Ho conosciuto la Sardegna a Urbino, nel 1979,quando la mia vita ha incontrato all’università la vita dei miei amici. È un pezzo di casa, quello che ogni volta mi abbraccia con la sua bellezza. L’estate scorsa, durante uno scambio di mail, un altro amico (del genere «ti ricordi quando in corriera io leggevo il tuo tema e tu il mio?») mi ha mandato, quasi non riuscisse più a tenerli per sé, i suoi ricordi legati alla scoperta dell’isola. Per una volta non parliamo di donne, ma di una terra da amare e difendere.
Le foto sono state scattate da Maria Elena Sini tra Alghero e Stintino. (Paola Ciccioli)
La mia Sardegna, trasportato dal vento e dall’anarchia
di Francesco Ribes
Ad Alghero sono stato la prima volta nel maggio del 1990, in un pazzo viaggio itinerante alla scoperta della Sardegna. A quel tempo si viaggiava alla boia maniera, non esistevano le prenotazioni, viaggiavano ancora i traghetti delle Ferrovie dello Stato che sbuffavano un fumo insopportabile. Caricammo la nostra Uno bianca, dotata di portabagagli sul tettino, e via, verso l’avventura. Eravamo
io, la Mary, Federico che allora aveva sette anni, ed una nostra amica infermiera, Cristina, che doveva recuperare all’aeroporto di Cagliari un suo amico/fidanzato siciliano conosciuto a Pedaso durante il servizio espletato come obiettore di coscienza al servizio militare (ora gli obiettori sono solo quelli che si rifiutano di applicare la legge 194!). Da Cagliari, in 5 su quella utilitaria, c’inerpicammo all’interno della provincia di Cagliari per raggiungere il paesino di Villasalto, dove ci aspettavano due nostri amici sardi poverissimi, che avevano abitato per qualche tempo vicino alla nostra casa di Civitanova, avendo tentato l’avventura in continente per motivi di lavoro, ma che poi erano tornati nel loro paese di origine. Sarei ritornato l’anno successivo a Villasalto, questa volta da solo, estendendo la visita anche ad Armungia per visitare la casa di Emilio e Joyce Lussu, riportandone emozioni così dense che ancora oggi fatico a sciogliere. Da Villasalto, dicevo, ripartimmo l’indomani per la Marmilla, pianura interna alla provincia di Cagliari dove svetta la collina di Las Plassas e l’altipiano battuto dal vento chiamato “Giara di Gesturi”, di cui ricordo la vegetazione bassa e contorta e un paesaggio atipico, quasi lunare. Poi, dopo una sosta al villaggio nuragico di Barumini, attraversando paeselli come Pimentel, ci proiettammo verso il mare, vera meta del nostro viaggio ed arrivammo nel selvaggio Sinis. C’era vento, e la sabbia aveva coperto gran parte della strada asfaltata cosicché, quasi smarriti, vedemmo una lucina in lontananza e ci dirigemmo verso questa. Era l’insegna di un ristorante, “S’Aligusta” il cui titolare si scusò per non poter accoglierci e ristorarci poiché l’unica cuoca era stata colta da un attacco di appendicite e trasportata all’ospedale di Oristano.
Quel signore ci diede però un indirizzo di Cabras in cui una famiglia affittava delle stanze, con una delle prime forme di agriturismo che poi sapemmo chiamarsi “Cooperativa Allevatrici Sarde”. Dalla signora Anna Spanu, moglie di Peppe Manca, rimanemmo un paio di giorni per poi dirigerci a nord percorrendo l’occidentale sarda, finalmente verso l’Alguer! Devi sapere che ogni anarchico italiano è intriso di cultura spagnola, e io tra i primi. L’unico esempio mondiale di anarchia applicata alla vita di ogni giorno di milioni di persone, risale alla rivoluzione spagnola del 1936, alla collettivizzazione delle terre e delle fabbriche realizzata dalla CNT-FAI nelle prime fasi della guerra civile, prima che l’esercito franchista prendesse militarmente il sopravvento grazie anche anche fratture esistenti all’interno del fronte antifranchista (se non l’hai visto, Terra e Libertà di Ken Loach è una fedele ricostruzione di quella realtà raccontatami personalmente da diversi vecchi anarchici volontari in Spagna). Alghero, dicevo, per me ha sempre costituito, nella fantasia prima, nella vita reale poi, l’estensione della Spagna e della sua cultura in Italia, per cui l’ho amata visceralmente ancora prima di arrivarci, non rimanendone assolutamente deluso! I nomi delle vie in catalano, i viali lungomare che la Mary definisce “ramblas”, sentir parlare dalle vecchiette nei negozi di alimentari quella strana lingua sardo-spagnola, la paella valenziana proposta in quasi tutti i ristoranti; tutto, ad Alghero, mi parla della Spagna! E mi piace sognare che facendo il giro dei bastioni guardando ad ovest, può sempre apparire in qualsiasi momento un veliero spagnolo che porta in visita Carlo V, come nel 1541!
Ad Alghero ci fermammo al camping “La mariposa”, poco fuori la città, direzione Fertilia, in un puzzolente bungalow di legno con letti a castello. Sarà stato per la modestia dell’alloggio che decidemmo di iniziare la permanenza in grande, con una sontuosa cena di pesce al ristorante “Rafel”, lungo via Lido, nelle immediate vicinanze del campeggio. Da “Rafel” fu possibile farsi accompagnare al frigorifero e scegliere il pesce che il cuoco avrebbe cucinato per noi, cosa che si ripeterà nel 2003, con enorme piacere mio e della Mary, prima della figuraccia finale al momento del conto perché i soldi che avevamo dietro non bastarono! Comunque sia “l’attappammo su”, e il bel ricordo è rimasto intatto.
Non c’era un gran clima verso la fine di maggio, ricordo un pomeriggio di pioggia sottile che non c’impedì di andare alla spiaggia delle Bombarde, al Lazzaretto, a Porto Ferro, alla Maria Pia, quel pomeriggio e nei giorni seguenti. E che dire della focacceria Milese, vicino al porto all’inizio delle ramblas? Quante volte abbiamo sostituito il pranzo o la cena con quelle varie bontà accompagnate dal Vermentino che compravamo a parte in supermercato per risparmiare!
Altre volte sono stato ad Alghero, ancora alla Mariposa, l’ultima all’agriturismo Barbagia, a 200 metri dall’aeroporto in cui sei arrivata venerdì sera, ma nessuna di queste ha avuto l’impatto della prima volta, di quel 1990. Dopo quattro giorni ripartimmo verso il nord, Stintino, Castelsardo, Santa Teresa di Gallura, poi l’imbarco a Golfo Aranci, con tanto di sosta di alcune ore in mezzo al mare per aspettare la polizia giudiziaria che doveva fare un sopralluogo a causa di un decesso avvenuto a bordo.
Ti auguro di trovare in Sardegna la serenità e la pace che merita la tua vita troppo frenetica. A me è riuscito una volta ma cercherò di ripetere l’irripetibile dal 15 al 22 settembre, questa volta solo con la Mary, per la prima volta senza figli al seguito.
Mi sono commosso, rileggendo questa lettera inviata a Paola qualche mese fa; forse perché stasera ho il pianto facile (eh, si, anche e soprattutto gli uomini piangono!), forse perché parla di una terra nei cui confronti non mi sono mai proposto come classico “turista”, ma che ho cercato di penetrare, di vivere come cittadino tra i cittadini. Anche quest’anno ho affittato un piccolo appartamento da una famiglia sarda, ho avuto il mio bar di riferimento, la mia piazza, la mia passeggiata, le mie conversazioni con la gente incontrata qua e là. Ho cercato di vivere, per il poco tempo che ho potuto permettermi, come uno di loro e per questo come ognuno di loro mi sento ferito e colpito. Non ho altre parole. L’amore dei sardi per la loro terra e l’amore di tante altre persone che ne hanno goduto le bellezze, le saranno di aiuto per rifiorire.
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Da sarda non posso che essere contenta nel constatare che la mia terra, per me così densa di suggestioni e di ricordi, è capace di suscitare emozioni così forti anche in un “continentale”
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Francesco, d’accordo su tuttto. Tranne che sul “soprattutto”. Ti riabbraccio. Grazie.
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Io invece l’ho conosciuta in Val Formazza, la Sardegna, nel dicembre 1986.
Avevo 15 anni e l’ho conosciuta e istantaneamente amata attraverso famiglie di sardi che andavano a S. Michele per le vacanze invernali.
Non a caso lì, perché lì Gianni e Teresa ci erano andati in viaggio di nozze vent’anni prima e ci tornavano con amici.
Il loro anniversario è il 29 dicembre, ma per colpa di un nubifragio a Cagliari nel novembre 1999,
Gianni e Teresa non possono più festeggiare insieme il loro anniversario di matrimonio.
S’annu ‘e s’unda (l’anno dell’onda, novembre 1898) era tornato.
Gianni tornava a casa in auto e lo stagno di Santa Gilla ha deciso di esondare a Macchiareddu.
Gianni non è tornato a casa, ma la colpa non è dello stagno di Santa Gilla e nemmeno della pioggia e neppure della terra.
La colpa, mi ha fatto vedere Teresa a Torre delle Stelle, è dell’uomo: che non rispetta la terra e non fa spazio all’acqua verso il mare pulendo i canali, che invade col cemento e ingabbia il territorio.
Gianni e Teresa, insegnanti. Gianni, con la passione per la scuola e la passione per il lavoro per la scuola, per le imprese artigianali, per il sindacato, per le persone.
Gianni tornava a casa, quella notte, da una riunione di lavoro. Quelle riunioni sindacali che lo vedevano impegnato dagli anni 70 nel sindacato scuola della CGIL.
Gianni aveva lasciato l’insegnamento ed era diventato direttore della Scuola Edile e si è dedicato, anche, alla formazione professionale.
Alla scuola edile… il cemento…chissà quante volte avrà parlato di piani regolatori…
Gianni non è tornato a casa, ma resta qui con il rispetto e il riconoscimento, con un circolo del PD a Selargius intitolato a lui, Gianni Ragatzu, con la sua faccia stampata su quella dei suoi figli, e con me resta quello sguardo di Gianni in quel giorno del mio 18° compleanno in Val Formazza e quel disco degli Inti Illimani che ascoltava quando arrivai ospite a casa loro per la mia prima visita a Cagliari a Pasqua del 1989.
E mi resta anche quella foto di quel 29 Dicembre in cui Gianni e Teresa ballano per il loro anniversario in Val Formazza, dove nella neve ho imparato che il sorriso è più forte dello scudo stellare.
E immagino Teresa, con la sua vocina e quel carattere di acciaio in un corpo minuscolo, che guarda alla sua terra e ai suoi figli e pensa che ancora, a novembre di 14 anni dopo, nulla è cambiato. E questo mi fa ancora più triste.
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