A Erice, nello scrigno di zucchero di Maria Grammatico

di Angela Giannitrapani

Angela Giannitrapani ci guida nella sua Sicilia, facendoci scoprire Erice e una donna, Maria Grammatico, che con intelligenza e infinito lavoro ha reso la propria pasticceria una meta imperdibile per i visitatori di tutto il mondo (http://www.spaghettievaligie.it/sicilia-occidentale-erice-trapani-e-le-saline-di-marsala/)

C’è un posto sul quale si sono arroccate Storia e magia. È un’altura di circa 800 metri che si erge, unica, tra il mare e un entroterra piatto, solo a tratti appena ondulato. Venere ha lì un suo castello e ha lasciato lungo un dirupo tracce del suo mito. Questo paese, poi punico-romano e normanno, è quasi intatto e ha del magico ancora oggi. Per esempio, quando sparisce per un’improvvisa calata di nebbia portata dall’umidità del mare, che lambisce la falce di Trapani, ai suoi piedi. Allora può succedere che, se siete seduti al tavolo di uno di quei ristorantini nei vicoli, bicchieri e piatti spariscano per riapparire all’improvviso, dopo una folata di brezza che spazza la nebbia. O quando salite sulla terrazza del Bar Maria, da dove si dominano tetti e torri campanarie e invece potreste trovarvi al di sopra di nuvole e foschie, chiedendovi se non siete su una mongolfiera.

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«La mano dispettosa del tempo rimescola le caselline importanti della vita»

di Rosa Di Paolo

Rosa 1

Rosa Di Paolo in uno scatto pieno di luce a Trani, «una città di mare che mi piace tanto e che visito spesso, anche perché è ad appena una cinquantina di chilometri da Palazzo San Gervasio, il paese lucano dove abito»

Data la mia non più giovanissima età, i ricordi cominciano ad essere numerosi. S’intende, io mi vedo come sempre. Eppure non lo sono più. C’è voluto tempo per capire che non sono più la stessa. Le mie piccole rughe mi dicono che non sono più una bimba; ed oggi mi chiedo: quanto tempo ci vorrà per non dimenticarmi che non sono più la stessa di ieri?

Ai tempi della mia adolescenza, quando sentivo dire che il vero nemico è il tempo, non davo importanza a questa espressione. Adesso, a distanza di anni, mi rendo conto che invece è così.

Il tempo scorre inesorabilmente e ci lascia un carico di ricordi, a volte piacevoli, a volte un po’ meno, che comunque lasciano il segno e danno, altrettanto inesorabilmente, un’impronta al nostro carattere.

Non so cosa mi stia succedendo, ma è come se all’improvviso qualcosa fosse cambiato e il cambiamento, lo sappiamo, comporta sempre disorientamento perché ci costringe a separarci da “parti di sé sperimentate e consolidate implicando una riorganizzazione della propria identità”. E non è poco!

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Grazie a quelle che aspettavano a casa e a quelle che combattevano

di Elisabetta Baccarin

«La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo.
Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace».

(Tina Anselmi, staffetta partigiana)

Tina Anselmi, nome di battaglia Gabriella

Tina Anselmi, nome di battaglia Gabriella (Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927 – 31 ottobre 2016)

E chi se lo aspettava di scoprire una sera per caso al Leoncavallo un minuscolo librettino sugli scritti di don Milani?
E di non riuscire a staccare gli occhi fino a quando le parole conclusive di Carlo Galeotti (il curatore del libro) hanno lasciato non punti interrogativi ma solo punti fermi.
Certezze.
Certezza di sapere a cosa non avrei voluto partecipare e a cosa ancora oggi non intendo prestare né la mia mano né il mio fianco ma neppure l’altra guancia.
«…in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa dalle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano i civili, dall’altra i militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato».
Queste parole sono uscite da quella beata bocca pensante che aveva don Lorenzo Milani. Molte altre ne ha dette, rischiando e affrontando processi, chiedendo ai cappellani militari con quale faccia, con quale morale, con quale diritto potevano accusare gli obiettori; quale fosse il loro concetto di patria e del verbo ripudiare usato nella Costituzione. Continua a leggere

Preghiera per Audrey

di Silvia Truzzi*

(stills 15365) Audrey Hepburn

Audrey Hepburn in “Gli occhi della notte” di Terence Young (1967), uno dei tre film in programmazione il 3 dicembre 2016 al MIC, Museo Interattivo del Cinema di Milano, per la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità (http://mic.cinetecamilano.it/)

Da ragazzina ballava nei teatri clandestini: raccoglieva fondi per il movimento di opposizione al nazismo in Olanda, dove la sua famiglia si era trasferita. Molti anni dopo, in un’intervista, spiegò: “Il miglior pubblico che abbia mai avuto non faceva il minimo rumore alla fine dello spettacolo”. Lo stesso silenzio di prigionia e resistenza che abitava la soffitta di Anna Frank. Della Liberazione disse: “La libertà è qualcosa che si annusa nell’aria. Per me è stato sentire i soldati parlare inglese, invece che tedesco. E l’odore di vero tabacco che veniva dalle loro sigarette”. Oggi Audrey Hepburn  avrebbe 80 anni (per celebrarli Armando Curcio editore pubblica in questi giorni “Diva per caso”). E non è un caso se Audrey ha combattuto una lotta partigiana sulle punte: avrebbe portato a spasso la sua affascinante magrezza per tutta la vita, in una danza purtroppo breve (morì a 63 anni). Le forme efebiche che Givenchy trasformò nel simbolo dell’eleganza, erano la conseguenza della fame e del freddo patiti sotto il nazismo. La prova che il dolore non è solo dolore e qualche volta la forma (le forme) è sostanza.

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