di Elisabetta Baccarin
«La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo.
Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace».
(Tina Anselmi, staffetta partigiana)
E chi se lo aspettava di scoprire una sera per caso al Leoncavallo un minuscolo librettino sugli scritti di don Milani?
E di non riuscire a staccare gli occhi fino a quando le parole conclusive di Carlo Galeotti (il curatore del libro) hanno lasciato non punti interrogativi ma solo punti fermi.
Certezze.
Certezza di sapere a cosa non avrei voluto partecipare e a cosa ancora oggi non intendo prestare né la mia mano né il mio fianco ma neppure l’altra guancia.
«…in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa dalle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano i civili, dall’altra i militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato».
Queste parole sono uscite da quella beata bocca pensante che aveva don Lorenzo Milani. Molte altre ne ha dette, rischiando e affrontando processi, chiedendo ai cappellani militari con quale faccia, con quale morale, con quale diritto potevano accusare gli obiettori; quale fosse il loro concetto di patria e del verbo ripudiare usato nella Costituzione.
È con questo nel cuore e nella testa che anche quest’anno il 25 aprile mi vedrà, sempre con un po’ di magone, con il sorriso di gratitudine a chi ha fatto sì che io in questo momento possa permettermi di dire quello che penso.
Grazie a loro e a tutte le donne che li accudivano, alle donne che aspettavano a casa, a quelle che combattevano.
Grazie a tutti quelli che hanno disobbedito e a quelli che non si sono nascosti.

Tina Anselmi, scomparsa il 31 ottobre 2016, è stata la prima donna ministro della storia repubblicana italiana
A tutti quelli che non ci sono più il mio grazie e quello dei figli dei figli dei figli… c’è chi paga per le colpe dei padri, c’è chi ne gioisce e ne può godere.
A tutti quelli che ci sono ancora chiedo l’eredità del racconto.
Regalateci voi la vostra storia, la nostra storia, quella fatta di voce e di commozione, quella che passa, entra, scava e si deposita. Quella che non va studiata ma va ascoltata. Dateci ancora qualcosa che resti e che saremo onorati di far diventare anche la storia dei nostri figli, senza sperperi. Spero vi bastino in cambio delle vostre rughe la mia riconoscenza e le mie maniche rimboccate.
(Anche a nome di Ettore e Donatella Baccarin che da piccola mi hanno insegnato una canzone: Una mattina, mi son svegliato…).
*E questo è il terzo appunto partigiano di Elisabetta con cui abbiamo scelto di inchinarci di fronte alle donne e agli uomini che ci hanno aperto la strada della democrazia, il nostro patrimonio comune tanto e ripetutamente offeso. Queste sue parole, che risalgono al 2003, sono già state pubblicate su appunti partigiani. Vi invito a leggere altri due nostri post: Quando alle partigiane veniva negato l’onore della Resistenza e il pezzo di Maria Elena Sini Marisa Ombra, la forza di ribellarsi all’incantamento del fascismo. Un ulteriore grazie a Elisabetta per la ricerca iconografica, tutte le immagini dei suoi post sono state selezionate da lei. (p.c.)
AGGIORNATO IL 2 NOVEMBRE 2016
Ci sono voluti più di 100 anni perché l’Italia avesse un ministro donna. La prima, nel 1976 al ministero del Lavoro, è stata Tina Anselmi.
Il professor Agostino Giovagnoli ripercorre la vita della Anselmi dalla nascita nel 1927 a Castelfranco Veneto, paese al quale è molto legata, al 1981 quando viene chiamata a presiedere la commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2.
I passi salienti della sua vita: staffetta partigiana all’insaputa dei genitori, sindacalista, poi iscritta alla Democrazia Cristiana e impegnata nella vita politica. Una donna “forte” e schietta, spesso accostata a una figura femminile del Pci altrettanto energica, Nilde Jotti.
Diventare ministro, del Lavoro e poi della Sanità, è la svolta della sua vita e la lega, in particolare, alla grande riforma sanitaria del 1978, durante il governo Andreotti.
Infine, il lavoro nella commissione d’inchiesta sulla Loggia P2 che Tina Anselmi presiede con rigore, ma non senza polemiche. Un personaggio che il settimanale Cuore, nel 1991, arriva a proporre come Presidente della Repubblica. Fu solo un goliardata?
Tina Anselmi con Agostino Giovagnoli di Cosimo Calamini
qui la puntata di oggi de Il tempo e la storia, in replica stasera alle 20.30 su rai3.
http://www.raistoria.rai.it/articoli/tina-anselmi/29141/default.aspx
ho trascritto le parole di tina anselmi all’inizio del filmato sulle quali, ancora oggi, è bene meditare:
“le donne devono imparare ad ESSERCI, a esserci ovunque ci siano problemi da affrontare, perché io credo che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne che la fanno. io mi auguro che le giovani, a cominciare dalle mie nipoti, che hanno vissuto il cambiamento la riforma del diritto di famiglia la parità nel lavoro… quante leggi abbiamo fatto! e dico alle mie nipoti attente, fate la guardia! perché come abbiamo avuto queste conquiste possiamo scontrarci con chi queste conquiste vuole cancellare. queste conquiste non sono mai definitive e quindi ognuno deve metterci la sua parte.”
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scusate, in replica stasera alle 20.50 su raistoria canale 54
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Grazie Elisabetta per il dono delle storie che scrivi e che diventano Storia – magia di emozioni e lezione di vita.
Mio padre ed i suoi fratelli sono morti troppo giovani perché io potessi conoscere meglio la loro esperienza antifascista.
Hanno patito tanto, questo lo so e tanto coraggio dimostrò di avere la mia nonna Adelina mai conosciuta. Ti abbraccio .
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