“El Aleph” di Borges, un vinile di Cat Stevens e il ritorno da Vigo con frammenti di destino

di Romain Valentino

Gli alfarrabistas stanno risentendo negativamente del massiccio afflusso turistico in Portogallo e in particolare a Porto. Alcuni di questi collezionisti-rivenditori di libri usati sono costretti ad abbandonare le loro caratteristiche attività a causa dell’aumento degli affitti. Spiega l’autore del post Romain Valentino: «I movimenti “O Porto não se vende” e “Habita Porto” sono tra i più impegnati a rendere lo sviluppo turistico realmente un bene a lungo termine per la città e i suoi abitanti». (https://www.facebook.com/portonaosevende/) La foto del post è tratta da https://www.dn.pt/portugal/interior/outra-livraria-ameacada-em-lisboa-ulmeiro-em-risco-de-fechar-5021819.html

Riprendiamo il viaggio in Portogallo con il filosofo musicista Romain Valentino che, in compagnia della sua amica (della quale conosciamo l’iniziale del nome: “L.”), arriva in un alfarrabista di Vigo per poi tornare a Porto con due libri e un universo di ricordi.

L. era, più che una frequentatrice di alfarrabistas, una compratrice compulsiva quasi patologica di libri usati, con conseguenti problemi di spazio in casa, necessità di inventari, e lunghe code di lettura. L. ha amato molto a suo tempo Il favoloso mondo di Amélie, ha adorato passare lunghi pomeriggi a leggere tra gli antichi scaffali parigini della libreria Shakespeare & Co. (di fronte ai famosi bouquinistes di bordo Senna), ha bevuto molte cañas e copas ascoltando rock dal vivo nella molto rock Vigo, della cui età d’oro rimangono i tossicodipendenti sopravvissuti a elemosinare per le strade e i negozi di vinili usati. In uno di questi negozi, un po’ libreria alfarrabista e un po’ mercatino delle pulci, seguii L. durante un giro turistico molto personale della città.

Entrando, salutò come chi è di casa, e mi fece strada tra scaffali zeppi di libri di ogni dimensione e tipo (fumetti, enciclopedie, romanzi rosa, riviste di cucito…), dvd, vhs, vinili eccezionali a prezzi stracciati, fino ad arrivare alla sezione di letteratura ispanica. Diede un’occhiata, scorse alcuni libri, prelevò un piccolo volume con fettuccia segnalibro e una bella copertina rigida ricoperta in carta marmo verde, guardò il prezzo scritto a matita all’interno (2€, si legge ancora) e mi disse: «Questo te lo regalo». Senonché poi vide un altro libro che – disse – avrei dovuto leggere assolutamente se non lo avessi già fatto. Tornai dalla Galizia con due libri e lasciandomi alle spalle un vinile quasi nuovo dell’album Tea for the Tillerman di Cat Stevens che volli regalarle a mia volta. Mentre il primo dei due volumi era la bella edizione del Circulo de Lectores di “El coronel no tiene quien le escriba” (di Gabriel Garcia Marquez), il secondo riporta in copertina un titolo e un autore che rimediano interamente con il loro fascino alle mancanze della rilegatura: Jorge Luis Borges, “El Aleph”.

Una raccolta di racconti in cui finti riferimenti bibliografici complicano un gioco di variazioni sul tema di una storia universale delle civiltà, della letteratura e della filosofia che l’autore conosce come le sue tasche e con cui costruisce un’insidiosa galleria di specchi. In questo mondo piacevolmente distorto, Borges prende sotto braccio il lettore, lo porta nel suo mondo, e poi si dilegua come lo zio burlone che da piccoli ci estraeva dall’orecchio una moneta di cui non sospettavamo l’esistenza, rifiutando per sempre di svelare il trucco: «Ma quale trucco, sono un mago, è magia!». Dannato Borges, se da una parte mi ricordi che chiedere il vero alla letteratura significa averne travisato il senso, dall’altra mi rendi difficile discernere tra reale e immaginario nel campo della mia memoria. “El Aleph” è come una biblioteca o una libreria in cui aprire un libro significhi aprire la porta di un universo possibile, cosicché alla fine si arriva a chiedersi se la libreria stessa non sia semplicemente un ennesimo libro aperto che ne contiene tanti altri, che ne contengono altri, che ne contengono altri ancora.

“El Aleph” è anche il titolo dell’ultimo racconto della raccolta: la vicenda di un uomo che ottiene da un conoscente considerato poco attendibile di farsi mostrare l’oggetto portentoso di cui gli decanta continuamente le incredibili proprietà. L’Aleph – è il nome dell’oggetto – si scopre esistere realmente, ed è una sorta di chiave di volta, di buco della serratura della realtà che fornisce un obnubilante punto di vista assoluto su ogni cosa, ineffabile contemporaneità di ogni prospettiva su ogni punto dell’universo in ogni punto del tempo per chi vi tuffi lo sguardo. Nella libreria di universi paralleli, l’Aleph sarebbe qualcosa come la biblioteca delle biblioteche, il libro assoluto e inenarrabile che contenga sé stesso e tutti gli altri.

Ma dal punto di vista del lettore, “L’Aleph” è l’ingegnoso tentativo di Borges di non limitarsi a tacere il trucco, ma di andare oltre e fare realmente una magia. Questo punto di fuga dell’universo porta il nome di Aleph, come la prima lettera dell’alfabeto fenicio da cui provengono tutte le altre: l’alif araba, la A latina, l’aleph ebraica, e infine quell’alfa greco che al-Farabi conosceva bene e che mi pareva di sentir risuonare nella parola delle insegne di Porto all’inizio di questo resoconto in forma libera di un pezzo di memoria. Cosa lega infine tra di loro al-Farabi, le librerie polverose di rua da Conceiçao, la vita solitaria di L., e un alfarrabista di Vigo in cui un giorno mi è stato regalato El Aleph? È tutta una faccenda di libri, certo, e tutto ciò è legato piuttosto strettamente con una porzione di territorio del nord-ovest della penisola iberica. Ma forse è più giusto dire, in maniera più triviale e più fedele, che ad unirli strettamente è il loro imprevedibile destino comune di frammenti della mia esperienza, riuniti nelle righe di questo ricordo.

II – fine

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