di Anna D’Andrea

«A stunning autumnal evening on Brighton beach with the starling murmuration over the West Pier/Una stupefacente serata d’autunno sulla spiaggia di Brighton, con il suono di uno stormo sopra il Molo Ovest» (foto del 27 ottobre 2017 Matt F. Photography da Twitter http://www.mattfreestonephotography.com/). L’unica immagine possibile per la prima parte del racconto “Il maglione autunnale” di Anna D’Andrea
«È sempre più tardi di quanto pensavamo… Allora ci vuole un maglione nuovo. Mettersi addosso le castagne, il sottobosco, i ricci dei marroni… un maglione ampio: il corpo sparirà, diventeremo la stagione… Scegliere il conforto delle malinconie, comprare il colore dei giorni».
(Philippe Delerm: La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita)
È un selfie recente, questo, perciò è a colori, come nei film in cui i flash-back sono in bianco e nero e il presente è colorato, anche se io non ho chiara la distinzione tra una cosa e l’altra, basti dire che si riferisce ad avvenimenti meno lontani.
Comunque è già sfocato, perché a un certo punto il tempo si dilata e si restringe senza regole fisse, la bambina in fiocco e triciclo pedalava appena ieri sul lungomare, mentre la mia faccia incollata alla vetrina di quel negozio chic, come ci sono soltanto nelle città di provincia, è un reperto archeologico, pur risalendo a poche estati fa.
L’ immagine del golf è l’unica ad essere nitidissima: luccicante di minuscole paillettes trasparenti, una sinfonia di toni che vanno dal bruno al malva all’arancio, solo a guardarlo si capisce che deve essere morbido come una carezza.
“ Nuovi arrivi: collezione autunno-inverno” è scritto a caratteri cubitali sulla vetrina. Un palpito di desiderio, un risveglio improvviso dei sensi.
-Non eri una contemplativa?- mi dico sogghignando.
Però è bello, come lo è solo la bellezza non esibita, portata con disinvoltura: così poggiato con nonchalance sul manichino, una spalla che scivola distratta, e quella sfarinatura di brina che sembra sciogliersi al primo sguardo, da stare attenti a non sciuparlo con gli occhi.
-Per oggi il tuo acquisto l’hai già fatto, attenzione a non romperlo perché era l’ultimo pezzo, e domani si parte.
In effetti c’è aria di smobilitazione in giro, un’indolenza, una fiacca, una mollezza di fine stagione, anche se fa ancora caldo.
Magari contribuisce all’atmosfera lo stabilimento di fronte, di sicuro il più vecchio fra tutti, col suo gusto rètro, una “rotonda” anni Settanta dove bivaccano quattro ragazzini seminudi e annoiati.
Mi pare di sentire un juke-box con la voce roca di Fred Bongusto: una rotonda sul mareee, il nostro disco che suonaaa… La mia testa aumenta il volume al massimo, per coprire un rap robotico e irritante.
– Certo che non fa per te! Scommetto a che cosa stavi pensando!
– Giochi in casa, grillaccio screanzato!
-Uhm, Brighton, direi, e le luci che si accendono la sera, e gli stands che brillano come alberi di Natale. È proprio vera quella storia che la gente applaude, quando si accendono i primi neon al tramonto? Come se fosse la prima volta che vedono un tramonto?
-Sì, mi sono commossa anch’io!
-Figuriamoci, per te un piatto di malinconia è meglio di ostriche e champagne!
-Non è stato sempre così…Però mi è capitato di trovarmi, anzi di dovermi ritrovare nello stesso posto alla stessa ora, e di aspettare che si accendessero i primi lampioni.
Che tu ci creda o no, è straziante, lacerante, è la fine annunciata di qualcosa prima che ne nasca un’altra. È una “ separazione” dalla vita del giorno, ed è difficile, come tutte le separazioni. È un taglio, una cesura. Penso ai popoli primitivi, che non sapevano se ci sarebbe stata una nuova alba.
-Anche qui vedi la separazione, ma è una fissa, la tua!
-Non puoi capire, è una speranza di vita e insieme la consolante dolcezza della fine.
Una cosa strana: se fai caso alle auto, metti che sei in una piazza che fa da rotatoria – un punto di osservazione privilegiato – succede qualcosa intorno a quel momento, prima è come se il traffico scorresse più veloce, come se tutti si affrettassero, non si sa perché e verso dove, poi d’improvviso rallenta, è difficile dire quanto duri questo tempo sospeso, una tregua non sai da che cosa, un pensiero che si ferma come un passero sul ramo, un respiro trattenuto.
-E poi?
-Poi niente, ritorna tutto come prima.
– Mai che racconti una storia, tu! Una cosa con un inizio, uno svolgimento, una fine…
Ha ragione: mi innervosisce più del rap, la vocina stridula del mio grillo parlante, ma devo ammettere che in genere ha ragione.
Avrei preferito restare a casa, ma Gi mi aveva fatto capire di averne abbastanza di padrone contemplative e di non avere intenzione di contemplare per l’intera giornata; avrei preferito quel fazzoletto di giardino a picco sul golfo, col melograno che si anima tutto alla brezza e le tende che al tramonto si gonfiano di vento e ti fanno sperare di prendere il volo anche tu, come una mongolfiera.
-Dove vorresti andare, amore di mamma, che in due non ne facciamo uno sano?
Dovunque, dici? Dovunque ci siano umani, e cani, e odori… E sia…
Quanto a odori, basta scendere poche centinaia di metri giù dal fresco eremo per sentirsi avviluppare dall’aria sciropposa, densa come un giulebbe, in cui si mescolano creme solari, sudore, pizza, gelato, pesce fritto. A tratti si insinua una fragranza acuta e dolcissima di tuberosa, che indugia e vaga intorno, anche quando non si può indovinare più a chi appartenga.
I – continua
non per fare la romanticona, ma l’immagine è struggente…e dice molto più di quanto io stessa potessi pensare, immaginare.
Grazie, Paola, per averla trovata, tu, nei miei ricordi
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