di Mariagrazia Sinibaldi*
Ci sono parole, a volte, che, a ben considerare, ci si presentano solo come suono, prive di significato concreto. Queste parole si insinuano nella nostra mente e finiscono col far parte del nostro patrimonio di vaghe conoscenze-non conoscenze.
Finché un giorno, per caso, prendono significato e corpo e, improvvisamente, si collegano a cose… a persone… a storie.
Quante volte sono passata per piazza Boccolino, la piazza più importante di Osimo, chiedendomi, sia pure vagamente, cosa fosse questa parola “Boccolino”? quante volte ho percorso il vicolo Malagrampa, sotto casa mia, sentendo solo la stranezza del suono?
Infinite volte… infinite… ma, per la fretta, l’indifferenza, o che altro, la risposta non l’ho cercata mai con impegno. Parole bizzarre. Strani nomi. Ma del resto non si chiamava Stamira l’eroina di Ancona? E la strada che circonda Osimo, seguendo le mura preromane, non lo chiamano spinellu?

Foto d’epoca di Osimo da http://www.studioarchitettura.it
Gli osimani (e forse non solo loro… ma degli altri io non so), sono famosi, nell’affibbiare a cose e persone soprannomi stravaganti e divertenti: un orrido palazzo anni ’50, con le serrande color celeste madonna, incastrato tra vecchie costruzioni in mattone cotto, come del resto tutto il paese, è detto il palazzu aztecu, mentre la funicolare che collega il centro con la base della collina è stata soprannominata tiramisù… il negozio di casalinghi, a metà corso, era noto (era, perché adesso non c’è più) come varighina… il bar sul vicolo, invece, come ‘l pisciò…
E ancora: a noi che nel “borgo” andavamo cercando la nostra insostituibile e affezionatissima e amatissima colf, di nome Maria, brutta come il peccato, poverina, con le due mezze file di denti a incastro, di prammatica, ci fu detto: «Ah… Marrea… scì… scì… ma no’ je dimu Dracula». E come si vede, talvolta i soprannomi possono essere anche malvagi.
E ancora (e da qui comincia il mio raccontino): in mezzo all’aiola di un rondò, lì a Osimo, ho visto ben piazzata un’antica bombarda; proprio così: una bombarda! Ne ho chiesto spiegazione a mia cugina che vive in Osimo e che, secondo me, sa tutto, e mi sono sentita rispondere: «Ah… non lo sai? Quello è el cannò de figo… l’originale si trova a Torino, al museo dell’artiglieria. Lo chiamano anche misbaba… non so perché. È collegato con la storia della battaglia del porco». Ma di più non mi ha saputo dire. Dunque anche lei ha il suo bagaglio di conoscenze-non conoscenze, ho detto tra me e me. Mi sono precipitata su Wikipedia e infine mi si sono aperti i cancelli della conoscenza.
Dunque la storia (storia vera e non leggenda) si svolge alla fine del ‘400. Sembra che le secolari ostilità tra Ancona e Osimo siano originate dal banalissimo fatto che un maiale anconetano, pascolando e grufolando solo soletto, abbia sconfinato in territorio osimano; che gli osimani se ne siano appropriati rifiutandosi di restituirlo ai legittimi proprietari (e forse non era la prima volta che accadeva una cosa del genere).
A questo punto gli anconetani, «per le razzie dei maiali, e per tutto quell’insieme di rancori che erano da quel fatto fermentati e da ogni più piccola circostanza inaspriti», sotto la guida di Astorgio Scottivoli, loro capitano di ventura, raggranellarono, tra Camerino e Ascoli, 4.000 uomini e mossero guerra agli osimani, devastando le tenute di proprietà di Boccolino da Guzzone detto il Malagrampa, osimano, anche lui capitano di ventura.
Allora «il popolo di Osimo si commosse a romore e unitesi insieme 800 persone di animo intrepido elessero Boccolino per lor capitano. Volò allora l’imperterrito condottiere nel dì 27 giugno 1476… e dopo un vibrante discorso di incoraggiamento ai suoi, invocando Dio e S. Leone, diede addosso colle sue schiere alla soldatesca di Ancona, e menando i nostri a tutta forza le mani ne fecero strage tale che rimasero padroni del campo».
Insomma il risultato fu questo:
– Anconetani: 200 morti e altrettanti prigionieri in mano avversaria;
– Osimani: 30 morti e nessun prigioniero in mano nemica.
Assiso intanto il valoroso Duce su nobil destriere entrò in Osimo colle vittoriose sue genti carico di spoglie nemiche e sventolando da trionfante lo stendardo primario della vinta città.
L’episodio ebbe grande risonanza e anche l’onore di un poemetto in latino ad opera del “nostro” concittadino Antonio Onofri, che fu testimone oculare del fattaccio.
Più tardi, molto più tardi, nel 1924, lo studioso poeta Benedetto Barbalarga, osimano, si prese la briga di scrivere un altro poemetto, questa volta in vernacolo osimano. Il poemetto termina così:
E Bucculì pe’ fajela comprenne
a quei d’Ancona, quanno viè l’ora
de saldà li conti, cosa te pretenne ?
‘vulete indietro i prigionieri? Allora
famo accuscì: che ogni omo se sbaratta
da un porcu uguale. E semo pari patta.
Alla fine della mia accurata ricerca ho avuto chiaro chi fosse Boccolino della piazza omonima e Malagrampa del vicolo sotto casa mia.
Ma… e il cannò de figo… che c’entra? Forse, dico io, Boccolino se ne sarà servito nella famosa “battaglia del porco”.
….ma questa è una deduzione mia.
*Mariagrazia specifica che, per scrivere questo suo post, è andata a rileggere la “Storia di Osimo” di don Carlo Grillantini, soprannominato «il miglior prete da corsa di Osimo» perché durante le processioni andava avanti e indietro per tenere unita la folla in preghiera.
(Chiediamo scusa per eventuali errori ortografici nelle parole in dialetto. Nel caso, le correzioni saranno le benevenute)
Questo commento di Angela Giannitrapani è arrivato via mail. Lo trasferisco qui con il suo consenso: «Che gusto quel post di Mariagrazia su Osimo! L’ho apprezzato molto anch’io che avevo vent’anni la prima volta che sono approdata a quel borgo cui sono ancora nostalgicamente legata. E poi è uno spaccato dell’atmosfera di quegli anni.
Un abbraccio ad entrambe,
Angela»
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Sono un 78enne osimano trapiantato nel milanese. Andatomene da Osimo mi son portato via “la battaja del porcu” edizione 1923 e la storia di Osimo di Mons. Grillantini , che ogni tanto rileggo con nostalgia
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Benvenuto!
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