengono restituiti attraverso la sguardo di una bambina. Una bambina piccola e curiosa che, al seguito della madre, a Roma si intrufola nelle riunioni dei grandi e ne osserva le crisi, conosce gli artisti che sanno quali sono le osterie dove mangiare senza pagare, vede ingrossare attorno a sé il fiume delle aspiranti celebrità.

La piccola si chiama Elisabetta ed è la protagonista del nuovo libro di Patrizia Carrano, “La bambina che mangiava i comunisti”, in uscita ad aprile per Vallecchi.

Autrice di venti romanzi, tradotta in cinque lingue, sceneggiatrice, commentatrice per un ventennio del Festival del cinema di Venezia su Rai1, Patrizia Carrano vive e pratica l’amore per gli animali e in questa foto, che ho avuto da lei, è con Willy, purosangue che la scrittrice e giornalista definisce «il principe della mia allegria».

Patrizia Carrano con il suo “principe”, Willy (foto dall’archivio della scrittrice)

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“Stoner”, l’eroismo del perdente

di Carla Bielli

È stato definito il “romanzo ferfetto”. Se lo conoscete diteci se è vero e perché. Ecco intanto cosa ne pensa Carla Bielli del gruppo di lettura “Il vizio di leggere” di Roma.

«William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido». Queste sono le prime 5 righe del romanzo Stoner di John E. Williams (Fazi Editore).

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“Semplicemente”, noi nella Milano di Andrea Cherchi

di Andrea Cherchi*

Il fotografo e giornalista Andrea Cherchi in un’immagine dal suo profilo Facebook (https://www.facebook.com/andrea.cherchifoto.3). Ogni giorno saluta i propri follower pubblicando un bellissimo scatto accompagnato da queste parole: “Con questa foto che ho scattato tempo fa auguro a tutti una buona giornata”. Per Gallo Edizioni ha pubblicato nel 2018 uno splendido libro fotografico “Semplicemente Milano” che, come scrive nell’introduzione, riesce a trascinare nel suo “mondo milanese con lo spirito di un bambino che si meraviglia di fronte ad ogni cosa e trasforma tutto in sogni”. Sotto, le pagine del libro con i suoi ritratti di Paola Ciccioli e Luca Bartolommei

Oggi, alla Vigilia di Natale, rivolgo uno sguardo al mio Natale di 46 anni fa. Il primo Natale in una famiglia vera. Pochi mesi prima ero arrivato dall’orfanotrofio in una casa dove dalle finestre vedevo la luce del giorno. La luce della vita. 46 anni fa, nel mio primo vero Natale, avevo una mamma e un papà anch’io. Il mio primo regalo di allora è stata una famiglia. Da quel giorno, facendo o ricevendo un regalo, non ho mai smesso di pensare alla fortuna che il buon Dio ha voluto per me. Oggi come allora, ringrazio chi mi ha messo al mondo per avermi risparmiato dalla morte e chi mi accolto e mi ha salvato la vita. La parola abbandono contiene la parola dono… ci avete mai pensato? A volte è davvero così. Auguri di Buon Natale a tutti.

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“L’onda nera che minaccia la città di Fo e Quasimodo”

di Leonardo Coen*

Questo ritaglio del “Corriere della sera” del 17 giugno 1968 proviene dall’archivio di microfilm della Biblioteca Sormani di Milano. Fu uno dei più grandi intellettuali italiani, Carlo Bo, a firmare il ricordo di Salvatore Quasimodo, scomparso il 14 giugno a Napoli. Il ritardo nella pubblicazione si deve al fatto che c’era in quei giorni uno sciopero dei giornali, infuriava il ’68 e lo stesso poeta Premio Nobel ne aveva scritto nelle ore precedenti la sua morte nell’ultimo dei suoi “Colloqui” per il settimanale “Tempo”. Tutto questo è raccontato nel libro “Assolo sul padre” che riporta testimonianze private e documenti inediti di Alessandro Quasimodo e di cui l’autrice Paola Ciccioli leggerà un’anticipazione sabato 17 novembre in corso Garibaldi a Milano (https://www.facebook.com/events/759577767714123/)

L’altro giorno, in un bar di Porta Romana, ho sentito dire che forse “è un bene stia tornando il fascismo. Così tutti questi immigrati metteranno la testa a posto”. Altrimenti, gli sparano alla testa, avrebbe ironizzato Dario Fo, come hanno fatto in Calabria. D’altra parte, Milano è la città dove ad un anarchico arrestato capitò una morte accidentale, volando giù dal quarto piano della Questura.

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Quasimodo torna in San Simpliciano

Un ritaglio del “Corriere Milanese” sui funerali di Salvatore Quasimodo celebrati nella Basilica di San Simpliciano il 17 giugno 1968. Dall’archivio privato del figlio del poeta, Alessandro Quasimodo

Distorto il battito

della campana di San Simpliciano

si raccoglie sui vetri della mia finestra.

Il suono non ha eco, prende un cerchio

trasparente, mi ricorda il mio nome.

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Il viaggio in Germania di zia Adina: sola, analfabeta e con il bagaglio dell’amore

di Eliana Ribes

Ma quale forza può sprigionarsi da una donna? Oggi la domanda riguarda Adina Malpiedi, la nostra zia Adina, che ha vissuto a Urbisaglia, nelle Marche, paese dove è nata anche l’autrice del post. Moglie di Virginio Agostinelli e madre delle gemelle Marina e Rosina, questa donna semplice e sorridente, ha sfidano (ma senza saperlo) pregiudizi e consuetudini, per stare accanto alla figlia emigrata che stava per partorire. Ecco la seconda e ultima parte del racconto di Eliana Ribes.

Adina Malpiedi, zia Adina, con le figlie Marina e Rosina (che ringraziamo di tutto cuore per aver fornito a Eliana Ribes questa foto dell’archivio privato)

Zia Adina era una bella donna, alta, robusta, con i capelli neri sempre legati a crocchia dietro la nuca. Da giovane aveva lavorato in filanda, ma da quando questa era stata chiusa non le metteva pensiero alcun genere di fatica. Si prestava anche ad aiutare nonno che faceva il cementista, un mestiere pesante. Me la ricordo con dei manicotti grigi fin sopra il gomito, che si infilava per preservare la pelle dall’irritazione del cemento e per non sporcarsi. Sempre silenziosa e attenta alle indicazioni di nonno che era molto esigente. Facevano tutto a mano, con delle forme di metallo o di legno, anche l’impasto, perché non c’era certo l’impastatrice. Comunque, un’ora prima che ritornasse a casa il marito, zio Virgì, che faceva l’operaio e andava a lavorare in bicicletta (doveva percorrere una quindicina di chilometri), lasciava perdere tutto e gli preparava la cena. Il profumo di quello che cucinava invadeva tutta la casa e mi faceva venire l’acquolina in bocca.Per me, comunque, l’impresa più memorabile è stata quando ha affrontato da sola, senza sapere né leggere né scrivere, il viaggio per la Germania. Continua a leggere

Figli (e cognomi) di madri e padri

«È illegittima la norma che impone l’attribuzione automatica ed esclusiva del solo cognome paterno. I neo genitori, quindi, possono ora attribuire al loro figlio, di comune accordo, il doppio cognome  – paterno e materno – al momento della nascita. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale».

Questo si legge sul sito del Ministero dell’Interno. La questione del doppio cognome è questione di diritti, dunque deve assolutamente interessarci. Per questo pubblichiamo le riflessioni della Rete per la Parità su una recente circolare che, anziché riempire vuoti interpretativi, sembra voler aggiungere dubbi a vecchi ritardi.

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«E allora Sarah, tua moglie, avrà un figlio»

di Antonella Anghinoni*

“Sarah, La principessa” di Antonella Anghinoni, illustrazioni di Alessandra Mantovani (Paoline Editoriale Libri)

La sua famiglia viveva serena nel paese di Ebron a Sud di Gerusalemme, alle Querce di Mamre. In una mattina assolata e afosa, mentre Abraham si trovava seduto davanti alla tenda, gli sembrò di scorgere lontano la figura di tre uomini che si stavano avvicinando. Era circa mezzogiorno e il sole era alto nel cielo e con il suo calore bruciava gli occhi, tanto che Abraham se li strofinò meglio per capire se quegli uomini fossero reali o si trattasse di un’allucinazione.

Si trattava proprio di tre stranieri, i loro abiti erano diversi da quelli degli ebrei. Erano quasi giunti alla tenda. Abraham andò loro incontro e s’inginocchiò invitandoli a entrare.

– Permettete che vi faccia portare dell’acqua fresca, così potete lavarvi i piedi.

Era infatti un’usanza ebraica far lavare i piedi all’ospite, giunto dopo un lungo cammino.

– Accomodatevi pure sotto l’albero, vicino alla mia tenda. Vi farò preparare del pane per ristorarvi e poi potrete proseguire il vostro viaggio.

In realtà i tre stranieri erano tre angeli, ma Abraham lo ignorava.

Egli corse da Sarah e disse:

– Presto, prendi del fior di farina, impastala e prepara delle focacce per i tre ospiti.

Sarah era davvero una cuoca eccellente. Ne avrebbe preparato per una capacità di quaranta litri, segno di un’ospitalità generosa come la generosità sovrabbondante di Dio.

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Il silenzio dei padri per le notti di Arcore

 

Questo bell’articolo di Claudio Fava ci è stato segnalato dall’amica artista Giuliana Bellini.

Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l´evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell´Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all´imbocco della notte Continua a leggere