«La Grande Guerra le aveva tolto il marito, l’amore di una vita e un padre per il figlio»

di Eliana Ribes

«”I fiori della guerra” è un’installazione realizzata dall’ Associazione artistico culturale Fucina Alchemica ad opera di Alessio Spalluto, che vuole ricordare il sacrificio e le sofferenze di tutti i militari caduti nella Grande Guerra». L’installazione, che rimarrà esposta al pubblico a Urbino (in via Domenico Gasperini) fino al 6 settembre 2018, è segnalata nel sito della presidenza del Consiglio dei ministri dedicato al centeneraio della prima guerra mondiale (http://eventi.centenario1914-1918.it/it/evento/i-fiori-della-guerra)

Continua il racconto su Maria Cosimi, che Eliana Ribes chiama «nonna Longhèna», diventata moglie nel 1914 e vedova nel 1915.

Nonna Longhèna si era portata in dote anche una collana di coralli veri, quanto mi sarebbe piaciuto ammirarla, ma negli Anni ’50 l’aveva venduta, come tanti altri abitanti della zona, a certi imbroglioni che passavano per le case e che gliela avevano pagata tre soldi. La fede, invece, l’aveva dovuta dare alla patria, come se non fosse bastato quello che le aveva tolto durante la prima guerra: il marito, l’amore di una vita e un padre per il figlio. Aveva dovuto dare ancora, per un’altra guerra, quella del Duce!

Continua a leggere

«Per il lavoro svolto, meriterebbe un monumento!»

I ricordi si fissano nella Rete, dalle scatole escono documenti che raccontano le vite delle persone e delle comunità. Noi, qui, a mettere insieme i tasselli del grande e composito puzzle. 

Illustriamo questo post con l’immagine di un libro che è anche un atto d’amore per Urbisaglia e le bellezze delle Marche: “Alla scoperta dell’antica Urbs Salvia” di Francesca Pettinari e Giuseppina Poloni (Giaconi Editore, 2016). Scrivono le autrici: «Questo libro nasce da un miscuglio di tante cose: l’amore per il territorio, l’interesse per la storia, la grande passione per l’archeologia, la volontà di cercare di far capire a tutti, in particolar modo ai più piccoli, quanto sia bello e interessante il nostro passato» (http://www.archeomarche.beniculturali.it/index.php?it/120/museo-archeologico-statale-di-urbisaglia)

Continua a leggere

«La vita è qualcosa di più che un gioco di pazienza»

di Franz Kafka*

Dettaglio della copertina di “Lettera al padre” di Franz Kafka (Garzanti 2016): «È come se uno fosse prigioniero e avesse non solo l’intenzione di evadere, cosa forse possibile, ma anche, e contemporaneamente, l’idea di trasformare la prigione in un castello»

Così termina la mia vita con te, per come essa è stata sino a ora, e queste sono le prospettive per il futuro in essa racchiusa.

Se tu ora considerassi, nel loro insieme, le motivazioni della paura che provo nei tuoi confronti, potresti rispondere: «Tu sostieni che io mi renda le cose facili attribuendo solo a te le colpe del nostro rapporto, io invece credo che, nonostante lo sforzo apparente, tu renda la questione se non più difficile, di sicuro molto più vantaggiosa per te. Prima rifiuti anche tu ogni colpa e responsabilità, e in questo il nostro modo di procedere è identico. Ma poi, mentre io attribuisco tutta la colpa a te, cosa di cui sono veramente convinto, ci tieni ad essere allo stesso tempo ”superintelligente” e “superaffettuoso” e assolvere anche me da ogni colpa. Naturalmente quest’ultimo tentativo ti riesce solo in apparenza (del resto non chiedi di più), e fra le righe emerge, nonostante tutti i tuoi discorsi sul carattere e sulla natura, sulla contrapposizione e sul senso d’impotenza, che in realtà l’aggressore non sono stato io e che tutto ciò che tu hai fatto era soltanto un modo per difenderti. Con la tua insincerità avresti già ottenuto abbastanza, perché hai dimostrato tre cose: primo, che tu non hai colpa; secondo, che io sono colpevole e terzo che, grazie alla tua generosità, sei disposto non solo a perdonarmi, ma anche, più o meno, a dimostrare, e persino a voler credere tu stesso che anch’io, seppure contro ogni evidenza, non ho colpe. Questo ti potrebbe bastare ma non ti basta ancora. Ti sei messo in testa, infatti, di voler vivere del tutto alle mie spalle. Ammetto che noi lottiamo l’uno contro l’altro, ma ci sono due modi di lottare. C’è il combattimento cavalleresco, in cui si misurano le forze di avversari autonomi, ognuno combatte per sé, perde per sé, vince per sé. E c’è la lotta del parassita, che non soltanto punge, ma al tempo stesso, per mantenersi in vita, succhia il sangue. Quest’ultimo è il vero soldato di professione, e questo sei tu. Sei incapace di vivere: ma per poterti comodamente adagiare in questa incapacità, senza preoccupazioni e senza muoverti rimproveri, vuoi dimostrare che ti ho tolto ogni capacità di vivere e me la sono messa in tasca. Cosa t’importa ora se sei incapace di vivere, tanto la responsabilità è mia; tu, invece, ti metti sdraiato bello comodo e ti fai trascinare d me, fisicamente e spiritualmente, attraverso l’esistenza. Un esempio: quando, ultimamente, pensavi di sposarti, al tempo stesso, lo ammetti in questa lettera, non lo volevi affatto, ma per non fare troppa fatica volevi che fossi io ad aiutarti a non sposarti, vietandoti il matrimonio a causa della “vergogna” che da quell’unione ne sarebbe venuta al mio nome. Ma un’idea del genere non mi passò neppure per la testa. Anzitutto, qui come in tutti gli altri casi, non volevo essere “di ostacolo alla tua felicità”, e in secondo luogo non vorrei mai che mio figlio potesse muovermi un simile rimprovero. Ma a cosa mi è servito lo sforzo che ho fatto su me stesso per lasciarti libero di decidere se sposarti? A niente. La mia opposizione al matrimonio non lo avrebbe impedito, anzi, sarebbe stato per te un ulteriore stimolo a sposare quella ragazza, perché il “tentativo di fuga”, come tu lo definisci, sarebbe stato perfetto. E la mia autorizzazione alle nozze non ha impedito i tuoi rimproveri, giacché tu dimostri che in ogni caso sono io il colpevole del tuo mancato matrimonio. In fondo però, in questo e in tutto il resto, non hai fatto altro che dimostrare, a mio avviso, che tutti i miei rimproveri erano giustificati e che ne mancava uno, ancor più fondato, e cioè quello relativo alla tua insincerità, al tuo servilismo, al tuo parassitismo. Se non sbaglio, anche in questa lettera emerge la tua natura di parassita nei miei confronti».

Continua a leggere

Caro Zola, viva la gioia! Tuo Cézanne

di Paul Cézanne

“Les grandes baigneuses”, Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 1839 – 1906). Philadelphia Museum of Arts (http://www.philamuseum.org/)

Aix, 9 aprile 1858

Buongiorno, caro Zola

 

Prendo la penna infine

E com’è mio costume

Ti dirò innanzitutto

Come nuova locale

Che un forte temporale

Col suo sforzo possente

Fa cadere in città

Un’acqua che fertile fa

Dell’Arc la riva ridente.

Sia la nostra montagna

Che la verde campagna

Sentono la primavera,

Il platano germoglia,

Si corona di foglie

Il verde biancospino dai bianchi fiori.

Continua a leggere

La storia del cuore raccontata con “lo parlà schietto e puro”

di Nazzareno Gaspari*

Per la copertina del loro libro, Eliana e Silvano hanno scelto la cartolina che Giuseppe Ribes inviò alla fidanzata il 25 aprile 1914

C’è una storia non scritta da cui proveniamo: è nel groviglio di affanni, ansie, sofferenze, fatiche, sacrifici, speranze, affetti, valori attraverso cui di generazione in generazione si è forgiato il nostro modo di stare in questo mondo e si è profilato il senso che gli diamo. Non ha gli onori della Storia con la S maiuscola ma la incrocia e la subisce; è storia tanto anonima e appartata nel suo svolgimento, quanto inaccessibile se non alle ragioni e alle domande del cuore.

Molto (o tutto) di essa rischia di perdersi nel passare delle generazioni. Molto rischia di dissolversi nei sempre più ampi e pervasivi orizzonti della globalizzazione.

Eppure si tratta di una dimensione costitutiva della nostra vita personale e collettiva importante oggi più di ieri, in balia come siamo di una cultura dominante che ci spinge nella direzione contraria del conformismo e dell’omologazione.

La libertà di essere e restare noi stessi è legata anche alla capacità di tenere attiva la consapevolezza di questa dimensione vitale, la memoria dei percorsi esistenziali che ci hanno aperto la strada – culla ancestrale delle identità e dei sentimenti che coltiviamo – che da memoria personale e familiare può diventare oggetto di più ampia comunicazione e condivisione.

Continua a leggere

Emily, il genio vestita da zitella

di Natalia Ginzburg*

Natalia Ginzburg (Palermo 1916 - Roma 1991)

Natalia Ginzburg (Palermo 1916 – Roma 1991)

Tempo fa sono stata ad Amherst, il paese della Dickinson: un paese situato non molto lontano da Boston, nel Massachusetts. Ho visto la sua casa. Ho visto anche un suo vestito in un armadio, un vestito bianco avorio a ricami, che sembrava una camicia da notte, e un plaid a lunghe frange che si metteva sulle ginocchia quando scriveva. Ma allora non conoscevo le poesie della Dickinson, né le sue lettere, e il mio sguardo era vuoto e distratto. Avevo letto alcuni suoi versi, e forse anche qualche sua lettera, ma avevo capito poco di lei. Non avevo un solo suo verso nella memoria. Amherst è un paese molto bello, tutto prati verdi, casette verniciate di bianco sparse fra le querce, fra l’edera, le magnolie e le rose. Mi parve però che avesse, nella sua grazia, qualcosa di lezioso e professorale. Dietro a questo aspetto professorale e lezioso c’era una noia desolata e spettrale. L’aspetto professorale il paese deve averlo preso dopo la morte della Dickinson, e in seguito alla coscienza d’esser la patria d’un grande poeta. Lo spettro della noia deve esserci stato sempre. Ricordo d’aver pensato che l’America è cupa e crudele nelle sue grandi città, e dove non è cupa e crudele, soggiace in una noia sterminata. Era estate e c’erano molte zanzare. Le zanzare dell’America sono diverse dalle nostre. Non hanno quel ronzio pigro e dolce, ma si avventano e sciamano sui visi umani in pieno giorno e in un protervo silenzio. Il silenzio e l’ombra della noia si stendevano a perdita d’occhio su quei prati fioriti e freschi.

Continua a leggere

Ettore, il destino di un nome fa ritrovare due fratelli nella Rete

di Elisabetta Baccarin

Elisabetta, la lettera dal campo di concentramento di bolzano

La lettera di Ettore Baccarin spedita dal campo di concentramento di Bolzano. Grazie alle ricerche di Elisabetta Baccarin, pubblicate sul nostro blog, un prezioso incontro in Rete ha messo insieme due pezzi di famiglia e di Storia

“Carissimo Albano e Gilda dopo circa due mesi che manco da casa, vengo a voi con questo mio biglietto, facendovi sapere che la mia salute va bene come spero che sarà pure di tutti voi. Caro Albano mi trovo in campo di concentramento a Bolzano, dunque il motivo che sono qui io, è a causa del rifugio che sai bene anche tu, speriamo al meno che non servi. Caro Albano mi perdonerai se ti domando un gran favore se puoi quando ricevi questo scritto di mandarmi un pacchetto con un po’ di pane biscotto e un po’ di tabacco, magari di quello in foglia, come puoi e qualche pacchetto di cartine. Se puoi mi mandi anche un po’ di danaro in sicurata, che se avrò la grazia di tornare tutto ti sarà ricompensato. Gli ho scritto pure a mia moglie che mi mandi qualche cosa ma io so le condizioni che si trova la mia famiglia!

Continua a leggere

Etty, de jonge schrijfster die eenmaal groot een schrijfster wilde zijn

door Alba L’Astorina*

Ik heb onlangs Etty Hillesum leren kennen. Het was op de tentoonstelling die Milaan aan haar gewijd heeft ter gelegenheid van de Memorial Day, waar een vijftigtal foto’s, alle afkomstig uit het Joods Historisch Museum in Amsterdam, tentoongesteld werd die haar laten zien in  familie, met haar vrienden, met haar minnaars, op de “mooiste plek in de wereld”, haar geliefde schrijftafel, en tussen de iconen van haar favoriete auteurs, Rilke, Jung, Dostojevski [i].

Continua a leggere

Etty, la giovane scrittrice che da grande voleva fare la scrittrice

di Alba L’Astorina

Ho conosciuto Etty Hillesum solo da poco. È stato alla mostra che Milano le ha dedicato in occasione del giorno della memoria: una cinquantina di foto esposte, tutte provenienti dal Museo della Storia Ebraica di Amsterdam, che la ritraggono in famiglia, tra le amiche, con i suoi amanti, e nel «posto più bello del mondo», la sua amata scrivania, tra le icone dei suoi autori preferiti, Rilke, Jung, Dostoevskij Continua a leggere

Kafka e la bambola che «voleva separarsi per qualche tempo dalla bambina»

di Dora Diamant*

Dora Diamant

Dora Diamant (1898 – 1952): «Quando vidi Kafka per la prima volta, la sua immagine soddisfò immediatamente la mia idea di uomo»

Quando eravamo a Berlino, Kafka andava spesso allo Steglitzer Park. Talvolta lo accompagnavo. Un giorno incontrammo una bambina, che piangeva e sembrava disperata. Le parlammo. Franz le chiese che cosa le fosse successo e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola. Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. “La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera”. La bambina era un po’ diffidente: “Ce l’hai con te?” “No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto”. La bambina, incuriosita, aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni, e Franz se ne tornò subito a casa, per scrivere la lettera.

Continua a leggere

Di nuovo “noi”: un oceano e 37 anni dopo

di Adele Colacino

La mia vita l’ho passata in gran parte attraversando il mare. Tra il nord dell’Italia e il Venezuela.

Due mondi totalmente diversi che non si sono mai veramente amalgamati né nel mio cuore né nella mia testa.

Mi piaceva stare nella mia casa in Venezuela, con mamma e papà e il mio fratellino, ma fu deciso che dovevo stare lontano, in Italia con gli zii e con la nonna, dovevo andare a scuola in Italia e fui impacchettata e spedita, senza poter dire: NO!

Può un pacchetto decidere il suo percorso? Ha due etichette incise nella pelle, una da dove viene e una dove andrà.

Il pacchetto andava e tornava attraverso l’oceano e ogni volta il timbro sulle carte era un segno indelebile impresso nella carne, timbri e timbri, tanti da cancellare sentimenti, fiducia, speranze.

Continua a leggere

«A New York non c’è nemmeno una zanzara, qualcuna sì»

Paola Ciccioli secondo la nipotina Emma

Paola Ciccioli secondo la nipotina Emma

New York, 23 maggio 2013

Maestre buongiorno. Cari bambini e bambine.
Ho visto la Caserma dei pompieri, e i pompieri stavano facendo le prove. Io ero nella casa del nonno.
Oggi vado all’Acquario.
I cinesi hanno delle scritte che non capisco, ci sono dei cinesi come Dave, soltanto che gli occhi sono più a mandorla dei suoi.
Ho visto la sedia a forma di mano nella casa del nonno.
Sono stata al Museo di Storia naturale e ho visto gli scheletri veri dei dinosauri.
Non c’è nemmeno una zanzara, qualcuna sì.
Qui c’è anche il divano rosso a forma di labbra, c’è anche la moquette. C’è anche la pelle, vera, di leopardo e io e il nonno giochiamo a un gioco inventato da noi e io vinco quasi sempre.

Saluti
Emma Continua a leggere

«Mia carissima Noretta…»

lettera moroQuesta è una delle lettere che Aldo Moro fece arrivare alla moglie Eleonora Chiavarelli, che chiamava Noretta, durante i 55 giorni in cui fu sequestrato dalle Brigate rosse. E poi ucciso.

Oggi, 9 maggio, a 35 anni di distanza, le autorità e i media ricordano con ridondante ipocrisia il ritrovamento del cadavere in via Caetani, a Roma, di quello che era stato il presidente della Democrazia Cristiana. Noi lo facciamo riproponendo questo documento e il lancio Ansa del 19 luglio 2010 sulla morte di Eleonora Chiavarelli Moro, sottolineando le parole di padre Carlo Rossi durante la funzione religiosa: «Con la morte di Moro è iniziata quella esplosione del male che ha portato all’imbarbarimento» Continua a leggere

«Sdraiarmi a fianco di Mara»

di Paola Ciccioli

Il 28 novembre 2011 il fondatore del Manifesto Lucio Magri ha deciso di morire in Svizzera con il suicidio assistito. Il 3 dicembre il suo corpo è stato sepolto nel cimitero di Recanati, nelle Marche, accanto a quello dell’amatissima moglie Mara Caltagirone. Ecco la lettera-testamento lasciata da Magri e letta durante il funerale. L’ho avuta dal giornalista del Resto del Carlino Sandro Stacchietti e, come gli ho scritto nel ringraziarlo per questo dono, «è talmente “forte” che preferisco non inquinarla in alcun modo con un commento».

«La mia morte è cominciata da tempo. Quando Mara è scomparsa ha portato via con sé tutta la mia voglia di vivere, ed ero già pronto a seguirla. Lei lo ha intuito e in extremis mi ha strappato la promessa di portare a termine il lavoro che avevo avviato negli anni della sua sofferenza e che in altro modo era anch’esso in punto di arrivo.

La promessa è più un atto d’amore, il regalo di un tempo supplementare.  Era uno stimolo e un aiuto per dare una conclusione degna al destino che ci aveva fatto casualmente ma più volte incontrare e poi dato tanti anni di felicità totale. Era anche un appuntamento, o almeno lo ho vissuto così ogni giorno. Ora posso dire che la promessa la ho mantenuta al meglio che potevo. Il libro è stato pubblicato anche in Spagna, Inghilterra, Argentina e Brasile.

Nel lungo e doloroso intermezzo ho avuto modo non solo di riflettere sul passato ma anche di misurare il futuro. E mi sono convinto di non avere ormai né l’età, né l’intelligenza, né il prestigio per dire o per fare qualcosa di veramente utile a sostegno delle idee  e delle speranze che avevano dato un senso alla mia vita.

Intendiamoci, non escludo affatto che quelle idee e quelle speranze, riformulate, non si ripresentino nella storia a venire: ma in tempi lunghi e senza sapere come e dove. Comunque fuori dalla mia portata.

Per tutto ciò mi pare leggittimo, anzi quasi razionale soddisfare un desiderio profondo che anziché ridursi, cresce. Il desiderio di sdraiarmi a fianco di Mara per dimostrarle che l’amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci. Può essere solo un simbolo, ma non è poco

Post scriptum. Vorrei evitare cerimonie funebri, rimembranze e giudizi dettati dall’occasione. Ciò che desidero e spero di meritare qui e ora è semplicemente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole rivolto a una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme. Lucio».

AGGIORNATO IL 28 FEBBRAIO 2017