Superficialità “bene comune”

di Erica Sai

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Vignetta di Mauro Biani

Le campagne informative vanno sempre bene, quelle esortative possono anche andare fino ad un certo punto, ma ai toni bisogna prestare molta attenzione. Non mi sembra giusto non guardare alla parte di utilità informativa che può avere una campagna come quella promossa dal ministero della Salute, che andrà a sfociare nel Fertility Day. Non mi sembra altrettanto giusto non riconoscere i problemi che un’esortazione alla natalità può portare con sé. Aggiungendo l’uso di toni che spingono esplicitamente in alcune direzioni, ecco pronto lo scoppio della polemica. È inutile, non è inutile, ma come vi permettete di dire questo, ma non avete capito niente l’intento è un altro. È sempre così.

Trovo indubbio il fatto che sia utile informare riguardo la fertilità, quindi conoscere il proprio corpo, essere consapevoli dei fattori che possono ridurla o comprometterla e via dicendo. La campagna delle polemiche, però, sembra distaccarsi da questo per andare piuttosto ad esortare le persone, per certi versi soprattutto le donne dal momento che quando si parla di scadenze è inevitabilmente ad esse che ci si riferisce, a generare. C’è da prestare attenzione nel fare una cosa così perché è facilissimo cadere in scivoloni pazzeschi.

Dal mio punto di vista esortazioni del genere, con questi modi, toni, slogan, portano a percepire una sorta di mancanza di profondità nel trattare la questione. Mi sembra un considerare le persone con troppa superficialità perché queste esortazioni veicolano con notevole forza un messaggio, tra i tanti possibili, secondo il quale le persone non farebbero figli per superficialità ed egoismo; fattori, questi ultimi, che porterebbero a non pensare alle difficoltà più facilmente riscontrabili in tarda età, a concentrarsi su altre cose che non riguardano la procreazione e via dicendo.

Questa visione comporta due problemi: il fatto, a mio parere ingiusto, che si debba condannare chi sceglie di dedicarsi solo ad altro (per sempre o temporaneamente) ed il fatto di pensare che, tra chi desidera figli, il non farli dipenda un po’ dall’avere “la testa fra le nuvole”. Io mi auguro che le persone, soprattutto le donne in questo caso, siano consapevoli del fatto che la fertilità non è per sempre e che avvicinandosi ad alcune età le cose possono diventare più complesse su diversi fronti. Magari non molto si conosce riguardo a malattie, esami da fare ecc. e nel caso in cui non sia così diffusa questa consapevolezza è bene informare, ovviamente, per prevenire sofferenze nelle persone; del resto è bene in generale informare ad ampio spettro sulla sessualità, ivi comprese fertilità e malattie sessualmente trasmissibili, ed il proprio corpo nel nostro rapporto con esso (cose che forse non si fanno granché bene, che spesso rappresentano tabù). Appare, quindi, quasi sciocco ricordare con un’esortazione che la fertilità non è per sempre e di conseguenza bisogna fare in fretta a generare. C’è, inoltre, già abbastanza pressione sociale riguardo la necessità – “il dovere” – di avere figli per essere davvero persone complete e realizzate; soprattutto se si è donne e questo, senza fare femminismo spiccio, è legato ad un antico pregiudizio.

Questa pressione fa pensare che se chi è intenzionato ad avere figli non li ha presto, e non ne ha tanti, forse non è perché è superficiale o inconsapevole ma perché altri fattori lo limitano. Se le persone fanno figli un po’ più tardi, e ne fanno meno, è plausibile che il motivo risieda, più che nella scarsa cura della fertilità, nell’esistenza di impedimenti di ordine socio-economico ed anche nel cambiamento della società stessa, nel senso che può darsi che per tanti il fatto di procreare non sia centrale nella vita (e non vedo perché mai questo debba essere una tragedia). Della campagna del ministero, dunque, oltre a non condividere il focus sulla fertilità in questa esortazione all’aumento demografico, non trovo corretta la sottile (forse non troppo sottile) condanna che passa per chi sceglie di rimandare l’avere un figlio ad età che non siano proprio quelle della fertilità più florida e quella, va da sé, di chi non vuole averlo (dato che una cartolina promozionale del Fertily Day recita: “La fertilità è un bene comune”).

Se le persone non possono procreare perché il mondo esterno in qualche modo di fatto lo impedisce, e questo crea del malessere, allora adoperiamoci per affrontare al meglio la situazione migliorandola; se, parallelamente, ad una bassa natalità contribuisce il fatto che le persone non sono interessate a fare (tanti) figli allora mettiamoci anche un po’ il cuore in pace e accettiamolo.

Sulla “fertilità bene comune” mi viene da fare un piccolo appunto. Bisogna prestare molta attenzione ad affermare una cosa del genere, tra i tanti possibili motivi anche solo per il fatto che in una società come la nostra quella fertilità bene comune poi si trasforma in “figlio responsabilità di chi l’ha messo al mondo”, non della collettività. Viste le responsabilità materiali e fisiche (queste ultime di più nel caso della donna dato che è lei a vivere il lungo periodo della gravidanza) dire che sia bene comune una cosa come la fertilità, che ha ricadute forti sulla vita delle persone, è eccessivo. Esisteranno delle possibili interpretazioni diverse della frase, che al momento non sto immaginando, ma essa si riferisce ad un tema così delicato che non può che prevalere l’interpretazione dell’abuso.

Al netto di ciò che è emerso, questa non sembra essere una campagna informativa tra le tante riguardo temi di salute ma esortativa riguardo la procreazione. Volendo trattare il tema del calo demografico, che pare sia stato il motore della questione, credo non sia qui (sulla fertilità) che si debba andare a parare e soprattutto non in questo modo.

2 thoughts on “Superficialità “bene comune”

  1. e si sbaglia carissima. sa quante donne di 35 anni sento dire “si vabbè ma tanto ho ancora tempo almeno una decina di anni”? o quante dicono “tanto oggi con le migliori tecniche un figlio lo puoi fare quando vuoi tu”. e ovviamente citano come esempio la Nannini e la Russo. Senza nemmeno chiedersi se, oltre che per la donna, sia un bene per un bambino nascere da genitori cosi in là con l’età.
    ma del resto viviamo in una società in cui invecchiare è il peggior peccato, in cui a 40 anni sei ancora definito “ragazzo”, in cui proprio oggi ho sentito definire una di 41 anni “mamma giovane”… quando invece non è cosi, e non è offensivo dirlo.

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