“Vedo”

di Fabio Tracogna

Vedo.

Vedo le immagini di quelle Donne. 

Donne che ho conosciuto, che hanno lasciato il loro paese, i loro affetti per cercare un futuro per i loro figli.

Donne che si sono prese cura della mia povera mamma Rosanna, con amore, con affetto, con tenerezza, come se fosse stata la loro mamma.

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«Alla popolazione del Vietnam unito. Avevo torto. Perdonatemi»

di Maria Elena Sini

In questo modellino i Cu Chi tunnels, la complessa ed estesissima rete sotterranea nella quale i Vietcong si rifugiavano e organizzavano le azioni di guerriglia contro l’esercito americano. È tra i luoghi della storia più visitati del mondo e Maria Elena Sini, che ci è stata da poco, ce ne parla in questo reportage (immagine da https://vietnamnews.vn/travel/travellers-notes/466589/cu-chi-tunnels-named-among-top-7-underground-destinations.html#QZwe0vy5UIydK4oE.97)

Dopo la visita alla reggia-mausoleo di Khai Dinh, il penultrimo imperatore del Vietnam, Maria Elena Sini ci guida nel Museo dei residuati bellici di Ho Chi Minh City e nel labirinto dei Cu Chi tunnels, la fortezza sotterranea dove fu organizzata la resistenza contro gli Stati Uniti.

Una visita in Vietnam, per una persona della mia generazione, cresciuta nell’epoca delle manifestazioni contro la guerra, nutrita da film come Il Cacciatore, Full Metal Jacket, Apocalypse Now, Platoon non può prescindere da un approfondimento sulla guerra che funestò questo paese per più di dieci anni. I vietnamiti da tempo hanno smesso di coltivare risentimento verso gli antichi nemici che sterminarono tre milioni di compatrioti.

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I “Barbisin” in uniforme al mercato dell’Isola

di Luca Bartolommei

Nell’immagine in formato Gif, creata dallo studio Boombangdesign, riconosciamo tutti il venditore di rose, elegante e gentile, ormai più “isolano” del bosco verticale. L’idea geniale di realizzare cartoline animate con i personaggi del quartiere è venuta alle creative Lorenza Negri e Caterina Pinto http://www.postcardsfromisola.com/

Ogni promessa è debito, quindi eccomi a completare la vista del cielo isolano con la metà che mancava, ovvero quella degli uomini, sempre con D’Anzi e Bracchi che mi aiutano a non fare troppo il serioso e mi accompagnano nella passeggiata per il quartiere.
Ebbene sì, anche una parte dell’Isola è citata dai Nostri, attraverso un personaggio che sicuramente faceva parte della fauna stanziale molti anni fa, ma guardandosi bene intorno, ancora oggi ne possiamo trovare qualche emulo.
Parlo del “Barbisin della Mojazza*” tipo da ligera, violento, rapido nell’uso del coltello, sciupafemmine che mangia carne tutta la settimana, oltre a pollo, zucchero, formagg de grana, (quindi si occupa anche di “borsa nera”, visto che siamo in guerra), e che spaventa tutti gli abitanti. Continua a leggere

La forza dello stile contro gli stereotipi nella pubblicità, nei libri e nella vita

di Roberta Valtorta

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«Iris Apfel nata Barrel (New York, 29 agosto 1921) è un’imprenditrice e interior designer statunitense riconosciuta dalle cronache specializzate come icona di stile» (it.wikipedia.org/)

Di recente, per motivi di lavoro, mi è capitato di prestare attenzione ad alcune pubblicità trasmesse dalle reti televisive del nostro Paese. Una delle prime cose che mi ha colpito è la quasi totale assenza del mondo over 70; è un’assenza quasi totale perché qualcuno in effetti c’è, ma è inutile negarlo: la presenza degli anziani nella nostra televisione, almeno nella fascia oraria dalle 21 alle 22, è prevalentemente limitata a ricordarci – tra incontinenza, problemi acustici e dentiere traballanti – quanto il corpo, con il passare del tempo, attraversi un inevitabile decadimento.

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Gay Pride, c’è sempre una prima volta (anche per Varese)

di Erica Sai

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Sabato 18 giugno: un abbraccio che vale più di mille proclami al primo Gay Pride di Varese. La nostra Erica Sai ha partecipato alla manifestazione perché, come giustamente sottolinea in questa sua riflessione, i diritti riguardano tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale di ciascuno di noi (foto dalla pagina Facebook di Varese Pride)

Le bandiere arcobaleno sventolano qua e là. Spicca una bandiera della Sardegna, solitaria. Non manca mai una bandiera sarda quando c’è l’occasione per portarla in giro. Un fiume di persone per il primo Varese Pride, un concentrato di colori che si snoda a dipingere le vie della città. Una sveglia per Varese, che suona a squilli decisi; un movimento nuovo per questo luogo talvolta troppo grigio, troppo conservatore di quel conservatorismo che finge di non vedere, che vuol convincersi che alcune cose non esistano voltando lo sguardo.

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Nonna, raccontami una fola (così non sarò schiava)

di Elisabetta Baccarin

Elisabetta Baccarin

Elisabetta Baccarin

leggendo del lavoro sulle emozioni in bicocca, mi è tornato in mente che nel mio piccolo, fatto di un lavoro che con l’insegnamento non c’entra più nulla da molti anni ma che mi fa ogni giorno conservare nel cuore l’insegnamento come uno dei lavori migliori che abbia fatto, mi sono laureata da adulta (avevo già 31 anni) con una tesi sulla valenza sociopedagica delle fiabe popolari. il perché della mia tesi è arrivato per caso: sono rimasta iscritta all’università per 12 anni e non ho mai frequentato, tranne qualche lezione e seminario che poteva coincidere per orari e brevità con i tempi della mia vita altra, e l’italiano era l’unico campo che avrei potuto affrontare in autonomia e senza ‘firme’ che i professori chiedevano per le lezioni. ho dato tutti gli esami e me ne mancava uno solo, ma non sapevo come terminare il mio percorso. negli ultimi anni della mia iscrizione mi sono trovata a frequentare spessissimo mantova e anche una nonna, di cui racconterò un’altra volta, che da sempre ha raccontato fole. ‘non raccontar fole‘ è un modo per dire a qualcuno ‘non dire fandonie’. e mi son tenuta questo pensiero per me, fino a che non ho visto una bimba di 3 anni che incontrando la nonna, abbandona il televisore, le corre incontro e le dice ‘ciao nonna, mi racconti una fola?’. e mi sono domandata perché e mi è tornato in testa quel pensiero sulle fandonie.

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