Ecco la musica del Gargano: vive e si trasforma “per colpa” degli innamorati

di Luca Bartolommei

La percussionista dei Taranta Power, Giustina Gambardella, al termine del suo assolo ipnotico durante il concerto di Imperia dello scorso 14 agosto. Eugenio Bennato si esibirà con i suoi musicisti domani 18 agosto a Torre Paduli, Lecce, il 19 a Chiusano San Domenico, Avellino e il 21 al castello di Roccamonica a Pescara. (http://www.tarantapower.it) Riprese con l’iPad di Luca Bartolommei e Paola Ciccioli

Breve antefatto (o riassunto delle puntate precedenti):

Valsinni, Basilicata, siamo alla sommità della collina, sotto il castello di Isabella Morra, nel borgo. Cena su terrazza aperta sulla valle. Intervento di gruppo folk locale di menestrelli che oltre alle varie canzoni autoctone ne canta e suona una intitolata Foggia, poi scopertasi essere di Eugenio Bennato. La canzone ci accompagna per tutto il resto del soggiorno lucano e anche per il viaggio di ritorno alla base milanese. All’Isola si canticchia “A Foggia, a Foggia cu lu sole e cu la pioggia…”, anche perché come siamo rientrati in casa è partito un diluvio biblico.

Ho imparato da mia moglie Paola la filosofia dell’info@, che in pratica vuol dire: «se hai domande da fare, vuoi qualche notizia, informazioni varie o anche chiedere un’intervista a una persona, chiunque sia, scrivi un e-mail a info@taldeitali, e vedrai che la risposta arriverà».

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Capelli color pastello: fuori il colpevole

di Paola Ciccioli

Lei si chiama Lyn Slater, ha 63 anni e insegnata alla Fordham University. Secondo quanto riferiscono le cronache, stava andando a pranzo al Lincoln Center durante la New York Fashion Week e i giornalisti stranieri l’hanno scambiata per un’icona della moda, tanto che la prof adesso posa per importanti campagne pubblicitarie. Con un grazie a Sabrina Flisi che ci ha ridisegnato il blog e segnalato la pagina Facebook dove abbiamo trovato questa immagine e questa storia (https://www.facebook.com/womenonaging/)

“Viaggio” Atto III. Note a margine.

Cosa posso e voglio dire – io – della serata Luttazzi dal gusto un po’ sanremese all’Isola? Per esempio che il vestito di Arisa era troppo attillato e che, decisamente, non le donava. Chissà se la sua parente – zia? – che ha il centro estetico in smobilitazione a due passi dal Blue Note sapeva che la nipote era lì da ore, prima a provare e poi a registrare. Quante volte mi sono distesa sul suo lettino (della zia), lo sguardo rivolto alla gigantografia sotto vetro di estetista con nipote cantante famosa e sorridente “con la faccia pulita” (cit), prima del restyling platino. Ma perché le ragazze adesso si tingono i capelli così?

Parlo da “antica” adatta alla pagina Facebook “Silver, A state of Mind” che mi ha segnalato Sabrina Flisi se dico che quel cortissimo biondo bruciato fa tanto Lionel Messi pre matrimonio o altro calciatore miliardario a corto di goal e a caccia di look?

Anche la Elodie, così bella, così alta, così ben vestita: ma perché i capelli rosa? Qualcuno sa dirmi di chi è la colpa del fatto che per strada il numero di ragazze/signore con le chiome turchine e/o verde mare sta aumentando in modo preoccupante? Ma siamo sicure? Non bastavano i tatuaggi? Parlo da antica se dico che i tatuaggi, in particolare quelli che coprono vaste superfici corporee, mi fanno tristezza? Perché mi danno il senso di un eterno presente al quale gli umani, giovani e non, si aggrappano, ignari e/o indifferenti alle modificazioni corporee che inevitabilmente modificheranno anche i ghirigori multicolor incisi sulla pelle. C’è in giro qualche giovanissima che riesce a piacersi anche senza marchiarsi sul polso, sulle spalle, sotto il seno o sopra il gluteo il nome del fidanzato del momento? È ancora possibile poter dire “no”, non mi piace, non mi va, io “no”?

Helen Parker, una signora di Seattle a casa della quale ho soggiornato anni fa, mi raccontava affascinata del suo primo viaggio in Italia, e a Milano, e mi ripeteva: «guardavo la gente per strada e sembrava che stesse andando a un matrimonio». Parlo da antica se dico che adesso, invece, sembra stiano correndo tutti, ciabatta&canotta, in piscina?

Ciao nonna, guarda che “chi paré” all’Isola

di Luca Bartolommei

Un momento della registrazione al Blue Note di Milano del programma dedicato a Lelio Luttazzi, la cui messa in onda su Rai1 in prima serata è stata posticipata a venerdì 11 agosto 2017. Sul palcoscenico la cantante Simona Molinari in veste di conduttrice, alle sue spalle gigantografie del maestro triestino con i protagonisti della Tv italiana in bianco e nero (Foto di Nadia Pastorcich da https://www.facebook.com/FondazioneLelioLuttazzi/

“Viaggio” Atto II. La serata continua.

Ricominciamo esattamente da dove avevamo finito, senza riassunto della puntata precedente.

Passiamo agilmente il primo sbarramento di security e veniamo scortati all’interno del locale, Paola si qualifica come giornalista e accediamo alla sala, parliamo con un responsabile Rai che ci invita gentilmente ed in tutta tranquillità ad accomodarci a un tavolo di nostro gradimento. Siamo dentro! Una signora seduta da sola ci invita a sederci insieme a lei e Arisa comincia a cantare. Indossa un bell’abito rosso sgargiante è molto rilassata, si appoggia ad uno dei protagonisti della serata, un pianoforte a coda, e finisce la sua esibizione con sorrisi e saluti per tutti. Brava e simpatica.

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“Viaggio in Europa” seduti sul divano

Milano, 28 giugno 2017: Federico Leonardi durante il suo “Viaggio in Europa” in casa di Mariagrazia Innecco. In questo fermo immagine dal video girato da Adele Sacco, il percussionista Nicola Di Caprio, a destra, e (alla sinistra del protagonista) il chitarrista Giulio Burratti e Rocco Fava

di Luca Bartolommei

Per la prima volta ho assistito a una performance teatrale in un appartamento, riservata ad una stretta cerchia di invitati. A Milano.

La serata inizia in una bella casa dove una trentina di persone è riunita per assistere alla lettura teatralizzata di “Viaggio in Europa”, testo scritto e recitato da Federico Leonardi. Accompagnato dal batterista/percussionista Nicola Di Caprio e dal chitarrista Giulio Burratti, il professore di filosofia ci fa decollare dalla Mesopotamia della room 56 del British Museum per portarci a Istanbul, poi a Napoli, ad Atene, Berlino, Parigi, insomma voliamo tra storia, realtà e sogni guidati dalla sua voce che ogni tanto cambia timbro e volume, facendoci sobbalzare. Continua a leggere

Cicliste all’Isola (con stile vario)

Testo e foto di Luca Bartolommei

Il murales all’uscita della metropolitana che colora la zona del quartiere di fronte al giardino condiviso “Isola Pepe Verde” di Milano dove, il 16 settembre 2017, si terrà “Ero straniero… ora sono milanese”, pomeriggio di cultura meticcia con la musica della Banda Dehors e molto altro (https://allevents.in/milan/ero-straniero-ora-sono-milanese/1814793451881225#)

Ogni canzone milanese deve essere crudele e sbarazzina, recita l’incipit de La “Gagarella” del Biffi Scala, composta dalla coppia simbolo della musica meneghina Giovanni D’Anzi – Alfredo Bracchi, di cui ho parlato ieri. Attraverso un brano, quindi, si possono prendere in giro usi, costumi e personaggi della nostra città con ironia tutta ambrosiana.
Proverò ad adeguarmi all’invito dei due maestri, non scrivendo rime e note ma soltanto un breve testo nato ascoltando, ma anche suonando, questa canzone che tanto mi piace e che mi dà l’opportunità di usare la mia lingua madre, il milanese.

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La “Gagarella”, ovvero il tipo di donna che si può incontrare soltanto a Milano

di Luca Bartolommei*

Milano,1941. Bigliettaie Atm davanti al deposito di via Messina. Nell’Italia entrata da poco in guerra, le donne svolgevano il lavoro degli uomini. Nella canzone di Giovanni D’Anzi “La gagarella del Biffi Scala” è “dipinto” un aspetto diverso di quel periodo, tra caffè alla moda, tic delle ragazze e giovanotti perdigiorno antesignani dei futuri playboy.

Una signorina gira in bicicletta per il centro di Milano, pedala con ritmo veloce, ha marinato la scuola e non può fare tardi all’appuntamento per il tè. Arriva in piazza della Scala, al Biffi, dove si incontra con i suoi amici gagà per passare il pomeriggio scambiando facezie varie con quel linguaggio che solo i giovani possono comprendere. Fuma le Camel e beve il Kummel, ama i vestiti alla moda e tiene alla linea, ma il suo accompagnatore è magro da far pietà, e in fondo anche lei non è poi così elegante e chic, con quelle scarpette risuolate male.

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L’Isola, il quartiere di Milano che ha preteso un ritratto d’autrice

di Paola Ciccioli

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Il ritratto del quartiere Isola di Milano firmato da Paola Di Bello: la gente, il verde, la vecchia e nuovissima città. Al Museo del Novecento è in corso la mostra “Paola Di Bello. Milano Centro” e il 9 febbraio (ore 18) l’artista presenta nella Sala Fontana il suo libro “Works 84-16”, edito da Danilo Montanari (http://www.paoladibello.com/)

Addio alla margherita “buono prezzo” messa in forno dal pizzaiolo cinese e infilata nel contenitore di cartone dal barista altrettanto cinese ma dal nome italianissimo, sempre gentile e con il sorriso accogliente. Dove sono andati? Cosa fanno adesso? Al posto della loro pizzeria, in via Carmagnola, c’è una piadineria. O è invece il pub che serve birre australiane ad aver acceso nuove e più forti luci su uno dei vecchi locali dello spicchio di città in trasformazione: sempre meno “diverso” e “separato”, sempre più attraversato da sciami di folle giovanili vocianti e con il bicchiere di plastica in mano all’ora dell’aperitivo. L’Isola, il quartiere dove sono poche, pochissime, le botteghe artigiane che resistono. Il quartiere che racconta, con i suoi edifici griffati, la storia di una mutazione urbana.

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«E dai, babbo: che civiltà è?»

di Sandro Veronesi*

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Venezia in un bellissimo scatto dall’album Facebook di Giuseppe Cozzi. Il fotografo di Legnano è coautore di “Il Bel Paese. Luoghi e genti d’Italia” della collana dell’Afi (Archivio Fotografico Italiano). Il libro è stato presentato ad Arles, la città francese che a luglio si trasforma in una immensa galleria per il meglio della fotografia di tutto il mondo

«Babbo, è questa Venezia

«No, non è ancora questa.»

«Ma tu hai detto che Venezia ha le strade fatte d’acqua, e noi stiamo viaggiando sull’acqua.»

«No, non stiamo viaggiando sull’acqua. Stiamo percorrendo un ponte, il ponte che porta a Venezia. Laggiù, vedi? Quelle case, quei campanili?»

«Sì…»

«Quella è Venezia.»

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Sull’isola greca con il libro che mi dice: “Il mondo cambia un cuore alla volta”

di Maria Elena Sini

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Maria Elena Sini durante la vacanza in Grecia di cui racconta, intensamente, in questo post

È stato un inverno lungo, cupo e doloroso per cui quando un amico che trascorreva l’estate nelle Cicladi mi ha invitato a passare una settimana a Paros ho accettato con gioia. Mi attirava l’idea di rilassarmi in un’ isola illuminata dalla luce degli Dei, circondata da mare pulito dove buon cibo, tradizioni, storia e archeologia si aggiungono alla per nulla scontata possibilità di trascorrere intere giornate in spiagge poco affollate anche in alta stagione.

Prima di partire, come faccio spesso prima di un viaggio, sono passata in libreria per comprare un libro che accompagnasse la mia avventura. Nel banco delle novità mi ha subito colpito La prima verità di Simona Vinci, edizioni Einaudi, e d’istinto l’ho acquistato perché, come ho letto nel risvolto della copertina, la storia che racconta è ambientata a Leros, un’isola del Dodecaneso. Durante il viaggio, tra un aereo e l’altro, ho iniziato la lettura e ho scoperto che la storia trattata era ispirata ad una vicenda realmente accaduta: quell’isola in passato era stata trasformata in un grande manicomio nel quale rinchiudere persone affette dalle più diverse patologie, schizofrenia, paranoia, persone che la famiglia non voleva o non poteva più accudire, persone violente definite “ingovernabili” che però in quella realtà non venivano realmente curate ma essenzialmente venivano recluse, allontanate dalla civiltà. Qualche anno fa, con grande scandalo, la stampa britannica ha rivelato che durante il regime dei colonnelli nell’isola di Leros erano stati deportati gli oppositori politici di tutta la Grecia facendoli convivere con i malati di mente, e la follia e l’isolamento aveva trasformato tutti in inquietanti relitti umani. Il romanzo è avvolgente, scorrendo le pagine si ha l’impressione di stare tra incubo e risveglio, si spalancano gli occhi su un’allucinazione nella quale Simona Vinci conduce il lettore attraverso immagini di rara forza con parole che permettono di raccontare l’indicibile.

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Cuba e i delfini “color dell’oro”

di Ernest Hemingway*

Tenerezze tra Annalisa Mongili e un delfino a Cuba, non lontano da Playa Esmeralda, nel nord-est dell’isola caraibica

Dev’essere molto strano, in aeroplano, pensò. Chissà com’è il mare da quell’altezza? Dovrebbero veder bene il pesce, se non volano troppo alto. Mi piacerebbe volare molto adagio a duecento tese d’altezza e vedere il pesce dall’alto. Nelle barche per le tartarughe stavo sul pennone di parrocchetto e già da quell’altezza vedevo molto. I delfini sembrano più verdi di lassù, e si possono vedere le strisce e le macchie viola, e si può vedere tutto il branco mentre nuota. Chissà perché tutti quei pesci veloci che stanno nell’acqua buia hanno la schiena viola e per lo più strisce o macchie viola? Naturalmente il delfino sembra verde ma non lo è, perché in realtà è color dell’oro. Ma quando viene a mangiare, che è proprio affamato, sui fianchi gli si vedono strisce viola come sui marlin. Che sia la collera, o la velocità maggiore a farle venir fuori?

Poco prima che scendesse il buio, mentre oltrepassavano una grande isola di sargassi che si gonfiava e muoveva nel mare chiaro come se l’oceano facesse all’amore sotto una coperta gialla, alla lenza piccola abboccò un delfino. Il vecchio lo vide per la prima volta quando balzò nell’aria, proprio come l’oro nell’ultimo sole e prese a curvarsi e sbattere all’impazzata nell’aria. Continuò a balzare spinto dalla paura e il vecchio ritornò a poppa e accoccolandosi e tenendo la lenza grande con la mano e il braccio destro, tirò il delfino con la mano sinistra posando il piede sinistro nudo sulla lenza ogni volta che ne conquistava un pezzo. Quando il pesce giunse a poppa, tuffandosi e rivoltandosi disperato, il vecchio si sporse fuori dalla poppa e sollevò a bordo il pesce d’oro brunito con le sue macchie viola.

*Una pagina da Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway (La Biblioteca di Repubblica, 2002, traduzione di Fernanda Pivano), racconto potente e struggente, interrotto – qui – prima di una scena “cruenta”.  Allo scrittore statunitense, Nobel per la letteratura 1954, è intitolato il Premio Ernest Hemingway di Lignano Sabbiadoro, evento letterario di carattere internazionale giunto  alla 33esima edizione, che quest’anno si terrà il 15, 16 e 17 giugno. 

«Lignano e la sua laguna furono il buen retiro di Hemingway in periodi diversi della sua vita: una scelta non casuale. L’autore de Il vecchio e il mare amava profondamente Venezia e proprio “via laguna” nacque il suo speciale rapporto con la piccola penisola friulana, tra Venezia e Trieste, che lo scrittore amava definire come “La Florida d’Italia”».

AGGIORNATO IL 1° APRILE 2017

All’isola da amare e difendere

Alghero, estate 2013

Alghero, estate 2013

Ho conosciuto la Sardegna a Urbino, nel 1979,quando la mia vita ha incontrato all’università la vita dei miei amici. È un pezzo di casa, quello che ogni volta mi abbraccia con la sua bellezza. L’estate scorsa, durante uno scambio di mail, un altro amico (del genere «ti ricordi quando in corriera io leggevo il tuo tema e tu il mio?») mi ha mandato, quasi non riuscisse più a tenerli per sé, i suoi ricordi legati alla scoperta dell’isola. Per una volta non parliamo di donne, ma di una terra da amare e difendere.
Le foto sono state scattate da Maria Elena Sini tra Alghero e Stintino. (Paola Ciccioli) Continua a leggere