In ricordo di Teresa Mattei, che ha salvato la vita a mio padre e consentito a me di esistere

di Antonio Del Lungo

Teresa Mattei (1921-2013)

Teresa Mattei (1921-2013)

Teresa Mattei salvò la vita a mio padre Silvano, classe 1922, e conseguentemente ha permesso al sottoscritto di esistere. Nella foto grande è tra mio padre ed Ettore Bernabei in uniforme. Voglio ricordarne la storia…

Due anni fa se ne è andata Teresa Mattei. Filosofa, partigiana, deputata della Costituente, viene tra l’altro ricordata per aver scelto la mimosa come simbolo della festa della donna e per il coinvolgimento personale nella controversa uccisione del filosofo Giovanni Gentile. Voglio oggi raccontare un aneddoto privato che mi coinvolge personalmente: Teresa salvò il destino e la vita di mio padre nel 1944 permettendo, indirettamente, al sottoscritto di esistere.

Mio padre, un anno più giovane di Teresa, studiava Lingue all’Università di Firenze, lo stesso ateneo dove la Mattei si laureò in Filosofia. All’epoca gli studenti dell’ateneo fiorentino erano pochi e si conoscevano quasi tutti. Era molto in voga la goliardia con i suoi scherzi, i suoi riti e le sue feste e questo favoriva la conoscenza tra gli studenti delle diverse facoltà. Mio padre si ricorda ancora benissimo di tanti studenti e studentesse dell’ateneo fiorentino, compresi alcuni che avrebbero poi conseguito brillanti carriere: Margherita Hack è una di questi. Tuttavia l’occasione per conoscere Teresa fu casuale e non legata direttamente al mondo universitario. Infatti due dei più cari amici del mio babbo erano commilitoni a Modena di Valdo Zilli, allora fidanzato della Mattei e quella fu l’occasione che permise la conoscenza e l’amicizia. Per inciso uno dei due amici, insieme all’ex compagno di Teresa, saranno poi inviati in Russia nell’Armir e subiranno la disfatta del Don.

Teresa Mattei in una foto dell'archivio privato della famiglia Del Lungo

Teresa Mattei in una foto dell’archivio privato della famiglia Del Lungo

Il carissimo amico del babbo non farà mai più ritorno, mentre Valdo Zilli rientrerà solo dopo anni di prigionia per darsi poi a una brillante carriera accademica internazionale come storico della Russia. L’altro amico era invece un certo Ettore Bernabei, un vicino di casa e compagno di studi che diventerà famoso per il ruolo che eserciterà un giorno come direttore generale della Rai.

Illustrazione da http://www.anpi.it/

Illustrazione da http://www.anpi.it/

Nel 1943, mentre mio padre frequentava il corso ufficiali, come tutti gli studenti universitari chiamati alle armi, incappò in una disavventura: fu intercettata dalla censura una sua lettera, inviata a un’amica tedesca, nella quale non faceva mistero della sua contrarietà alla guerra. Il mio babbo è sempre stato una persona ostile al fascismo e soprattutto completamente estraneo alla violenza in ogni sua forma.

La scoperta della lettera provocò l’immediata espulsione dal corso ufficiali, la degradazione e l’invio come soldato semplice sul fronte jugoslavo. Dopo alcuni mesi di fronte, il 7 settembre 1943 il babbo divenne maggiorenne; giusto il tempo per festeggiare, che il giorno dopo fu ufficializzato l’armistizio. Una serie di eventi fortuiti, di scelte oculate e colpi di fortuna gli permise di fare rientro indenne a Firenze in qualche settimana, evitando i rastrellamenti tedeschi e le rappresaglie della resistenza jugoslava.

Antonio Del Lungo, musicoterapeuta, ha postato questa sua testimonianza sulla pagina Fb di Donne della Realtà

Antonio Del Lungo, musicoterapeuta, ha postato questa sua testimonianza sulla pagina Fb di Donne della Realtà: lo ringraziamo. L’articolo è stato pubblicato anche da http://www.reset.it/

Il babbo trascorse l’inverno seguente nascosto in casa, guardandosi bene dal riarruolarsi per la Rsi, tuttavia, quando fu promulgata la pena di morte per i renitenti alla leva, mio nonno, che lavorava come impiegato alle ferrovie, riuscì a far assumere il mio babbo presso il deposito locomotive di Firenze come interprete. Si stava infatti laureando in tedesco e parlava bene quella lingua. Sembrava tutto risolto: aveva evitato l’obbligo di arruolarsi rimanendo a casa e svolgendo un lavoro di ufficio. Ma immediatamente il suo impiego fu interpretato dalla Resistenza come una forma di collaborazionismo con l’invasore tedesco. Senza mezzi termini, e senza giri di parole, alcuni operai del deposito locomotive, infiltrati della Resistenza, gli fecero capire che era un uomo morto.

Cosa fare? Come uscire da un simile vicolo cieco?

Ogni settimana a Firenze venivano assassinate persone incolpate di collaborazionismo. Ecco allora che pensò di chiedere consiglio a Teresa Mattei, con la quale era rimasto sempre in contatto, anche se lei si era data alla clandestinità come partigiana “Chicchi”. Le telefonò una sera mentre era nascosta in un covo organizzato in un villino di piazza D’Azeglio e le spiegò la situazione. Teresa lo tranquillizzò, gli disse che era ben conscia del suo genuino antifascismo, che avrebbe informato la Resistenza, ma chiese anche una contropartita: essere interprete al deposito locomotive significava essere una miniera di informazioni per la Resistenza e quindi lo invitò a rimanere al suo posto ed eseguire quanto richiesto dalla sua cellula partigiana.

Era marzo del 1944 e il 7 febbraio il fratello di Teresa, docente di chimica al Politecnico di Milano, si era ucciso a Roma. Da un po’ di tempo confezionava infatti esplosivi per i Gap e aveva realizzato con un compagno una vera santabarbara a Roma. Sorpreso a seguito di una delazione, riuscì ad impiccarsi tra una seduta di tortura e l’altra per non rischiare di tradire qualche compagno.

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«Quando si è saputo della sua scomparsa, il 12 marzo 2013, la stampa ha rievocato quasi solo la sua invenzione della mimosa come simbolo per la festa delle donne…In realtà fu una donna determinata, sempre in conflitto con le istituzioni, forse anche con se stessa». Da: http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/teresa-mattei/

Mio padre iniziò quindi una pericolosa attività di infiltrato e notò già, dalla mattina seguente, ampi sorrisi da parte di quei partigiani che lo avevano minacciato. Fino alla ritirata dei tedeschi nell’agosto del 1944, fu uno zelante ed apprezzato interprete per il genio ferrovieri della Wermacht, e contemporaneamente un collaboratore della Resistenza. Portava al deposito documenti, volantini, trasferiva ordini, talvolta trasportava armi per i partigiani. I tedeschi mai sospettarono niente e si fidarono di lui. A fine luglio 1944 i reparti germanici si preparavano a lasciare Firenze e organizzarono un rastrellamento di operai e tecnici ferroviari fiorentini per trasferirli al deposito di Verona. Insieme alla Mattei fu deciso di sabotare l’azione e ideato uno stratagemma. Dovendo il babbo preparare la lista delle persone da prelevare al domicilio per il trasferimento, organizzò una lista di operai e tecnici che avevano avuta la casa distrutta dai bombardamenti. Quando all’alba la camionetta tedesca si mise in giro per prenderli, non trovò alcun domicilio utile. Imprudentemente l’Unità, che usciva clandestinamente, descrisse l’operazione lodando le gesta di questo anonimo interprete, mentre i tedeschi erano ancora a Firenze e mio padre al suo posto; per fortuna nessuno in quel momento lesse e dette peso all’articolo che incastrava senza via d’uscita il babbo.

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Teresa Mattei, la “partigiana Chicchi”

Il 1944 si concluse per Teresa con un evento positivo, la laurea in filosofia, e un altro lutto, la morte del padre, allora direttore generale dell’impresa elettrica Selt Valdarno.

Più tardi Teresa si prodigò per far assegnare al mio babbo il brevetto di partigiano ed encomi, ma lui li ha ha sempre rifiutati, ammettendo con sincerità di aver fatto tutto quello che aveva fatto per mera necessità di salvare la pelle e non per eroismo. Sono rimasti in contatto fino alla fine, sentendosi periodicamente al telefono, visto che la distanza e i vari acciacchi, rendevano difficile incontrarsi.

Non ho conosciuto Teresa, ho solo sentito qualche volta il babbo mentre le parlava al telefono, ma una cosa è certa: salvò la vita e l’onore di mio padre e ha quindi permesso l’esistenza mia e di mia sorella. Per questo le sono molto affezionato e sento il bisogno di rendere pubblico questo aneddoto della sua (e della nostra) vita.

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