«Una grande notizia: mi hanno tolto l’ossigeno»

Testo e foto di Maria Grazia Nichetti

Un mese di sofferenze causate dal Coronavirus, di ansie per il marito contagiato e solo a casa, di coraggio, di commozione e calore arrivati in ospedale attraverso i contatti telefonici con i figli, di fiducia ed empatia con i medici, di solidarietà con le altre pazienti. Si conclude il racconto della psicologa milanese che ha generosamente messo a disposizione di tutte/i gli appunti su come ha vissuto personalmente la malattia che ha infettato la terra.

Qui le prime due parti: «Tutto è iniziato con un raffreddore», il diario dal Covid di Maria Grazia Nichetti e «La notte mi assale l’emozione: e se ricoverano anche Andrea?».

Ecco, tutto è pronto per tornare a casa.

19 novembre, sfebbrata. Pressione 110/70, 98 saturazione /70. Ieri sera poi non mi hanno dato le gocce, perché non prescritte dal medico, quando incontri infermiere giovani, non si prendono la responsabilità di dartele se non sono state prescritte anche se dico che il dottore era d’accordo. Ma non le hanno scritte nel mansionario, così anche alla signora M. non vengono date, per la stessa ragione. Alle 3 la signora M. comincia ad agitarsi, ha ansia, chiama, le sembra di non respirare, provoca un po’ di trambusto e poi alle 4 chiama di nuovo per la padella e così ci sono un po’ di interruzioni al mio ricercato sonno.

Continua a leggere

«I tatuaggi fissano sul mio corpo l’avventura di vivere»

di Sabrina Flisi

Quattro selfie per due da Facebook: Sabrina Flisi e il fidanzato Pietro Corà scherzano, ridono e si divertono il giorno del loro anniversario. Molto tatuata lei, per niente lui. Sabrina è un’autentica maga del Web ed è (anche) per questo che le abbiamo chiesto una consulenza per aggiornare la veste grafica del blog e per mettere online il sito dell’Associazione Donne della realtà. I lavori sono in corso (http://sabrinaflisi.it/chi-sono/)

Mi sento punta sul vivo per quanto riguarda i tatuaggi 🙂
Posso riportare la mia (personalissima) interpretazione. Per me il tatuaggio è l’espressione di una forma d’arte, dove chi si tatua non è l’artista, ma la tavola. Mettere a disposizione di qualcuno, che marchierà a vita la tua pelle, una parte del proprio corpo, richiede molta fiducia in quella persona.

Continua a leggere

«Che gli uomini siano diventati meno interessanti di un cesto di lumache, passi»

di Giuseppina Pieragostini

Eccola di nuovo con noi (e nel racconto a puntate di Giuseppina Pieragostini), Susan Sarandon. Qui l’attrice è in una foto dal suo profilo Facebook mentre pubblicizza il film da lei prodotto “Deep Run”, documentario su un giovane transessuale alle prese con l’arretratezza culturale della zona rurale del Nord Carolina in cui vive (http://www.deeprunfilm.com/)

Continua il racconto L’età dell’indecenza:

Tu che hai sempre considerato il soma solo in quanto supporto della brillantezza della mente, al massimo una sede di personalità e stile, ti ritrovi come un segugio ad inseguire ogni segno della capitolazione del corpo, che sembra prendersi le sue rivincite su tutte le volte che non lo hai massaggiato, tonificato, coperto di fanghi miracolosi, bendato con balsami ed unguenti profumati. Mica come Portia.

Non ti puoi esimere dallo spiare ogni suo progressivo cedimento; il porco nemico non si lascia intimidire e se lunedì affiorano due venuzze sotto il ginocchio destro, martedì crolla la palpebra sinistra, mercoledì compare una ruga trasversale tra la guancia e la piega labiale, giovedì non puoi più ignorare un accumulo di grasso a un polso, venerdì si evidenzia la deviazione tanto improvvisa quanto sincrona degli alluci, sabato la cianciapella dei gomiti sbatte contro l’osso. Domenica festa. No, domenica sera compare una bella macchia bruna, l’ennesima, sul dorso della mano sinistra. Se qualcuno pensa che questo sia un artifizio letterario, si sbaglia o semplicemente non ha sessant’anni o si chiama Portia.

Il tutto si va a sommare al pieghettato sotto alle ascelle, al ballonzolo bizzarro del rivestimento carnoso dei femori, nonché di quello degli omeri, ai due corpi estranei che dipartendosi dalla mandibola vanno a ricongiungersi al collo.

C’è in questa contabilità dei guasti, impietosa ma non abbastanza da essere esaustiva, l’astioso compiacimento di chi ha sempre saputo che sarebbe andata a finire così, anche quando zompettavi a destra e a manca e macinavi chilometri e chilometri a piedi, a nuoto, in bicicletta sulla moto, sulla barca, in aereo. Neanche avessi il diavolo alle calcagna. Allo stesso modo come sapevi che ciò che ti teneva unita a Gualtiero non erano le presunte affinità elettive, ma solo il raccontarvi le stesse bugie e che un giorno avrebbe trovato una più giovane con cui raccontarsele. Adesso che la bestia ti ha raggiunto, non hai nemmeno voglia di affrontarla; te ne manca, più che il coraggio, la convinzione che ne valga la pena.

Continua a leggere

«Sessant’anni non è un’età, è una sassata»

di Giuseppina Pieragostini*

Sessantanni non è un’età, è una sassata.

Susan Sarandon durante la conferenza stampa di presentazione del Premio Kinéo svoltasi all’Hotel Excelsior di Venezia lo scorso 3 settembre. All’attrice americana è stato assegnato il Kinéo International Award. Nata a Jackson  Heights NY il 4 ottobre 1946, compie oggi 71 anni. Congratulations! Foto con il cellulare di Luca Bartolommei.

Anzi una lapidazione con sessanta sassi di quelli belli grossi che vanno diritti al bersaglio. Se sei fortunata, un colpo secco che arriva a tradimento mentre pensi che ancora tutto debba accadere, magari anche l’amore.

Ma, dico io, ti sei guardata?

Prima di tutto cammini come chi non ha più niente d’interessante tra le gambe; le forme, poi, ti si arroccano protervie nei posti meno adatti ed è così che ti ritrovi quei fianchi risaliti imperterriti verso le ascelle, per non parlare delle ginocchia sempre più simili a due paracarri, le braccia ingrossate nella parte sbagliata e le guance che proliferano a comodo loro. E non sarebbe finita, ma c’è un limite a tutto. Pure alla fenomenologia.       Le attuali cinquantenni hanno conquistato, a spinte e zampate, un posto nell’immaginario collettivo se non proprio amoroso almeno ammiccante, dando origine a un esercito di nuove amazzoni senza macchia e senza paura che guardano dritte in faccia. Tu hai percorso quegli anni di buon passo esibendo la zazzera screziata neanche fossi tornata a essere quella ragazza prepubere piena di sogni; mentre Portia, sempre lei, la cara nemica di una vita, non scendeva dai suoi tacchi a spillo e cambiava ogni tre giorni, foggia e colore ai capelli.

Una certa inquietudine s’insinua verso la fine del decennio; se la colonizzazione dei cinquanta ha spinto più in là la frontiera della terra di nessuno, quella seguita a stendersi incognita e implacabile e se non hai la fortuna di crepare prima, ti tocca farci i conti. Hai voglia ad aggrapparti agli ultimi scampoli di età, a puntare atterrita i piedi sull’orlo del baratro; persa la tracotanza, le donne entrano stordite e incredule nei sessanta. Fino a un attimo prima l’età era un vezzo da mostrare o nascondere a seconda del gioco e un attimo dopo un padrone implacabile.

Improvvisamente il tempo non è più infinito e il futuro ti scoppia dentro la pancia come un palloncino punto con l’ago; sarà per questo che tuo marito s’è volatilizzato poco dopo, per riagganciarne un pezzo in compagnia di quella shampista sarda che funge da assistente. È successo anche a voi, che avevate sempre disdegnato i luoghi comuni, e che mai, avreste permesso all’ovvio di stendere la sua tovaglia a fiori sulla vostra vita.

Perché tanto vale che ti rassegni: i sessantanni riguardano solo le donne e solo per loro si presentano all’incasso tutti i conti rinviati a ogni scadenza, mentre i maschi, loro, passano di moratoria in moratoria come gli evasori fiscali.

Consumata l’euforia dei cinquanta, si assiste alla nascita di una nuova genia, dove sono tutte suore e zitelle, pure quelle che il marito ce l’hanno ancora. L’inesorabile trapasso degli ormoni della dipendenza, riscrive tutta la storia al contrario e gli uomini scappano come lepri davanti a donne che non hanno più bisogno di cantargli la novena. Ma, come farà Susan Sarandon?

«Il banale è entrato nella mia vita» sospirò tuo marito Gualtiero nell’annunciarti la sua dipartita, senza chiedersi cosa sarebbe entrato nella tua. Ed è stato più lo scoramento che il dispiacere; prima che aggiungesse altro, sei andata a prendere il guinzaglio per portare fuori Groucho. «S’intende che il cane resta a farti compagnia» ha miagolato lui. Hai detto soltanto «Non ne dubitavo» e sei uscita con il riottoso alle calcagna e con la consapevolezza che l’insignificante quadrupede rappresentava il primo embrione della campagna di disimpegno del professore tuo marito già allievo del Professore tuo padre. Te lo lasciò insieme al gomito del tennista e al ginocchio della lavandaia ché tanto al peggio eri già abituata.

Può succedere anche questo: che i sessantanni ti affranchino da certe incaute dipendenze che prima fai di tutto per procurarti e poi passi una vita a desiderare di liberartene e quando ormai ti sei rassegnata, zàcchete ti ritrovi nuda e cruda. Che gusto c’è ad avere sessantanni e non dirsi la spiccia verità? Tuo padre amava solo i suoi libri, tua madre adorava solo tuo padre, tuo marito venerava solo tuo padre e la carriera e tu facevi finta, con tutti e tre, che non ti serviva niente. Finalmente puoi accettare di chiamare le cose con il loro nome; senza pensare per questo, di morire fulminata. Se la vanità del lessico famigliare era stata insufficiente a suo tempo, a metterti al riparo dalla disillusione, tanto meno è capace ora a difenderti dall’irrimediabile mutamento del corpo. Le prime ad accorgersene sono state quelle stronze delle zanzare: fino alla scorsa estate tutte addosso come api attorno al miele, poi, improvvisamente, più niente. Il tuo odore era cambiato e denunciava un afrore sconosciuto, come se un’estranea ti si fosse rintanata sotto le ascelle. Allora ti sei annusata fin nei recessi; pure lì un odore privo di ogni messaggio che non fosse il disincanto.

La trasmigrazione dei peli è stata la seconda spia impossibile da ignorare: una vita ad ossessionarti con l’incomoda presenza e a un certo punto quasi tutti passati a miglior vita, chissà dove, chissà con chi. La prima reazione è stato chiederti se il fenomeno riguardasse anche Portia; appena due mesi meno di te e si comporta neanche fosse tua figlia: anche l’età sembra lasciarla a te come faceva a scuola con i compiti in classe. Lei prosegue imperterrita con tutti i capricci, le scollature e i ricci che tu non ti sei permessa neanche allora, tanto che lei ne ha abusato per due, senza vergogna. Mentre in te agiva una sciupafemmina che disdegnava ogni debolezza femminile, per di più incoraggiata da una cultura dominante dove non si andava dal parrucchiere e neanche dall’estetista, non ci si spalmava la crema solare, non si mettevano gli occhiali da sole, in compenso si calzavano mutilanti zoccoli di legno. Con conseguenze, alla lunga, raccapriccianti. La sciupafemmina, partorita per necessità e per malinteso, ha sprecato nell’isteria e nell’orgoglio mentale, la giovane femmina che avevi dentro, mentre sembrava ignorare, proprio lì, accanto a te, l’amica e rivale.

Insieme anche all’università, eppure Portia si risparmiò lo sciocco ’68, nessuna parentela o forse molta con l’argomento in questione. Mentre tu stavi al ciclostile, lei si laccava le unghie, mentre tu arringavi le folle con il megafono, lei seduceva il professore di filologia, mentre tu distribuivi volantini ad assonnati e renitenti operai, lei restava a dormire per levigare la pelle, mentre tu partivi a evangelizzare i pastori sardi, lei sfornava un figlio. Il primo di una lunga serie. Anche se accecata dall’ideologia, l’hai sempre saputo che mentre per Portia il centro del mondo coincideva con il punto esatto in cui stava lei, per te era sempre altrove, dove l’ombra lunga del tuo scontento non potesse raggiungerti.

Dietro le persiane chiuse, è rimasta prigioniera una figura di fanciulla che ormai solo tu puoi scorgere; ti guardi allo specchio e gli stessi occhi vedono la stessa ragazza di allora. Finché la tieni sotto il tiro dello sguardo, la tua immagine non muta, appena la perdi di vista, tutti si sentono autorizzati a farne quello che vogliono. Fuori, nel mondo accecato di sole, occhi estranei che non perdonano; non saprai perché ti guardano e cosa vedono. Quando incroci un uomo, magari un giovane uomo, la reazione è quella dell’eterna ragazza scontrosa che inizia un gioco d’amore fatto di repentini avvicinamenti e inaspettate sparizioni, poi ti sovvieni e lasci cadere la veste rubata.

La tua ultima foto per il passaporto ti ha messo davanti a un fenomeno perturbante: il tradimento era talmente vistoso, da far pensare a un errore, sicuramente uno scambio. L’impulso immediato è stato quello di rinviarla al mittente, non perché non fossi tu, ma perché non ti piaceva affatto quello che eri diventata. No, non come, ma proprio la cosa che eri diventata.

Poi quel riflesso di sguincio in una vetrina e il profilo risentito della zia monaca che ti guardava: stesso mento aguzzo e sfuggente, stesso naso aquilino, stessa boccuccia stretta a culo di gallina, identica criniera sulla fronte con la medesima fiezza bianca. I sessantanni hanno la peculiarità di dare corpo ai peggiori fantasmi infantili, anzi, di dargli il tuo di corpo e la strega maligna che si nascondeva sotto le guance di pesca e la bocca di ciliegia, esige che venga onorato il patto della culla. Non per farti gli affari degli altri, ma a Susan Sarandon succede proprio lo stesso?

Neanche bastasse, l’altro giorno un uomo che a te era sembrato vecchio bacucco, tu i maschi seguiti a guardarli neanche avessi sempre venti anni, ti ha ceduto il posto sull’autobus e dubiti che sia stato per galanteria. L’hai fulminato con lo sguardo e sei scesa due fermate prima. Hai ritenuto l’età, un accidente inessenziale, come tutti del resto finché l’anima sa persuadere il corpo a salire come una sirena sulla tolda della nave. Quando bastava uno sguardo, un alito, per sentirla, spudorata e curiosa, snodarsi con un guizzo come una di quelle flessuose strutture metalliche sotto costumi sontuosi.

Per un istante magico e infinito della vita, la coincidenza tra ciò che vuoi essere e ciò che gli altri vedono è perfetta, poi scema impercettibilmente fino a scomparire del tutto. Ora, il corpo, complice delle scorribande amorose, immaginarie le tue, reali quelle di Portia, si è fatto riottoso; l’anima, prigioniera di un involucro che ne ignora le serenate, sprofonda furiosa nelle viscere per non avere nulla a che fare con quella stessa sagoma che tu hai intravisto nella vetrina e da cui hai distolto repentinamente lo sguardo.

I – Continua

*«Gentile Paola Ciccioli, leggendo il blog ho avuto voglia di partecipare e ho pensato che questo racconto potesse essere adatto. È stato pubblicato anni fa su Toilet, è un problema?». Così, via mail, la psicologa e scrittrice Giuseppina Pieragostini, conosciuta a Roma grazie agli amici Eliana Ribes e Silvano Fazi, ci ha generosamente affidato questo suo racconto dal titolo “L’età dell’indecenza” che pubblichiamo in tre parti (in modo da gustarlo tutti meglio e pensarci un po’ su).

La forza dello stile contro gli stereotipi nella pubblicità, nei libri e nella vita

di Roberta Valtorta

valtorta-1

«Iris Apfel nata Barrel (New York, 29 agosto 1921) è un’imprenditrice e interior designer statunitense riconosciuta dalle cronache specializzate come icona di stile» (it.wikipedia.org/)

Di recente, per motivi di lavoro, mi è capitato di prestare attenzione ad alcune pubblicità trasmesse dalle reti televisive del nostro Paese. Una delle prime cose che mi ha colpito è la quasi totale assenza del mondo over 70; è un’assenza quasi totale perché qualcuno in effetti c’è, ma è inutile negarlo: la presenza degli anziani nella nostra televisione, almeno nella fascia oraria dalle 21 alle 22, è prevalentemente limitata a ricordarci – tra incontinenza, problemi acustici e dentiere traballanti – quanto il corpo, con il passare del tempo, attraversi un inevitabile decadimento.

Continua a leggere

Superficialità “bene comune”

di Erica Sai

fertility-day-1-1

Vignetta di Mauro Biani

Le campagne informative vanno sempre bene, quelle esortative possono anche andare fino ad un certo punto, ma ai toni bisogna prestare molta attenzione. Non mi sembra giusto non guardare alla parte di utilità informativa che può avere una campagna come quella promossa dal ministero della Salute, che andrà a sfociare nel Fertility Day. Non mi sembra altrettanto giusto non riconoscere i problemi che un’esortazione alla natalità può portare con sé. Aggiungendo l’uso di toni che spingono esplicitamente in alcune direzioni, ecco pronto lo scoppio della polemica. È inutile, non è inutile, ma come vi permettete di dire questo, ma non avete capito niente l’intento è un altro. È sempre così.

Trovo indubbio il fatto che sia utile informare riguardo la fertilità, quindi conoscere il proprio corpo, essere consapevoli dei fattori che possono ridurla o comprometterla e via dicendo. La campagna delle polemiche, però, sembra distaccarsi da questo per andare piuttosto ad esortare le persone, per certi versi soprattutto le donne dal momento che quando si parla di scadenze è inevitabilmente ad esse che ci si riferisce, a generare. C’è da prestare attenzione nel fare una cosa così perché è facilissimo cadere in scivoloni pazzeschi.

Continua a leggere

«Le donne spostano qualcosa quando non si fanno trovare al loro posto»

di Maria Elena Sini

Libro

Il libro di Anna Simone è stato al centro del convegno che si è tenuto all’università di Sassari: Maria Elena Sini ce ne dà conto in questo articolo

Il titolo del convegno che si è tenuto a Sassari il 13 maggio nell’aula magna dell’Università, organizzato dalla sezione cittadina della Fidapa (Federazione italiana donne arti professioni e affari), ha origine dal libro I talenti delle donne, scritto da Anna Simone, sociologa e ricercatrice presso l’università di Roma 3. Si tratta di una riflessione sul presente e sul futuro del femminile che cerca di leggere i mutamenti sociali del presente attraverso ventuno profili esemplari di donne, evitando il più possibile la retorica della vittimizzazione o, al contrario, l’esaltazione di un femminile da cui estrarre solo plusvalore economico. Le voci di Emma Bonino, Chiara Saraceno, Norma Rangeri, Ilaria Cucchi, Lucrezia Reiclin e di altre donne piene di talento e passione per quello che fanno raccontano il proprio percorso per dimostrare quanto le loro singole biografie, le loro esperienze e le loro scelte siano irriducibili alle narrazioni di superficie che, per fortuna o per sfortuna, a seconda delle circostanze, toccano l’universo femminile.

Attraverso questo mosaico di testimonianze l’autrice indaga i rapporti di potere che si realizzano nella politica, nel mondo del lavoro, nella vita quotidiana per dimostrare come possa essere possibile, nonostante tutto, per passione e per talento, riuscire a fare ciò che si desidera anche se si è donne.

Continua a leggere

Luci da stadio su volti da studio: intrecci di menti, corpi (e fotine su Twitter)

di Chiara Pergamo

Tutto comincia da questo commento sul blog:

«Salve. Penso che il vostro blog tocchi un problema reale: “Chi sono le donne della realtà? Dove sono finite?”.  E io aggiungerei che questo potrebbe essere utile per scoprire un ente ancora più sconosciuto: l’uomo. 🙂A proposito della donna che lavora e della donna “velina” (fermo restando che lavorano anche le veline) c’è un episodio che per me è emblematico. Paola Ferrari, una nota e brava giornalista RAI, tempo fa ha partecipato a “Ballando con le Stelle”.
Mi ha colpito perché mi è sembrata una ricerca della celebrità – popolarità fatta attraverso non la “mente” ma con il “corpo”: movimenti seducenti, vestito molto molto scollato etc. Mi è sembrato quasi un tornare indietro di una donna che è riuscita a imporsi attraverso il lavoro di giornalista, la mente, e poi ha scelto di comparire attraverso il corpo, come una qualsiasi velina diciottenne.
Mi farebbe però piacere sapere cosa ne pensa una donna.
Saluti. Umberto».

domenicasp

Un fotogramma dalla “Domenica Sportiva” di Paola Ferrari

Ho cercato una risposta all’interrogativo che sottopone il signor Umberto, ossia se la giornalista scollacciata metta da parte la professionista per desiderio di apparire. Ben colgo il punto, ma una vocina nella testa mi fa concentrare, più che sul focus della questione, proprio sulla Ferrari! Umberto si dichiara colpito dalla partecipazione della giornalista a Ballando con le stelle, risalente al 2005: personalmente ha suscitato in me più stupore la bizzarra querelle insorta a cavallo tra 2012 e 2013 sul tema “l’estetica della Ferrari, non l’auto, la giornalista”. Continua a leggere

Da Lorella Zanardo: “Milano 2011”

Mi scrive stamane una lettrice milanese che la città deve cambiare, che ce la dobbiamo riprendere, che serve un segnale forte. Bene, la prendo in parola.

Chiedo cortesemente al Sindaco Pisapia e ai suoi assessori e assessore che provvedano a rimuovere il manifesto che qui vedete e che ha letteralmente invaso la città. Ieri ad un incrocio c’era un gruppo di ragazzini, direi sui 12 anni, tutti a testa in su a guardare la “patonza”, come ci insegna il Premier, della signorina. Più in là le loro compagne attendevano.
Roma, Firenze e molte altre città si sono già espresse contro le pubblicità mortificanti che infestano i muri delle città, vogliamo adeguarci? Continua a leggere