«La dittatura ci vietava di scherzare perché ridere era considerato immorale»

di Tefta Matmuja*

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Tefta Matmuja fotografata a Ischia dal compagno Christian. Il racconto che vi proponiamo è una lezione viva sulla storia recente ed è stato presentato da Tefta al workshop internazionale “Immigrazione al femminile e diritto all’educazione”, che si è tenuto a Roma presso il Centro di servizio per il volontariato nel Lazio (tutte le immagini provengono da Facebook)

Parlare del diritto delle donne allo studio, mi porta indietro nel tempo, nel lontano 1985, in Albania, dove vigeva il regime comunista.

Il primo settembre, avevo solo 6 anni, mi ricordo che l’emozione ed il timore, nascosti sotto il grembiule color nero, con il collare bianco e la bandana rossa, in fila in mezzo alle stesse emozioni di tanti che, come me, aspettavano la fine del giuramento recitato dalla migliore studentessa delle classi superiori, dedicato al tanto amato Enver Hoxha, al Partito, alla patria. Tutto questo solo per entrare nel palazzo con tante finestre per prendere un posto nel banco di legno, e poi conoscere il proprio compagno, e la maestra, la nostra seconda mamma. Lei sarebbe stata la nostra guida nel mondo infinito dei libri e del palazzo con tante finestre. Sono iniziati così i miei lunghi anni nel mondo della scuola.

Ogni giorno alle 7,30 della mattina dovevamo trovarci nel cortile della scuola per prepararci ad entrare in classe. Tutti sempre in fila per due entravamo: prima i più piccoli e poi via via i più grandi fino agli studenti delle ultime classi. Un ritardo comportava una punizione come dover fare una corsa girando la scuola per tre volte. La vivevamo tutti come umiliazione. Anzi, tutti, con i loro sguardi, ti facevano sentire colpevole ed umiliata allo stesso tempo.

Entrati in classe, si preparava il libro della prima lezione, e non appena bussava alla porta la maestra, ci alzavamo in piedi per darle il buongiorno in coro tutti quanti.

E passavano così le quattro ore ogni giorno, da lunedì a sabato.

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Ode alle nere mani che portano i pomodori sulle nostre tavole

di Rosalba Griesi

«La strada si riempì di pomodori, mezzogiorno, estate, la luce si divide in due metà di pomodoro, scorre per le vie il sugo. In dicembre si libera il pomodoro, invade le cucine, entra nei pranzi, siede tranquillo nelle credenze, tra i vasi, i piatti del burro, le saliere azzurre.
Ha luce propria! Maestà benigna.
Disgraziatamente dobbiamo assassinarlo. Si immerge il cucchiaio nella sua polpa vivente, è una rossa viscere, un sole fresco, inesauribile, riempie le insalate del Cile, si sposa allegramente con la chiara cipolla, e per celebrarlo si lascia cadere l’olio, figlio essenziale dell’ulivo, sui suoi emisferi socchiusi, il pepe aggiunge la sua fragranza, il sale il suo magnetismo: sono le nozze del giorno, il prezzemolo aggiunge il suo aroma, le patate bollono vigorosamente, l’arrosto colpisce con il suo profumo attraverso la porta: è l’ora, andiamo!
E sulla tavola, nel cuore dell’estate, il pomodoro, astro di terra, stella ripetuta e feconda, ci mostra le sue circonvoluzioni, i suoi canali, l’insigne pienezza e l’abbondanza senza osso, senza corazza, senza squame né spine, ci consegna il regalo del suo colore focoso e la totalità della sua freschezza».


(Pablo Neruda, Al matrimonio di pomodoro e cipolla)

Pomodori, Luca

Nella foto di Luca Bartolommei, il rito della salsa fatta in casa. “Al matrimonio di pomodoro e cipolla” di Pablo Neruda è tratta da “Ode al vino e altre odi elementari” (Passigli Poesia) e Rosalba Griesi l’ha scelta come incipit del suo articolo ben prima che venisse recitata da voce suadente in un noto spot

Gli anni dell’esilio furono per il poeta cileno Pablo Neruda intensi, anni di viaggi e latitanze, anni di profonda nostalgia per la sua terra. Ricorre il pomodoro tra le sue odi elementari, in veste simbolica, quella della sua patria, l’amata e indimenticabile terra, il Cile, con i suoi odori e i suoi sapori. Sono ricordi sensibili, fatti di esperienze vere e vissute: «La luce si divide, la strada si riempì di pomodori». In Cile l’invasione dei pomodori avviene nel mese di dicembre, nell’estate dell’emisfero australe. In quel periodo il pomodoro diventa il re della tavola. Sua Maestà benigna che troneggia “sull’alzatina bianca” e che diventa poi il termine di paragone, il momento della crudeltà che sempre si accompagna ai sentimenti e alla religione.

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«Mia cara donnina, pensi di amarmi in un altro modo o di continuare a essere quella cara somara che sei»?

di Pablo Neruda*

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Albertina Rosa e Pablo Neruda. La lettera che pubblichiamo è tratta da “Pablo Neruda. Lettere d’amore ad Albertina Rosa”, libro di una collana edita dal Corriere della sera e dedicata agli epistolari di 20 grandi poete/i, scrittrici/scrittori

Mia cara donnina, questa settimana non ti ho scritto, forse perché non so cosa dirti. L’ho passata in camera mia a leggere, a fumare, a dormire e a cantare, salutando con grandi riverenze un tuo nuovo ritratto che ho messo sul mio comodino, accanto al letto. È l’ingrandimento di quello che mi sono portato qui, e sei bella, con il tuo fazzoletto al collo e gli occhi tristi che amo. Rubén insiste molto perché lo raggiunga, ma cosa ci vado a fare se tu non ci sei? Ad ogni modo, penso di andare da lui in ottobre, o all’inizio di novembre, se la mia maledetta malattia me lo permette. Passerò a trovarti un’altra volta, può darsi che questo mio viaggio non sia sfortunato come il precedente. Dimmi qualcos’altro della tua vita, parlami diversamente delle tue cose, come ti ho chiesto, più nel dettaglio, con più serenità di esposizione. Avrò letto mille volte le tue lettere di una pagina in cui ti limiti a comunicarmi di aver ricevuto le mie, a ringraziarmi da lontano per una rivista che ti ho mandato, senza neanche nominare i versi pieni di affetto che ci scrivo per te, e questo, mia piccola, mia dolce, e buona Netocha, distrae il mio cuore da te, mio malgrado.

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«Viaggiò tutta la vita intorno a un tavolo (senza peraltro combinare un cavolo)»

di Elisabetta Baccarin

La copertina di Annabella del 25 gennaio 1979 dedicata a Brunella

La copertina di Annabella del 25 gennaio 1979 dedicata a Brunella Gasperini

il nome brunella gasperini vi dice niente? non vi è mai capitato di leggere qualcosa di suo? peccato, ma potete rimediare al volo a questo link.

oppure avete qualche capello bianco e avete letto la sua rubrica Ditelo a Brunella sulla rivista Annabella? 25 anni di pubblicazione. della rubrica non ho letto nulla tranne quel che si ricava dai ritagli nella rete, ma ho letto quasi tutti i suoi libri. alcuni mi erano stati passati da mia cognata, io 15enne e lei 22enne, parecchi altri recuperati nelle biblioteche o acquistati. leggevo, sottolineavo, leggevo e ridevo e leggevo e scrivevo leggevo e piangevo. poi negli anni l’ho riletta, e confesso di riguardare spessissimo quelle pagine sottolineate, rendendomi conto che quando dico che rido come mille che ridono o che se avessi orrore dei mali del mondo non sarei io, è perché ho tenuto con me quel suo modo di dire, ho conservato in quelle parole cose che non saprei dire e trattenuto anche qualche suo modo di scrivere. grazie a lei ho scoperto quella poesia di neruda, che io avevo fatto mia e tuttora, adattandola, dice di me più di quanto potrebbe fare chiunque, compreso me… non chiedetemi niente, toccate qui, sotto al cappotto e sentite come palpita questo sacco di pietre oscure. Continua a leggere

Cuerpo de mujer, Corpo di donna

di Pablo Neruda

Cuerpo de mujer

Sono i versi del poeta cileno che ieri ho voluto dedicare a Ombretta Buongarzoni per l’inaugurazione della sua mostra alla Locanda delle Logge di Urbisaglia, l’antro magico in cima a una delle colline della “terra delle armonie” maceratesi nel quale entrambe siamo nate.

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