«Tra le mie dita gli umori e i sospiri di cui sono impregnati gli oggetti senza apparente valore»

di Mariagrazia Sinibaldi

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Mariagrazia Sinibaldi e Paola Ciccioli si abbracciano: l’immagine è sfocata e forse per questo ancora più intensa. È il 30 gennaio 2016, Paola si sposa e Mariagrazia è la sua testimone (un particolare grazie a Sandro Bizzarri per aver fissato questo momento)

Adoro i vecchi piccoli oggetti di uso comune: quelli che ci sono vicini nei momenti di lavoro o di svago, quelli che teniamo tra le dita e maneggiamo con cura: quelli che ci accompagnano nei momenti di sospiri e di sorrisi; quelli che raccolgono i nostri umori; quelli il cui unico valore è dato dal rapporto intenso tra noi e loro e che non hanno mai (o quasi mai) un valore venale. La mia reazione quando mi trovo tra le mani uno di questi piccoli oggetti è sempre di tenera curiosità: «Come era la persona che lo adoperava? E seguendo quali tortuosi sentieri è arrivato oggi tra le mie mani? … chissà».

Il sentiero è quasi sempre lo stesso: un’abitazione che viene abbandonata, per un trasloco, per un rinnovo totale dal vecchio al moderno, per la dipartita del (o della) proprietario.

Quante ne sono state gettate via di queste cosette, come inutili e inutilizzabili, nelle grandi vecchie case! E insieme a loro sono stati  buttati pensieri, sospiri di attesa, singhiozzi di dolore; ma anche risate cristalline e vaghi pensieri d’amore.

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Gina, che ha partorito storie di cortili e di «donne fedeli al marito come a un elettrodomestico che non si cambia»

 di Alba L’Astorina

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Gina Marpillero: «Qui avevo 15, 16 anni. L’acqua la prendevo sul serio, non per posa, e le gambe le tenevo così perché ho sempre capito di averle un po’ stortine. Lo sfondo è la stalla con il fienile e l’orto dove la neve rimaneva fino a primavera perché non batteva mai il sole». In prima persona, a sottolineare una presenza ancora viva, le didascalie alle belle foto che Alba L’Astorina ha avuto dai figli della scrittrice friulana alla quale è dedicata una mostra a Milano

Eravamo solo in quattro lunedì scorso, al Circolo Filologico Milanese, a vedere la mostra fotografico-letteraria che Milano dedica in questi giorni alla scrittrice friulana Gina Marpillero: io, Bruna, Flora e Adriana. Eppure è stato come se per alcune ore in quella stanza, la bellissima sala liberty del palazzo ottocentesco di via Clerici 10, si fossero incrociati i destini e le storie di tante persone, vissute in tempi e spazi diversi, sullo sfondo di Guerre Grandi e piccole battaglie quotidiane. Madri friulane e napoletane in eterno dialogo con le proprie figlie, padri sfollati al nord o al sud, nonni spaesati nei confini ridisegnati dai nuovi imperi, fratelli persi al fronte o dentro i labirinti della propria mente. Nelle orecchie, una lingua materna, quella friulana, appresa e abbandonata da piccola, poi riemersa da chissà quale remoto angolo del proprio esistere grazie ad una poesia mormorata a voce alta, poi spezzata. E, nelle narici, odore di carta, di legno, di inchiostro…

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«Da quando hanno assassinato Leone, la città illuminata è degli altri»

di Angela Giannitrapani

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Natalia Ginzburg, giovanissima, con il marito Leone. L’immagine è tratta da http://lanostrastoria.corriere.it/2009/05/08/carlo_ginzburg_mio_padre_leone/

MEMORIA

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibi e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani eran quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto,
se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

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Natalia Levi Ginzburg (Palermo 1916 – Roma 1991) «La sua vita ha attraversato eventi storici difficili, pesantissime tragedie personali. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista: continui controlli della polizia, la prigione che tocca diversi membri della sua famiglia, tra cui il padre e alcuni dei fratelli. Sono anni che sintetizzerà bene, in seguito, nel suo “Lessico famigliare” (1963)», Laura Balbo da http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/natalia-levi-ginzburg/

***

La poesia è stata scritta da Natalia Ginzburg qualche mese dopo la morte del marito Leone, avvenuta il 5 febbraio 1944 a Regina Coeli, in seguito alle torture alle quali fu sottoposto dai nazi-fascisti. Fu pubblicata nel dicembre del 1944 su un numero speciale della rivista Mercurio.

Qui di seguito una lettera:

Caro Adriano,

Ti scrivo da Roma. I bambini sono con i miei genitori, a Firenze, da quando è stato assassinato Leone.

Tu, conoscendo a fondo noi e il legame che ci univa, puoi capire il senso di vuoto che provo. Vedo che, attorno a me, gli uomini continuano a vivere, comprano giornali e si procurano di che mangiare. Io sono rimasta lì, vicino al suo corpo freddo, che non mi avrebbe più dato calore, che non mi avrebbe più guardata.

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