La Resistenza negli occhi dell’Agnese

di Renata Viganò

Al Mic – Museo interattivo del Cinema di Milano mercoledì 4 dicembre 2019 (ore 15) verrà proiettato il film L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (qui), tratto dall’omonimo romanzo del 1949 di Renata Viganò che ha come protagonista una lavandaia che, intimamente ferita dalla violenza del nazifascismo, diventa quasi senza accorgersene una valorosa partigiana. La trasposizione cinematografica del bellissimo libro, di cui proponiamo le pagine iniziali, è del 1976, con Ingrid Thulin nel ruolo della protagonista e Massimo Girotti in quello del marito Palita. Musiche di Ennio Moricone.

L’attrice Ingrid Thulin in un fotogramma del film “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo (scatto di Paola Ciccioli). Nel 2021 è uscito per Solfanelli il libro di Massimo Recchioni “Una svedese in guerra. La storia de L’Agnese va a morire”.

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Un amore di musica

di Maria Elena Sini

Sof’ja Tolstaja (1844-1919) nel 1862, a soli 17 anni, sposò Lev Tolstoj ed ebbe da lui 13 figli. Il suo “Romanza senza parole” (pubblicato in Italia da La Tartaruga) è rimasto inedito fino al 2010 per volontà della stessa dell’autrice

In passato mi è capitato di riflettere sul  pregiudizio che spesso ha limitato e soffocato tante potenziali scrittrici, pittrici o musiciste che non hanno avuto il coraggio di aprire i loro diari o mostrare le loro opere temendo di essere testimoni di un mondo troppo piccolo o portatrici di un’arte che il mondo non era pronto ad accogliere. Ho letto, ad esempio, che Sof’ja Tolstaja, moglie di Lev Tolstoj, per molti anni fu la fida consigliera del suo sposo, trascrisse e apportò correzioni alle opere del più celebre marito al punto che oggi molti critici trovano difficile distinguere le parti scritte dall’autore di “Guerra e pace” da quelle di sua moglie.  Continua a leggere

A ciascuna il suo Angelo Sterminatore

di Giuseppina Pieragostini*

Un’immagine da “L’angelo sterminatore”, film del 1962 del regista spagnolo Luis Buñuel (https://www.youtube.com/watch?v=F-eRetOy2m8)

Nella preparazione di questo post, Giuseppina Pieragostini chiede via mail a Paola Ciccioli: «Ricordi il film di Buñuel? Mi è sembrata una perfetta metafora della condizione di migliaia di donne che, oggi, dovendo uscire e percorrere il mondo (dopo millenni di custodia domestica), sono preda di ansie e fobie. Questi disturbi sono la prima ragione per cui si va in uno studio di psicologia». 

Mariagiulia la casalinga, come ogni femmina che si rispetti, è dotata di moto apparente.

In realtà asseconda una vocetta dispotica che non sa se collocare nella sua testolina confusa o in qualche angolo recondito della casa e che richiama inspiegabilmente quella di Romeo Indicchia il pavone, suo signore e padrone e per certi versi evoca quella del compianto commendator Puchini suo padre. Quando esci, ricordati di: buttare la spazzatura, di prendere le chiavi altrimenti per rientrare devi disturbare Olghina la figliastra, che potrebbe fare orecchie da mercante, di portare le scarpe della suddetta rampolla dal calzolaio che qualcuno, o qualcosa, deve averne addentato i tacchi, di passare allo studio medico per ritirare le ricette, di prendere i pantaloni di Romeo in lavanderia che se li cerca è meglio che li trovi, di ritirare all’edicola il fumetto western lettura e diletto dell’uomo di casa, di comprare il riso soffiato per il cane al negozio per animali che il supermercato spesso ne è sguarnito e comunque non ha quello con le verdure, di passare a prenotare il parrucchiere per Olga che ne ha perso il numero di telefono, di ritirare la raccomandata all’ufficio postale che tanto è la solita multa per Romeo automobilista temerario, di comprare il mistrà per il medesimo e il polpettone di tacchino al supermercato. Giacché ci sei, prendi un cespo d’insalata fresca da mischiare con quella che hai in frigo, a proposito, non ti scordare il detergente specifico per pulire il frigorifero e due sigarette di filo di due diversi toni di blu che puoi trovare su qualche bancarella per risparmiare.

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Sull’isola greca con il libro che mi dice: “Il mondo cambia un cuore alla volta”

di Maria Elena Sini

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Maria Elena Sini durante la vacanza in Grecia di cui racconta, intensamente, in questo post

È stato un inverno lungo, cupo e doloroso per cui quando un amico che trascorreva l’estate nelle Cicladi mi ha invitato a passare una settimana a Paros ho accettato con gioia. Mi attirava l’idea di rilassarmi in un’ isola illuminata dalla luce degli Dei, circondata da mare pulito dove buon cibo, tradizioni, storia e archeologia si aggiungono alla per nulla scontata possibilità di trascorrere intere giornate in spiagge poco affollate anche in alta stagione.

Prima di partire, come faccio spesso prima di un viaggio, sono passata in libreria per comprare un libro che accompagnasse la mia avventura. Nel banco delle novità mi ha subito colpito La prima verità di Simona Vinci, edizioni Einaudi, e d’istinto l’ho acquistato perché, come ho letto nel risvolto della copertina, la storia che racconta è ambientata a Leros, un’isola del Dodecaneso. Durante il viaggio, tra un aereo e l’altro, ho iniziato la lettura e ho scoperto che la storia trattata era ispirata ad una vicenda realmente accaduta: quell’isola in passato era stata trasformata in un grande manicomio nel quale rinchiudere persone affette dalle più diverse patologie, schizofrenia, paranoia, persone che la famiglia non voleva o non poteva più accudire, persone violente definite “ingovernabili” che però in quella realtà non venivano realmente curate ma essenzialmente venivano recluse, allontanate dalla civiltà. Qualche anno fa, con grande scandalo, la stampa britannica ha rivelato che durante il regime dei colonnelli nell’isola di Leros erano stati deportati gli oppositori politici di tutta la Grecia facendoli convivere con i malati di mente, e la follia e l’isolamento aveva trasformato tutti in inquietanti relitti umani. Il romanzo è avvolgente, scorrendo le pagine si ha l’impressione di stare tra incubo e risveglio, si spalancano gli occhi su un’allucinazione nella quale Simona Vinci conduce il lettore attraverso immagini di rara forza con parole che permettono di raccontare l’indicibile.

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Lo scrittore di Istanbul

di Orhan Pamuk*

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Donne si tengono per mano mentre fuggono dall’aeroporto Ataturk di Istanbul dove ieri sera un attentato ha provocato 41 vittime ed almeno 230 feriti

È da quasi trentacinque anni che scrivo romanzi. Nei primi venti anni non ero consapevole di essere uno scrittore di Istanbul, semplicemente scrivevo quello che mi capitava. Ma sono vissuto a Istanbul tutta la vita, quindi sono entrato in contatto con la gente di Istanbul. Ogni scrittore, ogni romanziere scrive quello che conosce meglio. All’inizio, quando stavo scrivendo i miei primi romanzi, non pensavo: “Ecco sto scrivendo un romanzo su Istanbul”. Non me lo sono mai detto; ma quando i miei libri hanno iniziato a essere pubblicati a livello internazionale, hanno iniziato a chiamarmi “lo scrittore di Istanbul”. Forse perché la generazione precedente di scrittori turchi era occupata con i problemi cittadini riguardanti i contadini e i possidenti terrieri mentre io mi occupavo di quelle che erano le mie esperienze. Ma negli ultimi quindici anni il fatto che io adesso sia conosciuto a livello internazionale come scrittore di Istanbul mi ha reso un po’ inquieto rispetto alla mia identità di abitante di Istanbul. Perché non sono naturale rispetto a Istanbul. Si aggiungono inoltre i nuovi sviluppi.

È da sessant’anni che vivo in quella città, e gli incredibili cambiamenti che ho visto negli ultimi quindici anni sono più grandi dei cambiamenti che ho visto nei primi quarantacinque anni della mia vita. La crescita economica dell’ultima decade e mezza è così enorme, così strana che adesso faccio di tutto per essere consapevolmente uno scrittore di Istanbul, perché devo imparare molto dei nostri quartieri che si stanno sviluppando così velocemente, della gente e delle campagne, che stanno diventando ricche, del loro stile di vita che sta cambiando. E se adesso sono uno scrittore di Istanbul devo imparare tutto questo e lo accetto. Voglio imparare, adesso sono occupato con le informazioni per il romanzo che sto scrivendo, ho degli assistenti che mi aiutano intervistando le persone. All’inizio non ho pensato a me come scrittore di Istanbul, solo come romanziere, ma adesso dopo trentacinque anni posso dire che sì, sono uno scrittore di Istanbul con l’obiettivo di catturare l’essenza della città. Non mi dico: “Adesso scrivo un altro romanzo su Istanbul”, ma piuttosto “Adesso scrivo un altro romanzo”, e quello naturalmente è ambientato a Istanbul. E ho molti progetti, la maggior parte dei quali è ambientata lì. E di certo continuerò a scrivere della mia città.

 

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«L’apparizione di un cammelliere nel deserto afghano. E le avventure che gli ho fatto vivere»

Testo e foto di Lucia Vastano 

Lucia, cammelliere

Il cammelliere con i dromedari nel deserto afghano. La sua visione ha ispirato un romanzo a Lucia Vastano

Nella vita accade spesso che le cose importanti ci succedano per caso, proprio quando non le andiamo a cercare. Non dico che quell’incontro durato qualche manciata di minuti in mezzo al deserto afghano abbia realmente cambiato la mia vita, ma di fatto qualche conseguenza l’ha provocata. Sicuramente più di innumerevoli inutili ore trascorse con conoscenti, colleghi, intellettuali veri o presunti e purtroppo anche amici. Sterili, come dei muli. Le ore, intendo.

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La Resistenza raccontata da una ragazza di oggi

di Concita De Gregorio 

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4 giugno 1944, gli alleati a Roma. Nuove immagini per la recensione di Concita De Gregorio al libro d’esordio di Paola Soriga “Dove finisce Roma” (foto da http://anpi-lissone.over-blog.com/)

È una bambina, da una grotta, a raccontarci cos’è che ci manca. Cos’è che non abbiamo più e non sappiamo ritrovare qui e ora, in questi giorni sfusi pieni solo di rabbia e di impazienza, di calcoli brevi e di sfinimenti vani. È il personaggio di un romanzo  –  che come accade è la finzione la più precisa a raccontare la realtà – a dirci piano all’orecchio da dove ripartire.

A dirci dove ritrovare le parole e le emozioni, le ragioni collettive che tengono dentro le storie di tutti, e un cammino da fare insieme, con fatica e con dolore ma insieme, verso un posto che sia un più bel posto per tutti giacché tutti l’hanno patito e guadagnato insieme. Un orizzonte comune, la storia grande che partorisce nel sangue e nel sollievo le vicende di ciascuno. È Ida Maria, una ragazzina sarda sbarcata in continente giusto in tempo per scoprire cosa sia l’amore mentre arriva la guerra, una piccola staffetta partigiana che si nasconde per giorni sottoterra, nelle cave di Roma ad aspettare che finiscano gli spari. E che nei giorni, dalla grotta, per domare la paura ricorda e racconta: la vita sua, quella delle persone intorno, la storia grande e quella piccola, la forza delle cose, l’immensa energia che scaturisce da ogni lutto se solo c’è un posto dove andare, dopo, un luogo dove correre che sia così bello da giustificare la corsa.

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