Opera, operetta, commedia, varietà, ballo o la pelota? Quella sera di marzo a Milano

di Vincenzo Mantovani*

Due pagine dal libro di Vincenzo Mantovani, Mazurka blu: la strage del Diana, prima edizione Rusconi 1979, ora in versione ebook gratuitamente scaricabile dal sito della Biblioteca Sormani di Milano.

 Luci ancora spente nei teatri italiani per la pandemia anche oggi, 27 marzo 2021, Giornata mondiale del Teatro (foto dall’archivio di Paola Ciccioli)

Quel giorno i milanesi che volevano passare una serata fuori potevano scegliere tra molti programmi.

Agli amanti dell’opera lirica il teatro Dal Verme offriva Dejanice di Catalani; lo spettacolo di quella sera era in onore di Ester Mazzoleni, l’«eletta cantatrice» che, «affrontando l’interpretazione di una parte che non sembrava la più adatta ai suoi mezzi vocali», aveva comunque dato al personaggio «un’anima canora e potenti vibrazioni drammatiche».

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I fiordi, un gruppo di amiche calabresi e un bergamasco solitario: chi vince?

di Adele Colacino

Sì, viaggiare. Un’Adele Colacino in gran forma (prima da destra) ci racconta questa volta di una crociera con le sue non silenziosissime amiche. Sembrava dovesse finir male e invece… (la suspense è d’obbligo e spiega perché la cronaca di questo viaggio in Norvegia arriva a distanza di mesi…)

«Spenderò tutti i miei soldi in viaggi», dice qualcuno in una chat, ed io approvo e condivido.

Ho sempre avuto l’idea che andare in crociera fosse una cosa da anziani abbastanza agiati e, quando mi hanno proposto “L’incanto dei fiordi”, ho pensato che era troppo per me. Ho detto No.

Ho prenotato una visita nell’isola di Malta.

Poi Rosa mi richiama, «si è liberato un posto ed io sarei sola in cabina, vieni!».

Malta e i Fiordi nello stesso mese, una pazzia.

Se non ora quando?, mi sono detta, e l’ho fatto!

9-18 giugno 2017 – Crociera l’Incanto dei Fiordi – Costa Magica.

“Il meglio dei Fiordi norvegesi in dieci giorni. La lenta navigazione all’interno dei fiordi consente una immersione completa nella natura incontaminata e prorompente che stupisce con cascate, ghiacciai, picchi rocciosi e grandi distese di alberi dal verde intenso, così come le numerose escursioni permettono di svolgere attività all’aria aperta in paesaggi di fiaba”.

Non avevo idea di cosa mettere in valigia, sono diventate due valigie su consiglio delle amiche esperte.

Io vivo nel piede dello Stivale e come sempre occorre già un viaggio per raggiungere il crocicchio di partenza.

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Diritto di parola alle donne dei vinti

di Silvana Citterio*

Le Troiane di Euripide – Sartre per bovisateatro con la regia di Bruno Portesan. Debutto sabato 10 febbraio (ore 21) al Teatro Pavoni di Milano, replica domenica 11 alle 16.

“Andromache and Astyanax”, Pierre Paul Prud’hon (French, Cluny 1758–1823 Paris) completed by Charles Pompée Le Boulanger de Boisfrémont (French, Rouen 1773–1838 Paris), Oil on canvas (132.1 x 170.5 cm) https://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/25.110.14/

Perché mettere in scena, oggi, a Milano, Le Troiane di Euripide nell’adattamento che ne fece Jean Paul Sartre nel 1965? Quali i motivi di interesse per il pubblico contemporaneo? Se lo spettatore ateniese del V secolo a.C. conosceva bene la vicenda e tutti i personaggi della tragedia, il pubblico del 2018 chi può riconoscere nelle prigioniere che, dopo la distruzione della città di Troia, stanno per essere condotte schiave in Grecia? E quale insegnamento può ricavare dalla vicenda?

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«Perdonami, caro, non mi viene da piangere»

di Paola Ciccioli

Oggi ricordiamo la nascita del drammaturgo americano Arthur Miller (New York, 17 ottobre 1915 – Roxbury, 10 febbraio 2005). Di recente sono stata sollecitata a fare una lettura attenta della sua più celebre opera teatrale: Morte di un commesso viaggiatore (Einaudi, 1979). Ecco le mie riflessioni, mi fa piacere condividerle.

Arthur Miller e Marilyn Monroe in una foto di Richard Avedon datata 8 maggio 1957, poco dopo il loro sofferto matrimonio, durato cinque anni. Nel 2017 è uscito un documentario, “Arthur Miller: Writer”, realizzato da Rebecca Miller, la figlia che il drammaturgo ha avuto dalla fotografa Inge Morath. «Grazie all’uso di interviste improvvisate girate nel corso di diversi anni in ambito familiare, emerge il ritratto di un uomo la cui vita è stata segnata dalla paura del comunismo e dalla morte di Marilyn Monroe» (http://www.filmtv.it/film/147279/arthur-miller-writer/)

«Perdonami, caro, non mi viene da piangere. Chi lo sa perché, non mi viene da piangere. Non capisco».

La morte annunciata nel titolo è avvenuta: il commesso viaggiatore Willy Loman è uscito dalla scena della propria vita e da quella della sua famiglia. Linda, la moglie, ha chiesto di poter rimanere sola e nella difficoltà che ha di lasciarsi andare alle lacrime c’è tutta l’aridità che tiene insieme i protagonisti del dramma di Arthur Miller.

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Teresa Franchini, tutta la forza del teatro

Testimonianza di Alessandro Quasimodo

raccolta da Paola Ciccioli

In questa eccezionale immagine, l’attrice Teresa Franchini è con Tino Carraro sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano proprio nel “Processo a Gesù” di Diego Fabbri, regia di Orazio Costa, scene di Bruno Colombo, stagione 1954-55, rimasta impressa nella memoria di Alessandro Quasimodo. (Fotografia: Bernardi http://archivio.piccoloteatro.org/)

La grande attrice Teresa Franchini (Rimini, 18 settembre 1877 – Sant’Arcangelo di Romagna 10/8/1972) raccontata da Alessandro Quasimodo.

Teresa Franchini era un “tipetto”, aperta, una donna di una schiettezza assoluta. A volte si rimproverava di non essersi morsa la lingua, invece di dire ciò che pensava e danneggiarsi così da sola. Anche con lei, come con Emma Gramatica, il primo incontro è avvenuto a teatro attraverso l’emozione che è riuscita a trasmettermi dal palcoscenico. È successo al Piccolo di Milano, quando l’ho vista nel Processo a Gesù di Diego Fabbri, con la regia di Orazio Costa. Interpretava la vecchia delle pulizie. E aveva un suo monologo, una parte di pochi minuti rispetto all’intero respiro del lavoro. Però diventava la protagonista indiscussa della scena e del dramma.

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La danza lenta che svela il corpo come opera d’arte

di Giorgia Farace

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Wendy Whelan, prima ballerina nel 1991 del New York City Ballet, è una dei 43 artisti ritratti nella video installazione di David Michalek. L’opera , che si intitola Slow Dancing, illuminerà fino al 9 ottobre, la piazza Bernardino Luini a Lugano

Roma. Sabato pomeriggio. Sto passeggiando per la città con i miei fratelli e mio papà quando, dopo qualche ora di “assenza”, riprendo in mano il telefono e trovo una chiamata di Paola. Non ci siamo mai incontrate fino ad ora e quindi richiamo rapidamente, chiedendomi ad ogni squillo quale possa essere il motivo della telefonata. Mi risponde e poche frasi dopo arriva al dunque:

«Lunedì 19 settembre sono stata invitata alla conferenza stampa per l’apertura della nuova stagione del LAC, a Lugano. Io ho un altro impegno, così ho pensato a te che ami la danza: credo possa farti piacere partecipare».

Mi sono fermata un attimo in mezzo al marciapiede per realizzare: LAC, nuova stagione, presentano l’opera Slow Dancing di David Michalek, artista californiano. Pannelli appesi in tutta la città da qualche settimana lo pubblicizzano. Balletto. Conferenza stampa.

Anche se mi guardasse un passante vedrebbe l’emozione nei miei occhi. «Sì, ci vado! Che onore! Grazie per aver pensato a me, è bellissimo!».

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Lourdes

di Rosa Matteucci*

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«Per la miseria di mamma e papà, per la rovina del mulino, per quel pancone di malaugurio, per il vino della stanchezza, per le pecore rognose: grazie, mio Dio». Questa citazione dal Testamento di Bernadette è stata scelta dalla scrittrice Rosa Matteutti come epigrafe per il suo “Lourdes”

Il viaggio corto di Maria Angulema verso Lourdes comincia una settimana prima della partenza, che è fissata di domenica appena pranzo anche se pranzo non ci sarà perché non ci potrà essere, con la prova generale e sommaria delle due uniformi, incluso il velo bianco nonché la berretta da treno, imprestate dall’Ascenzia Pagnottini vedova Pellicciotti, residente a Lugnano in Teverina, impiegata del PRA di Terni, taglia 44. La volontaria Maria Angulema accompagnerà i malati in pellegrinaggio a Lourdes come dama di carità o sorella. Viaggerà sul Treno Bianco.

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“Sanghenapule”: San Gennaro e Napoli in sei atti di sangue

Al Piccolo Teatro di Milano Roberto Saviano e Mimmo Borrelli raccontano la città attraverso il mito e il rito del suo patrono, che protegge solo i napoletani, ma conosce e perdona la disperazione (dal 10 al 18 gennaio 2017) 

Mimmo Borrelli in "Sanghenapule" (foto Piccolo Teatro)

Mimmo Borrelli in “Sanghenapule” (foto Piccolo Teatro)

di Alba L’Astorina

Napoli, si sa, non è una città ordinaria. E per raccontarla, a volte, si può solo ricorrere al mito. Quello di San Gennaro, forse, è il mito per eccellenza. Ce ne sono varie versioni, ma narrano tutte di un santo diverso dagli altri, uno che prescinde dal dogma. Che contempla e accoglie il peccato e accetta la trasgressione della regola, come possibile strategia per sopravvivere alle miserie umane.

Uno che non è neanche nato a Napoli, eppure è così fazioso che protegge solo i napoletani. Come dice Dumas, «il mondo può andare in fiamme, ma solo se piove su Napoli, lui si darà da fare». Un santo umano, che conosce l’equilibrio precario tra il bene e il male, tra il celeste e il sotterraneo, tra l’abbagliante luce della città e i suoi lati oscuri e contraddittori, tra la fede religiosa e il paganesimo che animano i riti dei suoi abitanti.

A raccontare la sua “storia straordinaria”, una tra le tante disponibili in una vasta narrativa che mescola cronaca e mito, sul palco del Piccolo Teatro di Milano, ci sono Roberto Saviano e Mimmo Borrelli in sei atti di sangue: Sanghenapule (dopo lo straordinario successo ottenuto ad aprile, lo spettacolo torna in scena dal 10 al 18 gennaio 2017).

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La prima volta che ho fatto l’amore a teatro (poi vi spiego)

di Cecilia Gaipa

Cecilia in palcoscenico. Qui è Vittoria ne "Le smanie della villeggiatura" di Carlo Goldoni

Cecilia in palcoscenico. Qui è Vittoria ne Le smanie della villeggiatura di Carlo Goldoni

Se aveste la possibilità di tornare indietro nel tempo e poter rivivere un momento della vostra vita, quale scegliereste?

Io non avrei dubbi: la prima volta che ho fatto l’amore a teatro.

Strano, vero? In teatro non si fa l’amore, di solito si guarda uno spettacolo. O, se si è attori, quello spettacolo lo si recita. A me è capitato di far l’amore recitando. Sembrerà strano, eppure è così che è andata.

Cominciamo con ordine, se no rischio di farmi fraintendere: ho frequentato il liceo linguistico Virgilio di Milano. Conduco una vita “normale” fino al quarto anno, quando, un bel giorno di ottobre, decido finalmente (dopo anni di tentennamenti, rimandi, scuse inutili) di andare a fare una lezione di prova del corso teatro organizzato dalla scuola. Quello è stato il giorno in cui la mia vita è cambiata completamente. A volte penso a come sarebbe potuta andare se quel giorno avessi deciso di fare altro. Ringrazio quindi la mia curiosità che mi ha spinto ad andare a quella lezione di prova, anche se non conoscevo nessuno e non avessi la minima idea di che cosa si facesse a una corso di teatro Continua a leggere

«Tre volte femmina», se il Teatro è a chiamata

di Ornella Bonventre

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Ornella Bonventre

«A chiamata???». Mi pare di sentirli già i primi commenti… «Ma che vorranno mai dire questi con sto Teatro a Chiamata? Pronto???». Sorrido. Perché è proprio così, la mia per il teatro è una vocazione. Che ci posso fare? C’è chi fa il prete e chi fa teatro! Stessa forza di fede, stesso livello di povertà incluso nella premessa. Solo che, mentre a fare i preti possono andare solo i maschi, a far Teatro possono andare tutti.

Il teatro è una religione più democratica! «Eccola che ricomincia con il trito femminismo spicciolo…». Lo state pensando, vero? Rido. Dovete avere pazienza, sono femmina femmina! Mio nonno, quando si arrabbia sul serio, per dire a mia nonna che è proprio tremenda, le dice: «Sei tre volte femmina!». Che ci posso fare! Si vede che è ereditario. Va bene, torno al punto e torno seria.  Continua a leggere

Scarpe rosse, vestiti neri: ma dove sono le più giovani?

di Angela Giannitrapani

Il funerale di Lea Garofalo a Milano

Novembre è il mese disseminato di iniziative contro la violenza sulle donne. Negli ultimi anni si sono moltiplicate, arrivando ad alcuni rami delle istituzioni. È un appuntamento che, diverso dalle giornate della memoria, non fa in tempo ad aggiornarsi sulle cifre di violenze e femminicidio. E già, è stato coniato un nuovo vocabolo: la lingua ha dovuto, drammaticamente, accogliere anche “femminicidio”; d’altra parte simmetrico a omicidio. Ma non voglio entrare nella questione in sé, alla quale ciascuna e ciascuno di noi è più o meno sensibile. Tutti lo siamo, in vario modo.

Vorrei, invece, lanciare un appello. Cerco qualcuno. Vi dirò, presto, chi Continua a leggere

La pittrice che smacchiava le lenzuola al sole

Monologo teatrale di Paola Ciccioli

Eleonora Ciccioli, detta Maria, nella fornace Cecchi di Colmurano

Eleonora Ciccioli, detta Maria, nella fornace Cecchi di Colmurano

Non capisco perché vi interessiate a me: io sono niente, la mia vita non ha conosciuto clamori o, come si usa tanto dire adesso, successi. Sono stata una donna povera, una donna qualsiasi. Non ho fatto niente di speciale, ho soltanto e sempre seguito il flusso di quello che mi era stato detto essere buono. E io, quand’ero giovane, l’ho accettato come buono. Anche se ogni tanto, lo confesso, avevo in testa un’idea diversa del buono, del bello, del giusto e dell’ingiusto. Adesso sono una povera vecchia, dopo essere stata per tutta la vita soltanto una povera. Ma ho indossato sempre la miseria (così la chiamavo io) come fosse un titolo onorifico.

Me ne andavo in giro fiera nel mio povero vestito, lo sguardo mai abbassato per la colpa di essere povera. Perché io sono nata in un tempo tanto lontano quando essere poveri era normale. Tutti lo erano. E se potevamo concederci il lusso di un pezzo di legna in più per un minuto di calore in più, ci sentivamo ricchi e temevamo che gli altri ci guardassero con invidia. Bisognava stare attenti a non mostrare segni di “agiatezza”. Io, per esempio. Vi ho mai raccontato…, certo che l’ho fatto.

Maria Ciccioli

Maria Ciccioli

Per la verità, lo confesso, quello che sto per dirvi l’ho ripetuto talmente tante volte nel corso dei miei anni che qualcuno, quand’ero più giovane, mi prendeva perfino un po’ in giro. O sbuffava pensando che non me ne accorgessi. Adesso che sono così vecchia – ma, per favore, chiamatemi anziana che mi piace di più – nessuno si permette di sbuffare o ridere alle mie spalle. Io dico quello che mi pare e mi diverto a pensare che chi mi ascolta sta lì zitto e muto in ossequio ai miei capelli grigi. È la mia rivincita.

Per tanto tempo ho desiderato che qualcuno sprecasse un po’ delle sue giornate con me, lasciandomi l’illusione di interessarsi davvero ai miei ricordi, che potevano uscire dalla mia bocca per ore e ore e riguardare, uno a uno, tutti gli abitanti di questo paese dove sono nata e dove aspetto di morire. Di ognuno saprei disegnarvi l’albero genealogico, elencarvi le tare di famiglia, le colpe degli antenati e, perché no, gli sgarbi commessi a me o a qualcuno che porta il mio stesso cognome. Un cognome che ho sempre, anche questo come il mio titolo di povera, indossato con fierezza, orgoglio, senso di appartenenza. Ma ho perso il filo. Cos’è che vi stavo raccontando? Ah, sì, adesso ricordo. Io ricordo tutto, è la mia condanna. Mi fanno un po’ pena quelli che dimenticano, quelli pronti a liberarsi del passato. Il mio passato è tutto quello che ho: ci mancherebbe che perdessi anche quello.

Ma davvero siete interessati a me? Cos’ho io di speciale? Anche da ragazza, non sono mai stata bella. Vedete queste mani? Queste mie mani larghe e piene di nodi sono il segno della mia fatica. Ho faticato tanto, tanto, tanto. Ho faticato più di un uomo, ero talmente forte che nessuno si stupiva a vedermi competere con i muscoli degli uomini, con le loro spavalderie.

Per tutta la mia giovinezza mi sono alzata che era ancora notte, ho pedalato per chilometri e chilometri quando la fatica di lavorare richiedeva la fatica ulteriore di sciogliere i muscoli per ore prima di arrivare al lavoro. Se ripenso alla mia giovinezza davvero non so spiegarmi dove ho potuto trovare tutta quella forza. Non ero neppure tanto religiosa, dunque non potrei dire che è stato Dio a guidarmi. Andavo in chiesa, sì, come tutti. Ai miei tempi per una donna non andare a messa era come dichiarare pubblicamente una

L’autentica di una foto con la firma del sindaco Guido Forconi

L’autentica di una foto con la firma del sindaco Guido Forconi

privata dissolutezza. Io ci andavo, dicevo le preghiere, come tutti (anzi, come tutte, perché gli uomini rimanevano sempre sulla porta della chiesa e loro potevano anche non seguire la liturgia, mettersi in ginocchio…). Anche al camposanto, quando andavo a piangere davanti alle immagini dei miei genitori, mi concentravo più sull’accostamento dei colori dei fiori che portavo, sempre freschi, sulla loro tomba piuttosto che prestare attenzione a quanto andavo ripetendo nelle litanie ed eterni riposi.

Una volta una signora, una signora vera, una istruita, che era venuta a casa mia perché voleva comprare i mobili della mia famiglia (ma io mica glieli ho veduti), questa signora una volta mi ha detto che io ero un’artista. Un’artista? E di che? Quella signora mi disse che se fossi nata in una famiglia ricca, anziché imparare a rammendare così bene, avrei imparato a dipingere e che di certo sarei diventata una pittrice famosa. Una pittrice io…, che non mi ricordo nemmeno quand’è stata la prima e forse ultima volta che ho tenuto in un mano una matita.

Il fatto è che a me non è mai piaciuto sprecare le cose, buttare via, correre subito a comprare qualcosa di nuovo, di più moderno. Adesso non ho più le forze, ma prima… Prima, è vero, ero capace di fare di tre lisi strofinacci da cucina un nuovo strofinaccio da cucina. Mettevo insieme i pezzi, sapevo usare la macchina da cucire, potevo rifinire con l’uncinetto, oppure ricamare con la lana… E poi mi piaceva tanto tenere tutto pulito, tutto ordinato. Soltanto io sapevo districarmi dentro i miei cassetti, i miei armadi, sugli scaffali, dove sistemavo, seguendo un ordine decrescente di grandezza, le tazze da latte, da tè, da caffè, con i piattini dietro, appoggiati alla parete della credenza, che aveva i vetri sempre perfettamente trasparenti.

Ho vissuto così la mia vita, a faticare e pulire. Ma sapevo anche coltivare fiori, crescere galline, preparare conserve per l’inverno, smacchiare le lenzuola al sole dell’estate. Ero sempre indaffarata, non avevo mai un minuto da sprecare. Ma tutte le donne erano come me, ai miei tempi. Solo che io sono voluta rimanere com’ero. Dicevano che ero antica, che dovevo modernizzarmi. E a me invece le cose moderne non sono mai piaciute. Ho pure buttato il televisore dalla finestra (ma forse quella volta c’erano altri motivi).

Io adesso me ne sto qui, zitta e sola. Mi chiedo perché state qui ad ascoltarmi. Da tanto tempo le donne come me non ci sono più. Mi toccava diventare così vecchia per vedere qualcuno interessato alla mia vita. Non ho fatto niente di speciale. Sono stata una povera donna, una donna povera. I miei genitori mi avevano dato un nome bellissimo e io, siccome mi sembrava troppo speciale, me ne sono data uno più semplice, un nome comune, un nome che si può anche dimenticare: Maria.

Seattle, 1 gennaio 1997

(A zia Maria, con tanto amore e tanta gratitudine)

Paola

AGGIORNATO IL 31 MAGGIO 2018

«La mia aspirazione più forte era il teatro, ma i parenti avevano altre idee»

di Iole Vittorini*

Iole Vittorini, a destra, con Laura Lombardo

Iole Vittorini, a destra, con Laura Lombardo

Mio padre era intanto diventato direttore artistico del dopolavoro ferroviario, con l’incarico di formare una filodrammatica. Era l’8 ottobre del 1927 ed Elio era sposato con Rosina dal 10 settembre.

La sede si trovava in piazza S. Lucia, nell’omonimo quartiere dove sorge la chiesa romanica della santa.

Il dopolavoro era fornito di un confortevole Caffè e da una sala da gioco. Il teatro, un vecchio cinema inutilizzato, godeva di una vasta platea e di comodi camerini.

Assunta con molto piacere la carica di direttore artistico, mio padre s’immerse nella organizzazione della filodrammatica, lavorando intensamente alla scelta dei testi che si dovevano rappresentare Continua a leggere

L’Africa e le sue donne

Marie Louise Niwemukobwa

di Angela Lucrezia Calicchio*

Con la XII edizione di TRAMEDAUTORE si conclude il nostro viaggio nel teatro africano avviato nel 2009, dando voce, quest’anno, ad artisti provenienti da altri paesi: Capo Verde, Etiopia, Rwanda, Uganda, Zimbabwe.

Paesi teatralmente poco esplorati dal teatro italiano, eppure al centro di un forte interesse internazionale, con una presenza ancor più significativa delle donne impegnate sul terreno della scrittura e dell’arte, che stanno dando un forte impulso al futuro dell’ Africa e costituiscono un motore per il rinnovamento. Saranno, infatti, alcune artiste africane presenti in questa edizione, a chiudere, anche simbolicamente, la nostra incursione nel continente nero Continua a leggere

“Licenziate!”

Le operaie Omsa portano a teatro e in strada la loro vita da “licenziate”. Un lavoro culturale che riesce a comunicare con mezza Italia, molto più di qualsiasi lotta sindacale: “Anche il boicottaggio dei negozi Golden Lady funziona come non avevamo sperato”.

“Noi facciamo solamente dell’arte”. Parole di uno dei registi che hanno messo in piedi le Brigate teatrali Omsa. Eppure quelle donne vestite di rosso che parlano, marciano, comunicano col corpo e si esibiscono secondo i canoni del teatro di strada hanno fatto scuola sì, ma sopratutto nel mondo sindacale Continua a leggere