Italians abroad: «Abbiamo fatto tremila chilometri per avere una vita normale»

di Alba L’Astorina

"Un'italiana in kayak tra i fiordi norvegesi", di Francesca Alviani, giovane abruzzese che vive a Bergen e lavora come fotografa d'interni

“Un’italiana in kayak tra i fiordi norvegesi”, di Francesca Alviani, giovane abruzzese che vive a Bergen e lavora come fotografa d’interni

È a Laura, a Gigi, a Giusy e a tanti altri amici sparsi per il mondo che penso mentre guardo Emergency Exit – Storie di giovani italiani all’estero, il documentario di Brunella Fili, giovane regista pugliese, sulla vita di alcuni connazionali che hanno deciso di darsi una nuova opportunità al di fuori dei confini del proprio paese. Anche i miei amici, laureati e qualificati, come gli intervistati nel video, prima di andare a Nottingham, a Dublino, a Marsiglia, hanno lavorato in Italia diversi anni, accettando spesso incarichi mal pagati e precari. Ci hanno provato a rimanere, ma non ci sono riusciti. A qualcuno di loro, appena fuori dai confini, è successo invece, in poco tempo e senza l’appoggio di amici o parenti, di vedersi affidare ruoli di responsabilità inimmaginabili a casa propria. Come accade, nel filmato, a Patrizia Pierazzo, laureata in archeologia, che dopo due anni passati a fare la commessa in un negozio a Venezia si trasferisce a Londra e viene assunta come ricercatrice di archeologia urbana al Museum of London. Dopo un breve stage, un contratto a tempo indeterminato ha reso Patrizia, a 33 anni, senior archaeologist di uno dei musei più prestigiosi di Londra, posizione che in Italia sarebbe considerata eccezionale.

Questo non significa che all’estero sia per tutti facile trovare un lavoro adeguato, ma possibile, quello sì. Lo spiega bene, nel video, Giuseppe, giovane pugliese che lavora oggi come sales manager per un’azienda italiana a Bruxelles. La scelta di rimanere in Italia o di andarsene si basa su tre elementi: la competenza, la determinazione e l’opportunità. «In Italia riesci ad avere le prime due, ma ti mancherà sempre l’ultima: l’opportunità, quella proprio non c’è.»

"Italiani sul prato a Bergen", foto di Arne Halvorsen

“Italiani sul prato a Bergen”, foto di Arne Halvorsen

Esistenze in fuga

Le espressioni con cui l’esodo di migliaia di persone dall’Italia viene definito la dice lunga sull’incapacità che spesso abbiamo di cogliere fenomeni complessi in corso: “fuga dei cervelli”, “dei talenti” o “delle braccia”. Come se il motivo che fa muovere ogni anno moltissimi connazionali si limitasse solo a un “pezzo” della vita di una generazione, e non riguardasse invece la qualità intera del soggiornare in Italia: studiare, trovare casa, viaggiare, metter su famiglia, educare i propri figli. Vivere, in sintesi, una vita “normale”. È per realizzare tutto ciò che fuggono i giovani (e meno giovani) italiani.

In “Emergency Exit” Marco, studente siciliano, vende pesce al mercato di Bergen, in Norvegia. Non è il tipo di lavoro che avrebbe sognato nella vita, ma viene pagato bene, e si dice felice di vivere in un paese «in cui c’è un rapporto diretto tra quello che sai fare e quello che fai». Martina, romana trapiantata nella stessa città norvegese con il marito Walter, riassume in poche lapidarie battute il senso della loro fuga dall’Italia, «abbiamo fatto tremila chilometri per avere una vita normale».

Londra, la “sesta città italiana”, come l’ha definita il sindaco Boris Johnson, è satura di italiani; si parla di circa 90mila arrivi da Roma, Milano, Torino, Napoli negli ultimi 2 anni. Giovani con o senza famiglia, più o meno titolati, hanno deciso di vivere una delle città più care al mondo, dove lavorano come ingegneri, giornalisti, camerieri, informatici, parrucchieri o broker[i]. Caterina Soffici, autrice di Italia yes, Italia no, racconta la sua esperienza nella città britannica: «Sei seduto in metropolitana, con tutti questi inglesi educati e silenziosi, immersi nelle loro letture, e ti chiedi: che ci faccio qui? Perché ce ne siamo venuti via? Perché a Londra si vive peggio, ma si sta meglio. Londra non è meglio dell’Italia, ma è un posto normale. È l’Italia a non esserlo più».

Sono queste variazioni intorno al concetto di “normalità” che racconta il docu-trip di Brunella Fili, che sta ricevendo molti riconoscimenti in festival e mostre di cinema[ii], e presto sarà disponibile anche in versione web a episodi. La serie web arricchirà la rassegna di ritratti di una emigrazione che ha caratteri simili e in parte diversi da tutte quelle che l’hanno preceduta, con un occhio particolare per la Puglia, dove Brunella Fili ha potuto tornare e fondare una casa di produzione “Officinema Doc” insieme all’amica Lucia Crollo, mostrando ai propri connazionali, fuori e dentro l’Italia, che è giunto il momento di prendere la parola su un fenomeno allarmante.

Non è solo una questione di numeri

La locandina del film "Emergency Exit"

La locandina del film “Emergency Exit”

La questione è complessa, e molti tentano un approccio quantitativo per definirla, ma numeri completi ed univoci sul fenomeno non ne esistono. Le statistiche diffuse dal governo italiano e dall’Istat quasi sempre si basano sull’Aire, l’Anagrafe italiani residenti all’estero, alla quale però non tutti gli italiani emigrati si iscrivono. Un recente studio dell’Istituto di ricerca West ha confrontato il numero di italiani in Gran Bretagna che si sono iscritti all’Aire nel 2013 con quelli che nello stesso anno hanno fatto la richiesta per avere un Nino, cioè un National Insurance Number, una sorta di tesserino fiscale che serve per lavorare nel Regno Unito. È risultato un numero di richiedenti del codice Nino quasi doppio rispetto agli iscritti Aire: circa 44.113 a fronte di 28.000 richieste. Nel 2012 il divario tra gli iscritti alle due liste era ancora maggiore.

Se i dati sono pochi e imprecisi, ancora meno ce ne sono su quante sono le giovani donne che emigrano, si sa solo che per effetto della legge del controesodo del 2010, 3838 professionisti “under 40. sono rientrati in Italia nel 2011, beneficiando degli sgravi fiscali; di questi 1575 sono uomini e 2263 donne, per la stragrande maggioranza lavoratori dipendenti.

Se si tratti o meno di “talenti” è un’altra questione aperta[iii] ma certo è che il bilancio tra laureati italiani che vanno e laureati stranieri che fanno il percorso inverso è in grave disavanzo. Secondo il Centro Studi Fuga dei talenti di Sergio Nava, che si avvale anche di dati di altre fonti, gli italiani che sono andati a lavorare in altri paesi Ocse sono quasi 400 mila, mentre gli stranieri arrivati qui con laurea sono solo 85 mila. «Questo dato – spiega Nava – è preoccupante se si considera che la percentuale di laureati in Italia è molto bassa e quei pochi che abbiamo sono costretti ad andarsene»[iv].

"Bruna ed altre italiane a Bergen"

“Bruna ed altre italiane a Bergen”, foto di Francesca Alviani

Per gli stranieri il mercato del lavoro intellettuale italiano non è attrattivo, lo so per esperienza, perché lavoro in un istituto di ricerca e assisto spesso i ricercatori nel loro tortuoso iter per venire e stabilirsi in Italia. Pare che il nostro paese attragga piuttosto stranieri in età matura, lo dichiara Bill Emmott, ex direttore della rivista The Economist, che nel documentario commenta il fenomeno riconducendolo alle sue dinamiche sociali, politiche ed economiche.

Oltre i numeri ci sono le storie, tante e diverse, e allora penso a quelle che mi racconta Mario, un caro amico marchigiano che vive ad Urbisaglia. Due figlie emigrate in altre parti di Italia (giusto per non dimenticare che c’è una mobilità anche interna al Paese), Mario viene spesso chiamato nelle ville sperdute della bella campagna maceratese per sistemare caldaie e impianti idraulici. Gli capita frequentemente di trovarle abitate da proprietari inglesi in pensione che vengono in Italia per trascorrere gli anni della loro matura età.

Anche gli emigranti delle vecchie generazioni tornavano nelle case costruite con le rimesse che mandavano in Italia, dopo aver trascorso l’intera vita in Germania, in Belgio, o negli Stati Uniti. Oggi capita più spesso che siano i genitori italiani a supportare i figli all’estero, come succede al giovane ristoratore di “Caffè italiano” intervistato da Brunella.

A Bruxelles, dove la politica potrebbe ancora avere un senso

Molti italiani all'estero sono coinvolti in progetti di cooperazione. Qui Alice Priori, una giovane italiana che coordina di un progetto giovani in Palestina, foto di Bruna Orlandi

Molti italiani all’estero sono coinvolti in progetti di cooperazione. Qui Alice Priori, una giovane italiana che coordina un progetto giovani in Palestina, foto di Bruna Orlandi

La prima puntata della serie web, l’unica al momento accessibile a tutti, è dedicata a Bruxelles e non a caso. Non c’è forse città che meglio della sede del Parlamento europeo possa sottolineare la singolarità del fenomeno italiano e la sua connessione con la politica, sia quella economica, sia quella culturale, che da anni amministra questo paese. «In Italia non tutti sono ammessi, ma a Bruxelles senti di avere una opportunità; il Parlamento europeo dà una sensazione di speranza, di possibilità, di vita diversa», dice Pietro. Nel panorama europeo, quella italiana si contraddistingue per una classe dirigente gerontocratica, corporativa, una corruzione strutturale diffusa in tutto il paese, un immobilismo a ogni livello della vita lavorativa, che impedisce ai più di andare avanti grazie ai propri meriti e al proprio lavoro. E con forme di reclutamento discutibili anche in politica.

Nella capitale belga Brunella porta il suo video davanti ad alcuni parlamentari e incontra Daniel e Francesca, esponenti di “Giovani emigrati a Bruxelles”, un gruppo di pressione che si occupa dei temi della nuova emigrazione che definiscono «un viaggio di sola andata». Alcune scene ripropongono la discussione in aula. Gli interrogativi sono tanti, le risposte deludenti: «Perché dovremmo ancora credere ai politici?», «Parlate di 600-800 euro al mese, e questo lo chiamate un contratto incentivante?» Ma i deputati hanno poco tempo per ascoltare, devono prendere l’aereo alle 19 per tornare ai loro impegni elettorali. «I politici fanno solo uno spot ma alla fine i giovani non sono una priorità; dicono che i giovani hanno perso le speranze, ma in realtà sono i mezzi che ci mancano non le speranze», secco e lapidario il commento di Daniel e Francesca.

Eppure non dovrebbe essere difficile offrire prospettive ai giovani di un paese con il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale, che conta oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e con il più alto numero di siti considerati patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Un paese che possiede 100 delle 160 tipologie di turismo catalogate al mondo. Forse il problema, come aveva già notato la giornalista Milena Gabanelli in una puntata di Report è che «a presidiare la nostra principale risorsa c’è stato solo un Ministro senza portafoglio che al massimo ha portato i cani in spiaggia.»

Ripenso alla ricetta contro la precarietà che l’allora capo del governo, oggi condannato per frode fiscale e ciononostante più presente di prima sulla scena politica, suggerì alcuni anni fa ad una ragazza che chiedeva come fosse possibile metter su famiglia in tale incertezza: «le consiglio di cercarsi il figlio di Berlusconi o qualcun altro che non ha di questi problemi. Con il sorriso che ha potrebbe anche permetterselo». Vergogna e avvilimento i sentimenti che ho provato ascoltando queste battute, ma anche molta rabbia, per tanta volgare, tracotante incompetenza al potere.

Vivere in apnea

Ciro Prota con la figlia Rita, con cui si è trasferito, insieme alla famiglia, a Parigi da Napoli

Ciro Prota con la figlia Rita, con cui si è trasferito, alcuni anni fa insieme alla famiglia, a Parigi da Napoli. Foto di Alba L’Astorina

Bill Emmott definisce l’emigrazione italiana differente rispetto alle altre, perché gli italiani che vanno all’estero non si separano mai del tutto dal proprio paese e non vogliono perdere il contatto con la propria cultura. E allora mettono su blog, creano archivi dove condividono le proprie fotografie, aprono siti web, caricano video su youtube in cui si raccontano, dispensano consigli per chi voglia andare via.

Anche Francesca Alviani, la ragazza italiana che vive a Bergen e grazie alla quale ho scoperto il documentario di Brunella, per un periodo ha curato un blog per raccontare la sua esperienza. Francesca si ritiene fortunata perché in questi anni è riuscita a cambiare diversi ambienti di lavoro, da quello accademico, a quello della ristorazione, della scuola, del turismo. Si dice sostanzialmente contenta delle opportunità che la scelta di andare a vivere in Norvegia le ha offerto, e mi racconta della nuova dimensione che vive chi va via dall’Italia, una dimensione che la sua amica Camilla ha definito con il termine “norvegiana”.

Le versioni dei giovani italiani all’estero sono diverse. C’è chi si racconta con ironia, chi con orgoglio, chi con nostalgia. «Quando torno a casa la prima cosa che faccio è cercare di respirare l’aria di casa in Puglia, che sa di ulivi e di pini», dice Nicola nel video, «quello che mi manca è lo sguardo verso l’orizzonte; manca la luce, che nutre, resta sulla pelle». C’è chi si rammarica per essersi dovuto allontanare da un paese che ama, nonostante non gli abbia offerto alcuna opportunità per rimanere. C’è chi è convinto che «nessuno se ne sarebbe andato via dall’Italia se non fosse stato costretto».

Trovo l’ultima espressione un po’ eccessiva. È innegabile che tutti noi che abitiamo lontani dalle nostre prime radici viviamo come in apnea, ma allontanarcene serve ad esercitare nuovi e inediti sguardi, a sviluppare un senso critico, e anche a valorizzare quello che ci sembrava scontato. Questo vale non solo se ci si allontana dall’Italia ma anche se ci si sposta da Napoli a Milano, come è successo a me. Non saprei dire se sia stata una “Emergency Exit”, lo definirei piuttosto un viaggio di continua andata e ritorno[v]. Immagino sia stato così anche per altri amici miei, Ciro, Giovanni, Antonio, Lucia; non sono giovani, alcuni avevano un lavoro stabile e ben remunerato in Italia, eppure anche loro hanno deciso di abbandonare tutto e ricominciare daccapo, a 40 o 50 anni, a Parigi, in Cina, a Barcellona, rimettendo in moto, altrove, risorse e desideri che a casa sembravano spenti. Qualcuno ha anche creato associazioni per la valorizzazione della cultura italiana all’estero. Una formula che ha un discreto successo, perché ovunque si vada nel mondo, la cultura italiana è molto apprezzata. Ovunque, tranne che in Italia …..

[i] i A Londra e al Regno Unito la rivista Internazionale ha dedicato alcuni numeri, in particolare quelli dello scorso maggio e giugno; anche Il Fatto Quotidiano ha dedicato recentemente un articolo su “braccia e cervelli all’estero”.
[ii] Il documentario, presentato al Festival del Cinema Europeo di Lecce, ha vinto il bando della Regione Puglia, Principi Attivi 2012, e il sostegno dell’Ufficio Pugliesi nel Mondo; recentemente si è classificato come Miglior documentario straniero al Madrid International Film Festival.
[iii] Un interessante articolo di Lorenzo Beltrame apparso alcuni anni fa prova a fare un po’ di chiarezza sui termini della questione: Rassegna Italiana di Sociologia, Il Mulino, 2/2008, aprile-giugno, pp. 277-296.
[iv] Nava è un giornalista che da anni si occupa di questi temi e cura la trasmissione “Giovani Talenti” su Radio 24.
[v] Napoli Milano A/R è anche il nome della pagina FB che ho creato insieme ad una mia amica napoletana, Annamaria, “per dare spazio al racconto di un viaggio che lega da sempre Napoli e Milano, le persone che vi vivono, che le attraversano, anche solo per un periodo della loro vita, le storie che fanno loro onore e quelle che vorremmo cambiare…”.

5 thoughts on “Italians abroad: «Abbiamo fatto tremila chilometri per avere una vita normale»

  1. eccomi con alcune errata corrige, di cui mi scuso: le due ragazze nella foto Bruna ed altre italiane a Bergen, Le altre due ragazze sedute vicino a Bruna nella foto non sono italiane. A destra Anne è tedesca e a sinistra Laura è olandese.
    English: Please consider that the two girls near Bruna, in the photo “Bruna ed altrle italiane a Bergen”, are not Italian but German (the girl on the right) and Dutch (the girl on the left). I apologize for the uncorrect information .

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  2. riporto un paio di commenti che ho ricevuto via email, il primo di Brunella Fili, autrice del video, che ringrazio:
    Cara Alba,
    mi piace molto il tuo articolo, l’ho condiviso sulla nostra pagina FB proprio in questo momento.
    Grazie mille a te per il tempo che ci hai dedicato!
    A presto e teniamoci aggiornate,
    un bacio anche alla cara Francesca,
    Brunella

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