Pensiamo alle donne che hanno preparato la nostra «non mai prima goduta felicità!»

di Cristina di Belgiojoso

Un pannello con le immagini della principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso e del suo palazzo di Locate. Le due foto del post sono state scattate da Paola Ciccioli il 27 dicembre 2021 nella sala concerti annessa alla Biblioteca di Locate di Triulzi (Milano).

Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, si intitola così il saggio scritto da Cristina Trivulzio di Belgiojoso e pubblicato nel 1866 nella “Nuova Antologia di scienze lettere ed arti”. L’ho visto citato nel romanzo di Antonio Scurati Una storia romantica (qui) e sono riuscita a recuperarlo grazie alla collaborazione della Biblioteca di Locate di Triulzi, località della Lombardia dove la principessa patriota aveva il suo palazzo. E dove la memoria della sua opera innovatrice viene curata e valorizzata.

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Gabriella, l’ospedale da campo della Samaritan’s Purse e il canto degli uccelli

Testo e immagini di Gabriella Cabrinidiario giornaliero dall’ospedale di Cremona

«Buongiorno.
Anche oggi è un giorno nuovo in più rispetto a ieri e la distanza dal 6 aprile (quando dovrò fare controlli radiografici, analisi e tamponi) diminuisce. Aspetto che la stanchezza piano piano passi e ne approfitto per cercare di imparare da ciò che sto vivendo». Queste sono le parole che Gabriella Cabrini ha scelto questa mattina per salutare le sue amiche e i suoi amici Facebook e noi con loro. Mentre lei da casa continua le terapie contro il Corona Virus, noi continuiamo con il suo consenso a pubblicare il diario della malattia che ha condiviso grazie al cellulare dall’ospedale di Cremona. Un racconto dalla sofferenza e dalla speranza che sul nostro blog abbiamo scelto di proporre all’incontrario, cioè dalle dimissioni al momento del ricovero. Auguri di cuore a Gabriella e a tutte le persone malate. (p.c.)

«L’ospedale da campo donato dalla Ong Usa Samaritan’s Purse con 60 posti e 8 in rianimazione, entrato in funzione 72 ore dopo l’inizio dei lavori. L’ho fotografato dalla finestra della mia camera al terzo piano in Chirurgia specialistica»

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Nella trasformazione la linfa della bellezza

di Hermann Hesse*

A Montagnola, in Canton Ticino (Svizzera), fino al 2 febbraio 2020 resterà aperta una mostra sul «lunghissimo rapporto di amicizia che legò Theodor Heuss e Hermann Hesse dai primi contatti professionali, avviati quando entrambi erano due giovani cultori della letteratura, agli ultimi anni della loro carriera, che videro il primo insignito del Premio Nobel e l’altro eletto alla carica di Presidente della Repubblica Federale Tedesca». 

Scritta e da lui stesso illustrata nel 1922 per la cantante mozartiana Ruth Wenger, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie, la “Favola d’amore” rappresenta anche la rinascita come uomo e artista di Hermann Hesse dopo un lungo periodo di silenzio creativo e crisi personale. (La foto è di Paola Ciccioli)

Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l’albero con riverenza e chiese: «Sei tu l’albero della vita?». Ma quando, invece dell’albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt’occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita.

E di nuovo vide un albero, che era insieme sole luna.

Pictor chiese: «Sei tu l’albero della vita?».

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Figlia violata, “Figlia d’oro”

di Maria Luisa Marolda

Una madre e una figlia, Cesira e Rosetta, e l’orrore dello stupro. Ecco i brani dal romanzo “La ciociara” di Alberto Moravia, scelti e commentati per noi da Maria Luisa Marolda, figlia della bellissima Teresita Fantacone, violentata – come centinaia di altre donne – dai “goumiers” del Corpo di spedizione francese durante la seconda guerra mondiale a Esperia, in provincia di Frosinone.

Maria Luisa Marolda è nata ad Ancona ma vive a Roma. Sua figlia, Tessa Canella, è tra gli autori della “Storia mondiale dell’Italia” curata da Andrea Giardina per le Edizioni Laterza

L’episodio dello stupro si svolge nella chiesa del paese di Cesira, dove madre e figlia sono giunte cercando un luogo amico. Lo spettacolo della devastazione della chiesa è, anche per il lettore, una introduzione alla violazione dei corpi e delle anime delle due donne. Ma è sulla giovane ed innocente Rosetta che si percepisce l’acme drammatico della profanazione, come ci arriva attraverso il dolore insanabile della madre.

«Poi udii un urlo acuto, era Rosetta, e allora cercai con tutte le mie forze di liberarmi per correre in aiuto di Rosetta, ma lui mi teneva stretto e io mi dibattei invano perché lui era forte e con tutto che gli puntassi una mano sul mento, spingendogli indietro il viso, sentivo che lui mi trascinava all’indietro, verso un angolo in penombra della chiesa, a destra dell’ingresso. Allora gridai anch’io, con un urlo ancora più acuto di quello di Rosetta e credo che ci mettessi tutta la mia disperazione non soltanto per quello che mi stava succedendo in quel momento ma anche per quello che mi era successo fin allora, dal giorno che avevo lasciato Roma. Ma lui, adesso, mi aveva acchiappato per i capelli, con una forza terribile, come se avesse voluto staccarmi la testa dal collo, e sempre mi spingeva all’indietro così che, alla fine, sentii che cadevo e caddi, infatti, a terra, insieme con lui. Adesso lui mi stava sopra; e io mi dibattevo con le mani e con le gambe; e lui sempre mi teneva fissa la testa a terra contro il pavimento, tirandomi i capelli con una mano; e intanto sentivo che con l’altra andava alla veste e me la tirava su verso la pancia e poi mi andava tra le gambe; e tutto a un tratto gridai di nuovo ma di dolore, perché lui mi aveva acchiappato per il pelo con la stessa forza con la quale mi tirava i capelli per tenermi ferma la testa. Io sentivo che le forze mi mancavano, quasi non potevo respirare; e lui, intanto, mi tirava forte il pelo e mi faceva male; e io, in un lampo, mi ricordai che gli uomini sono molto sensibili in quel posto e allora andai anch’io con la mano al ventre e incontrai la sua; e lui, al contatto della mia mano, credendo forse, chissà, che gli cedessi e volessi aiutarlo a prendere il suo piacere con me, subito allentò la stretta così al pelo come ai capelli, e anche mi sorrise, di un sorriso orribile sopra i denti neri e rotti; e io, invece, stesi la mano di sotto, gli acchiappai i testicoli e glieli strinsi con quanta forza avevo. Lui allora diede un ruggito, mi riacchiappò per i capelli e mi battè la testa, a parte dietro, contro il pavimento con tanta violenza che quasi non provai alcun dolore ma svenni.

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Serena, la parrucchiera che dispensa libri e felicità

di Margherita Rinaldi*

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Serena Mercanti, al centro con l’abitino chiaro, è qui con il reparto parrucco del Macerata Opera Festival. «Lavorare allo Sferisterio era nella mia scatola dei desideri», ha raccontato alla giornalista e blogger Margherita Rinaldi

Una cosa che ti colpisce quando conosci Serena Mercanti è che nel suo salone di parrucchiera c’è una piccola biblioteca. Cioè: mentre ti fai i capelli puoi leggere un libro, oppure puoi sfogliare gli album di foto dei suoi viaggi, o il catalogo di qualche mostra importante: arte, architettura, cinema… .

I libri li prendi, li cominci, poi se vuoi prosegui la lettura la volta successiva. Come ho fatto io con Eva Luna della Allende. Eva Luna, che poi è anche il nome (e cognome) della bimba di Serena. Per tutto questo ti viene voglia di farle un po’ di domande. E scopri una bella storia, quella di una ragazza che voleva fare la parrucchiera e che con questo mestiere è cresciuta, fino a coniugarlo con la moda, con l’arte, con lo spettacolo, con l’amore per la città dalla quale ha deciso di farsi adottare.

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«Finalmente ho pianto»

di Giuseppe Di Modugno*

GIARDINI DIAZ

giardini diaz

I Giardini Diaz di Macerata. Con un grazie e gli auguri di Buon Anno a Loretta Bentivoglio dell’ufficio stampa del Comune che ci ha fornito l’immagine

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Cade la corona (quando ti fai un giretto in certi ospedali)

di Elisabetta Baccarin

betta coi papaveri

Elisabetta, un fiore

ebbene sì, ne prendo atto. sono decisamente una donna di mezzetà.
inutile che io tiri le somme. non ho mira.
però qualcuno in passato sosteneva che, sebbene avessi il 3 fisso in matematica e me la cavassi di gran lunga meglio con le parole,
avessi una sorta di pensiero scientifico.
probabilmente solo per il fatto che mi ritrovo a scomporre tutto ai minimi termini o a trovare il comun denominatore delle cose in generale e nelle mie in particolare, felicità e infelicità comprese.
dell’insieme felicità e infelicità, classifico quelle reiterate e quelle una tantum, scarto le infelicità infinitesime o elevo le piccole felicità a potenza per renderle infinite.
vale lo stesso per le paure, per le ansie non apro nemmeno l’argomento.
anzi sì. la classificazione è per quelle del momento, per quelle che durano e non se ne vanno e che vivono nutrendosi della statistica che da sempre me le incute dicendomi che devo morire, o che divento cieca o che mi amputano le gambe. io chiedo solo che non mi si fottano gli occhi e la testa perché giuro che me ne torno da di là dove finisco e me li riprendo a suon di calcinculo. ehm. scusate, mi è caduta la corona.  Continua a leggere

«Sdraiarmi a fianco di Mara»

di Paola Ciccioli

Il 28 novembre 2011 il fondatore del Manifesto Lucio Magri ha deciso di morire in Svizzera con il suicidio assistito. Il 3 dicembre il suo corpo è stato sepolto nel cimitero di Recanati, nelle Marche, accanto a quello dell’amatissima moglie Mara Caltagirone. Ecco la lettera-testamento lasciata da Magri e letta durante il funerale. L’ho avuta dal giornalista del Resto del Carlino Sandro Stacchietti e, come gli ho scritto nel ringraziarlo per questo dono, «è talmente “forte” che preferisco non inquinarla in alcun modo con un commento».

«La mia morte è cominciata da tempo. Quando Mara è scomparsa ha portato via con sé tutta la mia voglia di vivere, ed ero già pronto a seguirla. Lei lo ha intuito e in extremis mi ha strappato la promessa di portare a termine il lavoro che avevo avviato negli anni della sua sofferenza e che in altro modo era anch’esso in punto di arrivo.

La promessa è più un atto d’amore, il regalo di un tempo supplementare.  Era uno stimolo e un aiuto per dare una conclusione degna al destino che ci aveva fatto casualmente ma più volte incontrare e poi dato tanti anni di felicità totale. Era anche un appuntamento, o almeno lo ho vissuto così ogni giorno. Ora posso dire che la promessa la ho mantenuta al meglio che potevo. Il libro è stato pubblicato anche in Spagna, Inghilterra, Argentina e Brasile.

Nel lungo e doloroso intermezzo ho avuto modo non solo di riflettere sul passato ma anche di misurare il futuro. E mi sono convinto di non avere ormai né l’età, né l’intelligenza, né il prestigio per dire o per fare qualcosa di veramente utile a sostegno delle idee  e delle speranze che avevano dato un senso alla mia vita.

Intendiamoci, non escludo affatto che quelle idee e quelle speranze, riformulate, non si ripresentino nella storia a venire: ma in tempi lunghi e senza sapere come e dove. Comunque fuori dalla mia portata.

Per tutto ciò mi pare leggittimo, anzi quasi razionale soddisfare un desiderio profondo che anziché ridursi, cresce. Il desiderio di sdraiarmi a fianco di Mara per dimostrarle che l’amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci. Può essere solo un simbolo, ma non è poco

Post scriptum. Vorrei evitare cerimonie funebri, rimembranze e giudizi dettati dall’occasione. Ciò che desidero e spero di meritare qui e ora è semplicemente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole rivolto a una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme. Lucio».

AGGIORNATO IL 28 FEBBRAIO 2017