Zita e «il richiamo per scegliere il cibo giusto»

di Angela Giannitrapani*

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“La lattaia” (particolare), «dipinto a olio su tela di Jan Vermeer, databile al 1658-1660 circa e conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam.» (da Wikipedia)

Da quanto tempo non andava più al cinema o leggeva un libro? Se lo chiese mentre si preparava il suo primo pranzo da vedova, ma il profumo di mare che esalava dal pesce le restituì il senso del suo corpo e con esso anche lo spirito. Aveva salato a dovere, aveva aggiunto un ciuffo di prezzemolo e una fetta di limone all’acqua, avrebbe anche potuto aggiungere uno spicchio di aglio per dare a quel severo pesciolino un po’ di vivacità, perché Zita non era certo vecchietta da minestrine e pappine pallide. Sentiva che il sangue le scorreva nelle vene con certi cibi ed era fermamente convinta che chiunque avesse bisogno di tutto ciò che il Padreterno aveva messo a disposizione degli uomini per coltivare e raccogliere, nulla escluso. L’alternanza dei colori a tavola, dei profumi delle stagioni, delle forme della terra, dei sapori che l’abilità e la fantasia di una cuoca sapeva miscelare erano un comando preciso del suo corpo e di tutti i corpi che solitamente vengono affidati a una donna. Certo, molti di loro non lo sanno e dunque vanno istruiti, educati e allenati ad ascoltare il richiamo per scegliere il cibo giusto. Aveva fatto così per i suoi bambini, inondandoli degli aromi della sua cucina, delle sue carni pasticciate, dei pesci variopinti, dei fritti dorati, delle verdure nascoste, delle uova mascherate e dei frutti in pezzi audacemente maritati e talvolta benedetti, perché no, con uno spruzzo di vinsanto. Aveva anche abbreviato le canoniche fasi dello svezzamento, con sua grande soddisfazione e con quella dei suoi figli. Solo con il marito non era riuscita ad ampliare il repertorio, metodico e abitudinario com’era. Man mano, però, negli anni aveva ritoccato qua e là le sue pietanze aggiungendo, sempre aggiungendo, mai togliendo e aveva finito per dare personalità e, a suo giudizio, gusto a quei piatti monotoni e incolori che solo una donna distratta e infelice può somministrare a un uomo.

E lei era felice? Era stata felice? Si sorprese a scoprire che aveva continuato a cucinare colorato anche nei momenti di infelicità. Anzi, l’infelicità le intimava di non distrarsi da una sana e appassionata sopravvivenza e così aveva imparato che, prima o poi, quella avrebbe ceduto il passo alla serenità, e nel frattempo lei non aveva patito o fatto patire le punizioni del palato.

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Dovette ammettere che anche senza aglio il pesce era proprio gustoso: tutto merito del mare. Quel suo mare che la divideva dal resto del mondo, ma che l’aveva fatta crescere sana e con i polmoni sempre aperti, pronti a respirare. Era stato un mare generoso, non poteva negarlo e a questo punto della sua vita gli era grata. Lo guardava ancora innamorata e gli si avvicinava spesso, anche se con maggior discrezione che nei suoi anni giovani, come conviene che faccia una donna matura verso un cavaliere galante.

* Dal racconto (con finale a sorpresa) “Zita” di Angela Giannitrapani, contenuto nella raccolta “Il colore delle donne”, «dieci storie di donne, dell’universo femminile e delle sue molteplici sfumature». Il libro «è frutto della prima edizione dell’omonimo concorso letterario indetto da Ananke lab in occasione del Salone internazionale del libro 2014». 

AGGIORNAMENTO DEL 15 MAGGIO 2015

Il libro verrà presentato domani sabato 16 maggio al Salone internazionale del libro di Torino alle ore 15, padiglione 1 C29.

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