Sull’isola greca con il libro che mi dice: “Il mondo cambia un cuore alla volta”

di Maria Elena Sini

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Maria Elena Sini durante la vacanza in Grecia di cui racconta, intensamente, in questo post

È stato un inverno lungo, cupo e doloroso per cui quando un amico che trascorreva l’estate nelle Cicladi mi ha invitato a passare una settimana a Paros ho accettato con gioia. Mi attirava l’idea di rilassarmi in un’ isola illuminata dalla luce degli Dei, circondata da mare pulito dove buon cibo, tradizioni, storia e archeologia si aggiungono alla per nulla scontata possibilità di trascorrere intere giornate in spiagge poco affollate anche in alta stagione.

Prima di partire, come faccio spesso prima di un viaggio, sono passata in libreria per comprare un libro che accompagnasse la mia avventura. Nel banco delle novità mi ha subito colpito La prima verità di Simona Vinci, edizioni Einaudi, e d’istinto l’ho acquistato perché, come ho letto nel risvolto della copertina, la storia che racconta è ambientata a Leros, un’isola del Dodecaneso. Durante il viaggio, tra un aereo e l’altro, ho iniziato la lettura e ho scoperto che la storia trattata era ispirata ad una vicenda realmente accaduta: quell’isola in passato era stata trasformata in un grande manicomio nel quale rinchiudere persone affette dalle più diverse patologie, schizofrenia, paranoia, persone che la famiglia non voleva o non poteva più accudire, persone violente definite “ingovernabili” che però in quella realtà non venivano realmente curate ma essenzialmente venivano recluse, allontanate dalla civiltà. Qualche anno fa, con grande scandalo, la stampa britannica ha rivelato che durante il regime dei colonnelli nell’isola di Leros erano stati deportati gli oppositori politici di tutta la Grecia facendoli convivere con i malati di mente, e la follia e l’isolamento aveva trasformato tutti in inquietanti relitti umani. Il romanzo è avvolgente, scorrendo le pagine si ha l’impressione di stare tra incubo e risveglio, si spalancano gli occhi su un’allucinazione nella quale Simona Vinci conduce il lettore attraverso immagini di rara forza con parole che permettono di raccontare l’indicibile.

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Gina, che ha partorito storie di cortili e di «donne fedeli al marito come a un elettrodomestico che non si cambia»

 di Alba L’Astorina

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Gina Marpillero: «Qui avevo 15, 16 anni. L’acqua la prendevo sul serio, non per posa, e le gambe le tenevo così perché ho sempre capito di averle un po’ stortine. Lo sfondo è la stalla con il fienile e l’orto dove la neve rimaneva fino a primavera perché non batteva mai il sole». In prima persona, a sottolineare una presenza ancora viva, le didascalie alle belle foto che Alba L’Astorina ha avuto dai figli della scrittrice friulana alla quale è dedicata una mostra a Milano

Eravamo solo in quattro lunedì scorso, al Circolo Filologico Milanese, a vedere la mostra fotografico-letteraria che Milano dedica in questi giorni alla scrittrice friulana Gina Marpillero: io, Bruna, Flora e Adriana. Eppure è stato come se per alcune ore in quella stanza, la bellissima sala liberty del palazzo ottocentesco di via Clerici 10, si fossero incrociati i destini e le storie di tante persone, vissute in tempi e spazi diversi, sullo sfondo di Guerre Grandi e piccole battaglie quotidiane. Madri friulane e napoletane in eterno dialogo con le proprie figlie, padri sfollati al nord o al sud, nonni spaesati nei confini ridisegnati dai nuovi imperi, fratelli persi al fronte o dentro i labirinti della propria mente. Nelle orecchie, una lingua materna, quella friulana, appresa e abbandonata da piccola, poi riemersa da chissà quale remoto angolo del proprio esistere grazie ad una poesia mormorata a voce alta, poi spezzata. E, nelle narici, odore di carta, di legno, di inchiostro…

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Sulla spiaggia, leggendo e ascoltando. Come in un dipinto di Amanda Russian

di Maria Elena Sini

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“Beach Read”, olio di Amanda Russian. Le altre due opere della pittrice australiana che pubblichiamo sono state scelte dalla stessa autrice del post

Qualche tempo fa, mentre cercavo in Rete delle immagini che accompagnassero un mio lavoro, mi sono imbattuta in un’opera di Amanda Russian che ritraeva una donna intenta a leggere in spiaggia. L’immagine mi ha colpito e l’ho subito postata su Facebook, ma mi riproponevo sempre di approfondire le mie conoscenze sulla pittrice. In questi giorni finalmente l’ho fatto e ho scoperto che si tratta di un’artista australiana autodidatta che utilizza sia la pittura a olio che i pastelli.

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