di Massimo Recalcati*

Il post è illustrato con le copertine di tre diverse edizioni della raccolta “Vuoto d’amore” di Alda Merini
L’anoressia è una sorta di patema d’amore e quindi, se c’è un masochismo femminile nell’anoressia, potremmo pensare a questo masochismo femminile come a una scrittura radicale del discorso amoroso, un patema d’amore, insomma.
L’intervento di Macola mi ha evocato un episodio legato a una conduzione della cura con una paziente anoressico-bulimica molto grave di circa 30 anni che aveva, da diversi anni ormai, un rapporto col cibo da tossicodipendente. C’è un momento dei preliminari di questa cura che mi sembra rilevante: accade per una circostanza particolare che io arrivi in studio con circa 2 ore di ritardo e non trovo la paziente; al posto della paziente però trovo un biglietto dove lei mi scrive che ha percepito la mia mancanza in un modo diverso rispetto alla mancanza del cibo, cioè non l’ha percepita allo stomaco. Quindi un incontro mancato ha aperto un vuoto, ma l’ha aperto non nello stomaco, non nel corpo anatomico, ma nel desiderio. È un vuoto che potremmo chiamare un “vuoto d’amore” e che ha permesso a questa paziente intanto di non ricorrere all’abbuffata bulimica e poi di portare una metafora: l’analista in quanto oggetto è mancato tanto quanto prima mancava il cibo, dunque un significante ha preso il posto di un altro significante e ha reso possibile una costruzione metaforica.
Il problema della cura analitica con questi pazienti è proprio quello di rendere possibile la costruzione di una metafora, laddove l’identificazione con l’anoressia (chi vede questi pazienti sentirà un discorso monotono: “io sono anoressico”) è così massiccia da rendere impossibile l’articolazione di un elemento metaforico. Sull’”io sono anoressica” il discorso si chiude, non si articola; è necessario introdurre una metafora. La metafora è una metafora d’amore, in fondo, perché l’illusione dell’anoressia credo sia quella di anatomizzare il vuoto, di costruire una specie di topologia ingenua perché il vuoto che accompagna l’essere umano non è nello stomaco, è un vuoto più radicale, che Lacan ha chiamato “mancanza a essere”, quindi un vuoto che accompagna l’esistenza umana come tale.
Farò due osservazioni molto rapide. La prima riguarda un concetto molto noto in psicoanalisi, quello del Super-io, e la seconda sarà una ripresa di questo tema dell’amore.
Intanto una puntualizzazione sul masochismo: quando Freud inventa la psicoanalisi compie due passaggi fondamentali; il primo passaggio, che è il passaggio fondativo della psicoanalisi, è quello di affermare che il soggetto in quanto umano è diviso, e dunque è l’esistenza dell’inconscio: lo psichico, dice Freud, non esaurisce la coscienza.
È la prima grande rottura con la tradizione psicologica e filosofica occidentale.
C’è però una seconda rottura che mi sembra fondamentale per comprendere il campo della clinica della psicoanalisi. E cioè: non solo il soggetto è diviso, è barrato, come dice Lacan, ma, dice Freud, il soggetto è costitutivamente contro se stesso e chiama “masochismo” questo essere contro se stesso del soggetto. Freud attribuisce al masochismo un carattere primordiale, originario; quindi non è un accidente che il soggetto vada contro se stesso, ma è costitutivo dell’essere umano essere abitati da quella che Freud chiamerà “pulsione di morte”, una spinta autodistruttiva che porta il soggetto a essere contro se stesso. Questo è il passo più inaudito che Freud compie e l’osservazione può essere riportata alla quotidianità: si può notare come per lo più gli esseri umani fanno di tutto per stare lontani dal proprio bene e procurarsi la sofferenza. Ciò che c’è di più caro nell’essere umano, e che potremmo chiamare “il desiderio”, non sempre ottiene il consenso del soggetto; questa negazione del desiderio è ciò che Freud chiama “masochismo”.
(…)
Passo al secondo aspetto che volevo trattare: il masochismo femminile dell’anoressia è un masochismo fondamentalmente legato all’amore. Riprendo una frase molto nota di Lacan che definisce l’amore come “dare all’altro quello che non si ha”: questo vuol dire che il discorso amoroso non è del registro dell’avere, amare non vuol dire dare a qualcuno qualcosa che si ha, dunque non è nel registro dello scambio, non è un dare cose. L’amore non è un oggetto, non è una cosa. Piuttosto, al contrario, l’amore è un non-oggetto, una non-cosa.
E ancora: nell’amore non c’è reciprocità. È la frana dell’illusione romantica della reciprocità: per Lacan, se l’amore è dare a un altro quello che non si ha, è rotta ogni reciprocità possibile nel discorso amoroso.
(…)
Potremmo dire che la domanda d’amore non è mai una domanda di qualcosa, ma è una domanda di segni, cioè una domanda che l’altro mostri dei segni che io gli manco.
Amare qualcuno significa cercare nell’altro i segni della nostra mancanza, quindi aprire un buco nell’altro. E allora l’anoressica che rifiuta il cibo cerca di smuovere l’altro, un altro che ha interpretato la domanda d’amore nei termini di una semplice domanda di cose e ha risposto alla domanda d’amore rimpinzando il soggetto di pappa.

“Vuoto d’amore”: lo psicoanalista e la poetessa usano le stesse parole. Di qui la scelta di questa e delle altre immagini del post
* Questo è un estratto dell’intervento tenuto a un convegno dallo psicoanalista Massimo Recalcati nel lontano 1995 e che una mia amica mi ha spedito, due anni dopo, accompagnandolo con delle sue osservazioni scritte con calligrafia sottile. Perché pubblicarlo ora? Perché, osservando i contatti e le visite al blog, ho notato che il tema dell’anoressia interessa molto chi ci si segue. E poi (soprattutto) perché ritrovare la busta e i fogli spediti dalla mia amica a un vecchio indirizzo mi ha riportato un “tassello” mai archiviato del passato, dandomi la conferma che per me è quasi impossibile separarmi dalla montagna di carta che ho accumulato vivendo. Sul dissidio conservare-buttare ho avuto uno scambio via mail con Elisabetta Baccarin e suo sarà, su questo tema, il post a seguire.
P.S. Ho mandato un sms alla mia amica per avvertirla dell’intenzione di pubblicare in parte la trascrizione dell’intervento di Recalcati e lei mi ha risposto così: «Fai pure. Però non mettere il mio nome, perché Recalcati non mi piace più».
Di qui le omissioni contenute in questa nota a margine.
(p.c.)