Leggere

a cura di Paola Ciccioli

Al Palazzo Madama di Torino è aperta fino al 1° luglio 2019 la mostra “Leggere” di Steve McCurry di cui noi avevamo parlato così in occasione di una precedente esposizione.

Blogger, scrittrici, studiosi, collaboratrici e collaboratori, soci, amici, musicisti, pensionate, precarie, docenti, giornaliste, ex allievi, giovani professioniste e professionisti: l’appello è incompleto, d’accordo, però siamo in parecchi. E ognuno di noi, transitando su questo blog, ha lasciato una traccia del proprio rapporto con la lettura. Perché per noi leggere, e incoraggiorare a farlo, è importante. Anche per questo la mostra di Steve McCurry che verrà inaugurata a Brescia il 7 marzo già ci piace: si intitola “Leggere”!

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Steve McCurry, “Afghanistan, 2002”. In occasione di Brescia Photo Festival 2017, dal 7 marzo al 3 settembre il Museo di Santa Giulia ospiterà la mostra “Steve McCurry. Leggere”, curata da Biba Giacchetti e con contributi letterari di Roberto Cotroneo. In 70 fotografie, scattate in tutto il mondo, «l’atto intimo e universale del leggere» (http://www.bresciamusei.com/)

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La signorina Rita e le altre

La prevalenza dell’estetista. Un omaggio a tutte le «cinzia tami gaia elena rossella giada maria letizia elisa silvia» del mondo «scritto a quattro mani e piedi e unghie, da betta e alba, quest’ultima adattandosi alla scrittura diretta senza punteggiatura né maiuscole di betta, come un respiro a lungo trattenuto e poi emesso tutto d’un soffio senza pause» 

di Elisabetta Baccarin* e Alba L’Astorina

i piedi danzanti di denise fabbiani che il prossimo natale troveranno sotto l’albero una pedicure

i piedi danzanti di denise fabbiani che il prossimo natale troveranno sotto l’albero una pedicure

per parecchi anni della mia vita, direi una trentina, ho frequentato estetiste, coloro che provvedono a estirpare peli, limare e smaltare unghie, ripulire pori, levigare e massaggiare pelli. Il loro lavoro è prendersi cura dei corpi degli altri, renderli più belli e migliorare il migliorabile senza mai arrendersi all’evidenza. il loro lavoro vede i corpi in posizioni nelle quali forse nemmeno un medico legale vede, acrobazie per eliminare fino all’ultimo pelo, pelle morta grattugiata via da calli, unghie da ripulire, linfa da svuotare, sedimenti da far espellere dai pori. nei primi dieci anni tutte le mie estetiste, qua e là in base al luogo degli studi o del mio lavoro del momento, hanno dovuto accontentarsi di pittarmi di smalto trasparente le unghie delle mani limate quadrate e corte un millimetro, togliere il superfluo dal mio pube (il giusto) e dalle mie gambe (meno) Continua a leggere

Ettore, il destino di un nome fa ritrovare due fratelli nella Rete

di Elisabetta Baccarin

Elisabetta, la lettera dal campo di concentramento di bolzano

La lettera di Ettore Baccarin spedita dal campo di concentramento di Bolzano. Grazie alle ricerche di Elisabetta Baccarin, pubblicate sul nostro blog, un prezioso incontro in Rete ha messo insieme due pezzi di famiglia e di Storia

“Carissimo Albano e Gilda dopo circa due mesi che manco da casa, vengo a voi con questo mio biglietto, facendovi sapere che la mia salute va bene come spero che sarà pure di tutti voi. Caro Albano mi trovo in campo di concentramento a Bolzano, dunque il motivo che sono qui io, è a causa del rifugio che sai bene anche tu, speriamo al meno che non servi. Caro Albano mi perdonerai se ti domando un gran favore se puoi quando ricevi questo scritto di mandarmi un pacchetto con un po’ di pane biscotto e un po’ di tabacco, magari di quello in foglia, come puoi e qualche pacchetto di cartine. Se puoi mi mandi anche un po’ di danaro in sicurata, che se avrò la grazia di tornare tutto ti sarà ricompensato. Gli ho scritto pure a mia moglie che mi mandi qualche cosa ma io so le condizioni che si trova la mia famiglia!

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«Le cose non tacciono mai, sussurrano o urlano incessantemente»

di Elisabetta Baccarin*

«I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia». (I sentieri sotto la neve, Mario Rigoni Stern)

i motivi – miei – per cui mi ritrovo a buttare cose, sono in genere dettati dallo spazio. quello reale, e quello ancora più reale dello spazio disponibile dentro di me. forse perché le cose stanno zitte fino a che non le togli dalla scatola. allora meglio metterle a tacere del tutto buttandole. e lo spazio in casa in cantina in solaio nel cuore, farà –questo il forse e questa la sfida, oltre che l’augurio- spazio ad altro.

il problema è la memoria, quella non si svuota come col cestino del pc.

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«Viaggiò tutta la vita intorno a un tavolo (senza peraltro combinare un cavolo)»

di Elisabetta Baccarin

La copertina di Annabella del 25 gennaio 1979 dedicata a Brunella

La copertina di Annabella del 25 gennaio 1979 dedicata a Brunella Gasperini

il nome brunella gasperini vi dice niente? non vi è mai capitato di leggere qualcosa di suo? peccato, ma potete rimediare al volo a questo link.

oppure avete qualche capello bianco e avete letto la sua rubrica Ditelo a Brunella sulla rivista Annabella? 25 anni di pubblicazione. della rubrica non ho letto nulla tranne quel che si ricava dai ritagli nella rete, ma ho letto quasi tutti i suoi libri. alcuni mi erano stati passati da mia cognata, io 15enne e lei 22enne, parecchi altri recuperati nelle biblioteche o acquistati. leggevo, sottolineavo, leggevo e ridevo e leggevo e scrivevo leggevo e piangevo. poi negli anni l’ho riletta, e confesso di riguardare spessissimo quelle pagine sottolineate, rendendomi conto che quando dico che rido come mille che ridono o che se avessi orrore dei mali del mondo non sarei io, è perché ho tenuto con me quel suo modo di dire, ho conservato in quelle parole cose che non saprei dire e trattenuto anche qualche suo modo di scrivere. grazie a lei ho scoperto quella poesia di neruda, che io avevo fatto mia e tuttora, adattandola, dice di me più di quanto potrebbe fare chiunque, compreso me… non chiedetemi niente, toccate qui, sotto al cappotto e sentite come palpita questo sacco di pietre oscure. Continua a leggere

Nel campo di concentramento la scoperta di un tassello di storia e di dolore della mia famiglia

Testo e foto di Elisabetta Baccarin

A Dachau, visitando l’esposizione permanente all’interno degli ex edifici di manutenzione, sono rimasta colpita da questa carta d’identità.

Foto Dachau

mi è balzata agli occhi per quanto è simile alle nostre attuali.

mi ha fatto ricordare del fratello di mio nonno, ettore baccarin, che da vari documenti in rete ho scoperto essere nato a teolo PD il 26/1/1904, arrestato a teolo, deportato da bolzano il 14/12/1944 a mauthausen e deceduto a melk il 12/2/1945. (fonte: ’elenco dei deportati da Bolzano a Mauthausen’ in http://www.venegoni.it/venegoni_sec.pdf).

 pagina 4 del registro delle morti del 12 febbraio 1945

La pagina 4 del registro dei morti del 12 febbraio 1945

prigioniero numero 113875. nella foto qui sopra il registro che riporta il suo nome e i suoi dati nella pagina dei decessi del giorno. non conosco il motivo dell’arresto. una mia zia di quasi 90 anni ricorda che lui lavorava come mio nonno in miniera e l’avevano accusato di aver fornito polvere da sparo, ma non ne ho alcuna certezza. da altre fonti pare che giaccia in fossa comune e non sia esumabile.

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Un dito sopra quei numeri come un bacio sulla bua dei bimbi

di Elisabetta Baccarin*

Elisabetta,  gen monaco

Elisabetta Baccarin all’Englischer Garten di Monaco di Baviera

io ho visto prima le mani.

stava aiutandomi a smontare pezzi della sua giardinetta fiat che si trovava arrugginita da anni nell’aia della cascina dove abitava e che mi sarebbero serviti per aggiustare la mia. Alcune sue galline amavano far le uova in quell’automobilina e lui aveva messo del fieno sui sedili per renderla più accogliente.
ha messo una mano vicino alla mia mentre tenevo fermo un pezzo che lui ha smontato.

ho detto
‘che mani grandi che ha!’

e lui di getto
‘sì. ho mani grandi. deformi. me le hanno martellate in campo di concentramento. non ce la facevo più a lavorare. non riuscivo più a stringere i pezzi di ferro che mi obbligavano a lavorare. allora me le hanno martellate. poi sono guarito. ma non del tutto’.

Elisabetta, dachau 1 gennaio 2015

Dachau, 1° gennaio 2015

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«…e figghja mia e ccu ti canuscìa?!». Il ritorno al paese dove sono nata

di Elisabetta Baccarin*

madre e mia nonna in arrivo da soverato

«La stazione che nel 1959 accolse mia madre e mia nonna in arrivo da Soverato», scrive Elisabetta allegando a una mail questa foto dello stesso anno: lei l’ha trovata in vendita su ebay

il ritorno al paese dove sono nata.

le solite occasioni per tornarci, matrimoni e funerali.

e siccome né di venere né di marte ‘nci si spusa né si parti’, venerdì c’era un funerale: quello della signora marianna.

marianna, 65 anni, una vita normale.

una vita normale in cui è normale darsi una mano fra tutti. normale.

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«Ho pensato alle bombe, al rumore che si può sentire. Alle conseguenze»

Gaza Under Attack per post di Elisabetta

Una bambina protegge la sua bambola dalla visione delle distruzioni della guerra. L’immagine è stata diffusa su Twitter (e altri social network) con il titolo “Gaza under attack”. Su http://www.repubblica.it il bilancio provvisorio di vite umane del conflitto israelo-palestinese: «A partire dall’8 luglio scorso, i morti sono stati complessivamente 1910, di cui 1843 palestinesi, 64 soldati israeliani, due civili israeliani e un thailandese. Il bilancio è redatto dall’agenzia umanitaria dell’Onu Ocha. I feriti palestinesi sono 9.560. Tra i morti palestinesi l’Ocha conta 1354 civili (pari al 73 per cento), di cui 415 bambini e 214 donne. I palestinesi morti, che facevano parte di gruppi armati, sarebbero 216».

di Elisabetta Baccarin

Ieri notte durante il nubifragio un fulmine è esploso in cielo e si è scaricato su un pilone dell’energia elettrica. I gatti sono saltati per aria, mi è volato il cellulare di mano e sono quasi caduta dalla sdraio per l’esplosione.

Ho pensato alle bombe, al rumore che si può sentire. Alle conseguenze.

E seguendo i pensieri sono passata per parole ai fiori: fuoco artificiale arto artificiale fiore artificiale.

Fuoco artificiale è sbagliato: fuoco d’artificio.

Così come troppe volte risulta sbagliato arto artificiale: sarebbe più onesto dire arto d’artificio, che è quello che si mette ai bimbi che se li giocano sulle mine, gli arti.

 

Chi sé mina, vento raccoglie. C’è tensione nei miei pensieri, forse dovrei smorzarla.

Rischio il corto circuito, ma dov’è l’interruttore?

Non trovo il filo conduttore e agisco senza protezione e senza terra. Agire, appunto. A che punto è ‘sto ago? Punto croce, ma non di sant’Andrea. Andrea andrea, andare andare. And are…  chi mi toglie la spina?

Spina di p’esce che nuota o spina di r’osa che cuoglie…  tolgomettolaletterina, ma come arrivo a domattina?

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La tigre Patrizia e le madri che non si piegano per i figli di tutti

di Elisabetta Baccarin

Patrizia moretti

Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi. Ha scritto: «Vedo Federico in ogni giovane che incontro»

è ora che io lo scriva, finalmente, non solo in una mail a colleghi.
non so da dove cominciare, ma comincio dal gelo provato davanti alla questura di ferrara.
ero appena uscita da palazzo diamanti per la mostra di matisse. il giorno prima, sempre a ferrara, pioveva e ho perso il mio nuovo berretto inglese. poi un lampo mi ha fatto ricordare, mentre mi stavano arrivando dei passatelli per cena, che ce l’avevo in mano fino al momento di appoggiarlo per guardare a due mani tutte le moleskine di tutti i colori gli usi le righe i quadretti e le idee. volevo comprarmi un taccuino per appuntare i pensieri che mi nascono per caso e che se non appunto mi scadono. avevo comprato un libro di cui non sapevo l’esistenza. ho fatto 3 volte il giro della libreria, facevo il mio solito gioco dei regali ‘questo su berlinguer andrebbe bene per pinco, questo sulla matematica per pallo, quello per la mia capo, l’altro per la mia collega. e quel libro, quello che ho comprato, era per me.

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Va’ pensiero sull’ali d’orate

di Elisabetta Baccarin

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Illustrazione da marketingjournal.it

sabato al supermercato per non prendere a calci la gente ho preso a sberle le orate.
perché la gente porta i bambini in gita al supermercato? perché?
perché si deve andare tutta la famiglia a fare la spesa?
alle casse gente in preda a crisi isteriche se il nastro non scorre a dovere,
se quello prima di te si imbrana con il pin del bancomat,
poi vai a casa e quella che tenevi sottobraccio e con la quale hai spinto il carrello nel limbo del centro commerciale,
la meneresti con il manico della scopa mentre vi accingete a fare 4 salti in padella,
che di uscire il sabato sera ormai è cosa impossibile.
ma non è colpa dei 2 figli che hai fatto e nemmeno del brutto tempo:
è colpa del fatto che se esci in 4 da casa per una pizza,
il conto è quello di una giornata sulle piste da solo.
quindi non vai più nemmeno a sciare da solo.
tua moglie ha una ricrescita che ce l’ha anche madonna e si illude sia alla moda,
ma non lo è e se lo dice da sola guardandosi allo specchio. Continua a leggere

Grazie a quelle che aspettavano a casa e a quelle che combattevano

di Elisabetta Baccarin

«La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo.
Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace».

(Tina Anselmi, staffetta partigiana)

Tina Anselmi, nome di battaglia Gabriella

Tina Anselmi, nome di battaglia Gabriella (Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927 – 31 ottobre 2016)

E chi se lo aspettava di scoprire una sera per caso al Leoncavallo un minuscolo librettino sugli scritti di don Milani?
E di non riuscire a staccare gli occhi fino a quando le parole conclusive di Carlo Galeotti (il curatore del libro) hanno lasciato non punti interrogativi ma solo punti fermi.
Certezze.
Certezza di sapere a cosa non avrei voluto partecipare e a cosa ancora oggi non intendo prestare né la mia mano né il mio fianco ma neppure l’altra guancia.
«…in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa dalle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano i civili, dall’altra i militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato».
Queste parole sono uscite da quella beata bocca pensante che aveva don Lorenzo Milani. Molte altre ne ha dette, rischiando e affrontando processi, chiedendo ai cappellani militari con quale faccia, con quale morale, con quale diritto potevano accusare gli obiettori; quale fosse il loro concetto di patria e del verbo ripudiare usato nella Costituzione. Continua a leggere

Bella Ciao ce l’aveva nel cuore

di Elisabetta Baccarin

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Quest’anno è diverso: per tanti motivi, per poche ragioni.
Un motivo…
Ci siamo trovati a cantare sulla Cisa, venendo via da un inferno sapendone uno migliore.
Almeno da vent’anni non cantavamo insieme ed è stato un bel modo per dirsi qualcuna delle ultime cose sentendone ogni stonatura. E poi Ettore mi ha chiesto: ma noi siamo partigiani perchè siamo partiti?
La sua testa, mannaggia… ma tanto Bella Ciao ce l’aveva nel cuore e se l’è ricordata tutta!
Sarà più difficile questo 25 Aprile: ce n’è uno in meno che canta con noi. Quest’anno scrivo poco, ma canterò più forte dalle Langhe di quel Johnny che gli piaceva molto.

*Questo è il secondo “appunto partigiano” di Elisabetta, datato 2004.

Appunti partigiani

di Elisabetta Baccarin

 

Elisabetta Baccarin

Elisabetta Baccarin

L’altroieri un tassista, circa 50 anni: tragitto lungo per lavoro in milano nel traffico. Partiti da un commento a una radio, arrivati parlando di radiopopolare e della cronoscalata delle grazielle. E in mezzo gli appunti partigiani e la diversità delle nostre considerazioni.

«…e che balle mio nonno… E quel cazzo di fucile, che ogni venerdì sera tornato a fine della settimana di lavoro, lo tirava fuori e lo puliva e lo ingrassava. Solo nel ‘77, quando lui stava male, glielo abbiamo buttato. Sarà ancora giù, nel Villoresi. E un bottiglione se ne andava tutte le volte che iniziava a parlare… sono stufo ancora adesso di tutte le volte che da piccolo mi ha raccontato la storia della sua brigata!».
Voci. Continua a leggere

Cade la corona (quando ti fai un giretto in certi ospedali)

di Elisabetta Baccarin

betta coi papaveri

Elisabetta, un fiore

ebbene sì, ne prendo atto. sono decisamente una donna di mezzetà.
inutile che io tiri le somme. non ho mira.
però qualcuno in passato sosteneva che, sebbene avessi il 3 fisso in matematica e me la cavassi di gran lunga meglio con le parole,
avessi una sorta di pensiero scientifico.
probabilmente solo per il fatto che mi ritrovo a scomporre tutto ai minimi termini o a trovare il comun denominatore delle cose in generale e nelle mie in particolare, felicità e infelicità comprese.
dell’insieme felicità e infelicità, classifico quelle reiterate e quelle una tantum, scarto le infelicità infinitesime o elevo le piccole felicità a potenza per renderle infinite.
vale lo stesso per le paure, per le ansie non apro nemmeno l’argomento.
anzi sì. la classificazione è per quelle del momento, per quelle che durano e non se ne vanno e che vivono nutrendosi della statistica che da sempre me le incute dicendomi che devo morire, o che divento cieca o che mi amputano le gambe. io chiedo solo che non mi si fottano gli occhi e la testa perché giuro che me ne torno da di là dove finisco e me li riprendo a suon di calcinculo. ehm. scusate, mi è caduta la corona.  Continua a leggere