di Mariagrazia Sinibaldi

Mariagrazia alle prese con la convalescenza e i suoi preziosi ricordi (foto di Francesco Cianciotta)
Ba… 18 anni!… Sì, proprio… Erano così da venire i 21! 21, l’anno della maggior età, l’anno del voto, l’inizio della consapevolezza, l’inizio delle responsabilità individuali! E mi era così semplice e leggero vivere l’adolescenza… o meglio quel periodo magico a cavallo tra l’adolescenza e la gioventù.
Noi ragazze, all’epoca, indossavamo la “guêpière” con i lacci, strette schiattate in vita… e la sottogonna immensa orlata di pizzo Sangallo… Mamma dagli Stati Uniti me ne aveva portata una che… beh!… ero sola ad averla! E tra i ricordi di allora ce ne è uno che è tutto mio… di nessun altro, solo mio, perché è fatto di quella cosa impalpabile e inafferrabile che è il suono di una voce. Quando indossavo un vestito che non mi convinceva e mi guardavo perplessa allo specchio, sento ancora la voce di papà che con la sua meravigliosa sottilissima ironia diceva: facci un cigno… mettici un falpalà.
E come sempre mi assalgono i ricordi… strana cosa, i ricordi; belli o brutti che siano, hanno una loro strana forza, una loro terribile volontà, vivono di vita propria, e se, avvicinandosi, mi afferrano in qualche modo, diventano i miei padroni. Sono loro che mi trascinano via. Io non posso che seguirli…
…E …ECCOLO il vestito dei miei 18 anni: a righe verticali (le righe verticali sfinano) e serti di roselline rosa. Ben scollato dietro, forse un po’ osé ,un po’ meno sul davanti. «Mariagrazia – diceva nonna Emma – e la modestia? Ecco la bella foto: figurarsi! Sono seduta su un pagliaio… era una delle merende estive con tutti gli amici, in campagna, sull’aia di qualche contadino.
…E ricordo: sì, ricordo le nostre lunghe vacanze estive tra Osimo e Portorecanati, tra fine giugno e metà ottobre… no, no, più in là: le scuole, ricominciavano il 15 ottobre…. ma poi, si sa, la prima settimana non si combina niente… poi si sa, tra una settimana è la festa di tutti i Santi… e poi, si sa, il 2 novembre è la ricorrenza dei morti… la messa nella cappella del cimitero a cui partecipano tutti i Sinibaldi… ma tutti, proprio tutti: zii e cugini e come il solito figli di cugini e zii alla lontana e cugini ancora più alla lontana… con il cognome… e Nonna Anna, la decana, bellissima con il suo cércine di trecce intorno alla testa, sempre straordinariamente allegra, cresciuta dai 7 ai 18 anni in un convento di clausura, senza uscirne mai (così si usava ai suoi tempi).
Riti, sempre riti, diversi, ma pur sempre riti e ricorrenze. e a metà settembre la festa del Santo patrono coi botti e la fiera… e poi, a ottobre, la vendemmia e i biròcci tirati dai buoi che portavano nelle cantine dei bei palazzi l’uva da vino raccolta all’alba… e i biscotti col mosto e i sughetti, specie di polentina dolce fatta col mosto e le noci… specialità del luogo…
Ma prima, a Portorecanati, il grande temporale di Ferragosto e mamma che esclamava felice: è finita l’estate! Si prospettava il rientro a Osimo. E nei mesi di luglio e agosto, a Portorecanati le grandi “soirées” con orchestrina dal vivo che si svolgevano nel cortile del castello medievale … noi tutte vestite come “gatte infettucciate”… e le madri (a ripensarci, poverette!) sedute intrampolate su scomodissime sedie pieghevoli, stavano lì, a bordo pista, chiacchierando tra loro e intanto, con la coda dell’occhio vigilavano le figlie. Beate le madri di figli maschi ai quali affidare le figlie femmine!
In quell’anno 1952 (oppure ’53?) – in agosto – ci fu l’avvenimento di cui non ricordo che le poche raffazzonate cose che riporto: una nave militare italiana con al seguito… che so io… dei cacciatorpediniere (?), ancorate tutte nel porto di Ancona, offrivano un cocktail (rigorosamente ore 18-20) e NOI eravamo state invitate. Questo era in realtà l’AVVENIMENTO: noi eravamo state invitate! Figurarsi l’eccitazione, il corri-corri, il frou-frou, alla ricerca di altre fanciulle di buona famiglia che venissero con noi per fare gruppo e convincere le madri… ma la signora, madre di due belle figliole, candidate alla bisogna, ci rispose come il solito: «Eee… vorrà diiire… cheee… Biiiibi e Liiiilli… non verranno». E quel «non verranno» era sempre pronunciato con molta rapidità e altrettanta fermezza.
Esistevano, però, talvolta, amici maschi, giovani ma assolutamente sicuri, ai quali affidare, per una serata speciale LE figlie femmine… e giammai LA figlia femmina! E nella fattispecie le caratteristiche c’erano: la serata speciale c’era; mia cugina Kitta e io eravamo due e facevamo quasi gruppo, e Mamma cedette. Ci mandò… non venne: segno che proprio non ne poteva più!
Ma l’interrogatorio fu lungo e circostanziato: dove, perché, da che ora a che ora e soprattutto con chi e come. Con chi? Guido e Gianki… Come?In treno! Ore 15,30 da Portorecanati, ore 16 Osimo e raccogliamo Guido e Gianki, ore 16,30 Ancona… e dalle 16,30 alle 18…? L’amica Anna, che abita quasi di fronte alla stazione, ci avrebbe offerto ospitalità e un’aranciata fresca per farci riprendere fiato e non solo a noi ma anche a qualche altro disperato nelle nostre identiche condizioni… insomma un gruppetto… poi tutti insieme… a piedi… su tacchi altissimi… nel caldo estivo… al porto… all’agognata nave!
«E il rientro ?» chiese Mamma.
E noi: «22 da Ancona».
«Dalle 20 alle 22?», insistette Mamma.
«L’amica Cecilia (fornita di fratello) ha detto che al porto c’è un ristorantino…».
Kitta e io eravamo un po’ tremebonde; e Mamma ancora: «Tutti insieme?».
«Sì, tutti insieme».
Mamma sorrise… era fatta! Eh sì, la mia era una mamma moderna! Ma poi, tornando al suo ruolo di madre, fece la sua ultima raccomandazione: ma non perdete il treno delle 22! Comunque, aggiunse condiscendente ce n’è un altro alle 23… ma è l’ultimo.
E partimmo, Kitta e io, con bellissimi abiti da cocktail (ogni ora il suo vestito… ogni occasione la sua “mise”) tutte piene di fiocchetti e pizzi, tutte pettinate e trucchettate a dovere…
Alla stazione di Osimo raccogliemmo i nostri due amici sicuri.
Poverini! devo dire… perché se noi eravamo strette dentro la guêpière e calzavamo scarpe… no, no, no, calzavamo trampoli; loro, in fatto di torture non erano da meno: l’occasione imponeva l’abito scuro, camicia bianca e cravatta. E siccome nel guardaroba di qualunque giovane dell’epoca imperava un solo vestito scuro, quello invernale, i due stavano davanti a noi, sul treno locale, seduti sui sedili di legno, impiccati dentro camicie bianche con cravatta, irrimediabilmente serrati negli abiti scuri di lana… alle 4 del pomeriggio (che poi erano le tre per via dell’ora legale) in pieno agosto!
È inutile perdersi in ulteriori particolari: la festa sulla nave fu una festa di sogno in ambiente d’incanto, e noi due cugine facemmo la nostra bella figura. Ma durante la cena qualcuno ventilò l’idea di partecipare a un ulteriore ricevimento, sempre sulla nave, con danze… – facciamo a tempo? – ma sì… diamo un’occhiata e via…
Solo, naturalmente l’occhiatina si protrasse un bel po’… L’atmosfera, lì sulla nave, era da film (anni ’50)… e ufficiali e cadetti a più non posso in candide divise estive… e tutti si alternavano per farci ballare… e in mezzo a tutte queste meraviglie, Kitta e io dimenticammo i nostri cari amici sicuri, impiccati in camicia bianca, cravatta e abito scuro invernale… e svolazzammo felici e incoscienti da un cadetto e l’altro. Poi guardammo l’orologio…
Era l’una!… e il treno, l’ultimo? Partito… e il prossimo? Alle 5,30… Il cuore ci cadde dentro ai trampoli e credo che i nostri visi mostrassero senza ombra di dubbio la nostra costernazione. Ma c’è sempre una “santa pupa” per ogni circostanza e la nostra si materializzò nell’unico ragazzo così ricco ma sopratutto così “all’avanguardia” da possedere un’auto tutta sua. Galantemente ci offrì un passaggio fino a Portorecanati.
Eravamo davanti al cancello di casa alle 4 e mezzo: era l’alba. Aprimmo la porta piano, piano, piano e cominciammo a salire le scale con le scarpe in mano per non fare rumore. Ma la voce squillante di mamma: «bambiiiine»… entrammo in camera di mamma: sorrideva felice e: «raccontate!» ci disse.
Mai, mai e poi mai, mamma ci avrebbe rovinato il ricordo di una meravigliosa serata con qualche stupido, inutile se non controproducente rimprovero.
Così erano le madri di casa nostra!
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La vita è ricca di cose belle e brutte, ma ricordi come questi sono preziosi e solo il fatto di conservarli in un angolo della mente da dove, così vividi, poterli scongelare nel momento in cui si ha bisogno di un sogno da accarezzare, della compagnia di un pensiero lieve come il fruscìo di una gonna ad un ballo, la rendono speciale. E Mariagrazia con i suoi ricordi così ben raccontati ce lo rammenta sempre.
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Con i racconti di Mariagrazia abbiamo imparato a calarci beati nella sua memoria, intrisa di sapori e luci della sua adolescenza e sprofondiamo volentieri nel suo mondo fatto di affetti ed aneddoti preziosi. E’ bellissimo come Mariagrazia giochi con i ricordi e i suoi pensieri, rare schegge di una vita ormai lontana, riportata ad una luce chiara e vivace.
La sua è una prosa fatta di immagini veloci, che scorrono saltellanti come frutto di un rapido sovrappensiero, quasi onirico, che comunque sa sempre ricomporsi in analisi lucide ed in un benevolo senso pratico.
L’autrice ama definirsi “La Signora Vecchiottina” ma di certo sa attraversare la vita con il cuore di una diciottenne, senza mai concedere nulla alla nostalgia brontolona dei …ai miei tempi. Al contrario sfoggia l’allegria arguta di chi giustamente si attende “un grande futuro”. Maria Paola Ciancarelli
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