di Elena Novati
Così recita Wikipedia: «Il Montefeltro (dal latino tardo Mons Feretri, apparso in età Carolingia) è una regione storica dell’Italia centrosettentrionale a cavallo fra le Marche (a nord della provincia di Pesaro e Urbino), l’Emilia-Romagna (a ovest della provincia di Rimini), la Toscana (a est della provincia di Arezzo) e la Repubblica di San Marino». Ciò detto, potete dimenticarvi il Nord-sud-Ovest-Est (non me ne vogliano retroattivamente gli 883) per dedicarvi a lasciare a casa il navigatore e prendere delle strade a caso, per andare in paesi a caso, guardare rocche a caso. Insomma, un po’ come diceva un ex professore di Psicometria (questa roba piena di numeri: anche a Psicologia esistono e fatevene una – grande – ragione http://it.wikipedia.org/wiki/Psicometria) per spiegare cosa studiasse la statistica, prendete come riferimento questo: il caso (la spiegazione del prof prendeva origine dal criterio di scelta nell’assaggiare un piatto sconosciuto, nello specifico un piatto di cavallette in salsa guacamole, giuro).
È stato un caso quel che mi ha portata a visitare il Montefeltro, a cercare di visitare senza precisa meta i paesini e le rocche che disseminano tutto il territorio e lo rendono tanto simile a un paesaggio da presepe (quei paesaggi in sughero, muschio e legno particolarmente amati dalla mia gatta che infila di regola il muso nella grotta della natività; forse in preda ad una crisi d’identità si sente in dovere di scaldare il bambinello). La passione per il Montefeltro è nata circa tre anni fa, quando mi è stata posta questa domanda: «Vieni a prendere il miele con me in Romagna?». Io, dall’alto del mio carattere tendente all’orso, ho storto il naso pensando (me ignorante, mi cospargo il capo di cenere) di finire su viale Ceccarini a Riccione. Non ho nulla di personale contro viale Ceccarini, anzi sì: io non sono fisicamente in grado di resistere in mezzo alle orde di umanità che vi si riversano. È un deficit mio, mi rendo conto di essere un animale (a)sociale piuttosto eremita, a volte, ma credetemi se vi dico che alcuni anni addietro ho addirittura lavorato sulla riviera che ora rifuggo. Tempi d’oro: ero incosciente. Ed ecco, di nuovo, dicevo di come ci son capitata in queste zone interne della Romagna e delle Marche: dopo aver storto il naso, il mio interlocutore mi ha puntualmente (lo fa spesso) stupita con la descrizione di luoghi che creavano dissonanza cognitiva rispetto alla mia idea di Romagna (leggere: sdraio, lettini, spiaggia popolata da tamarri col borsello e tamarre con gli stivali senza calze stile “indianina”, pronte ad avviare colture di funghi per la sagra del risotto il prossimo autunno). Ad ogni modo, ecco: la Romagna, per il misterioso figuro che mi chiese di andare a comprare il miele, era la zona interna, colline a circa 20 chilometri dalla costa e borghi/rocche a ogni sguardo. Siamo in Valmarecchia, la valle che segue il percorso del fiume omonimo e si spinge fin nell’entroterra riminese, quasi al confine con le Marche: anche questo territorio è parte del Montefeltro.
Qualche nome: Sant’Agata Feltria, San Leo, Torriana, Pennabilli, Verucchio, Maiolo, Urbino, Carpegna, Talamello, Perticara.
So bene che questi nomi potrebbero dirvi poco, perché se si pensa alla Romagna si pensa alla spiaggia coi lettini in fila e alla notte rosa (questa http://www.lanotterosa.it/, ovvero la mia idea di inferno) ma val la pena rischiare un week end in meno sulla costa e spenderlo tra le colline. Verucchio, Pennabilli e San Leo, solo per darvi un’idea del territorio, sono bandiere arancioni del Touring Club Italiano (volete sapere assolutamente di cosa stia parlando, quindi eccovi accontentati coi consigli per i fine settimana: http://www.bandierearancioni.it/; si tratta di un titolo assegnato ad alcuni tra i borghi più belli d’Italia… quindi alzate le chiappe dal lettino e sentitevi liberi di guardare le vigne da bed&breakfast che non vi faranno rimpiangere la “camera vista mare” di una pensione “Rivabella” a caso. Ad esempio, potreste decidere che qui, poco sotto Verucchio, potreste volerci trascorrere molto più tempo di quanto non avreste mai immaginato (vi sfido ad affermare il contrario): questo in foto è uno dei panorami più comuni della zona, tanto per dire.
Cosa consigliare per i luoghi menzionati? Visita ai castelli, primo fra tutti (non me ne vogliano gli appassionati di paranormale) quello di San Leo, con la famosa cella, accessibile solo da una botola nel pavimento, in cui venne rinchiuso il Conte Cagliostro (l’alchimista ed esoterista e imbroglione italiano di origini siciliane condannato dalla Chiesa Cattolica alla prigione perenne per eresia: l’arte di arrangiarsi, tradizione dal 1700); segue il castello di Montebello, dove il fantasma di Azzurrina (credeteci, per favore, altrimenti mi levate la poesia) ne popola le stanze al fine (ipotizzo io) di aggiungere un abitante al totale degli abitanti stabili del paese: si tratta di uno dei Comuni più piccoli d’Italia, una sola unità potrebbe fare la differenza (sia mai volessero invadere la Polonia come da migliore tradizione europea…). Nel frattempo è chiaro vi stiate domandando dove voglia mandarvi a pranzo/cena/merenda: non vi farò patire la fame, d’altra parte ho origini meridionali (non ho ancora raggiunto il livello “ragù alle 6:30”, ma si tratta di un master raggiungibile solo over 70). Se arrivate dalla costa, potete iniziare a gustarvi una bella piada da Casa Zanni, a Villa Verucchio, poco sotto al borgo di Verucchio. Per quanto mi riguarda, la piada di Zanni con squacquerone e rucola, cotta su una delle loro storiche braci, è un’esperienza molto vicina al nirvana gustativo. Non si può parlare di una “piada” qualsiasi, il gusto quasi affumicato, la consistenza ben lontana (per fortuna) dalle tante veline appiccicose o tramutate in craker cui siamo abituati a Milano, la rendono un biglietto da visita ottimo per l’inizio della visita del Montefeltro. Il ristorante Casa Zanni, a onor del vero, è famoso per le tagliatelle al ragù, quindi non mi sento di escluderle dalle menzioni d’onore solo a causa del mio vegetarianesimo (ecco, tanto lo so che cercavate il link: http://www.casazanni.it/, date una chance anche ai loro gelati…). Spingetevi all’interno, verso Talamello (sarete già nelle Marche, per un misterioso disegno dei confini regionali), il paese del formaggio di fossa: lo sapete, vero, di cosa sto parlando? Si tratta di un formaggio stagionato in fosse di arenaria e avvolto in canovacci di cotone (pare sia nato per caso, un po’ come i miei pellegrinaggi per il Montefeltro, qui le sue origini: http://www.comune.talamello.rn.it/fileadmin/grpmnt/5523/IL_FORMAGGIO_DI_FOSSA_DI_TALAMELLO1.pdf). Proprio a Talamello c’è “La Locanda dell’Ambra”, un ristorante specializzato per l’appunto in pietanze a baso di formaggio di fossa: se riuscite a mangiare meno di due piatti di gnocchetti al tartufo nero e formaggio di fossa, sarete i miei eroi per almeno una settimana. Ci vuole stoicismo per resistere davanti a certi capolavori: a me, ovviamente, manca; quindi, nel caso in cui voleste cimentarvi nella sfida-degustazione (menù assolutamente accessibile, il prezzo varrebbe da solo l’ingresso al ristorante, foto a seguire, a riprova della mia affermazione), eccovi il link della felicità (il mio consiglio è di puntare sui primi): http://www.lalocandadellambra.com/it/ristorante.asp . Ed ecco una preview della locanda: amore immediato.
Qui a destra: l’interno della “Locanda dell’Ambra”, Talamello.
Volete forse dimenticare Urbino? Purtroppo noi italiani non siamo dei buoni turisti, perché a giudicare dalle poche presenze nella città dei Duchi di Montefeltro, pare ci interessino molto di più gli acquisti di stivali estivi (l’ossimoro per eccellenza) sul viale Ceccarini. Ad ogni modo: già che ci siamo, per premiarvi della buona volontà dimostrata nel rinunciare a una “vasca” sul viale, vi consiglio di entrare in città dalla Porta di Santa Lucia. Il motivo è presto detto: all’ingresso, in via Bramante, alla vostra destra comparirà una gelateria che potrebbe dare problemi di dipendenza. Si tratta di una bottega artigianale affiliata alla rete dei gelatieri indipendenti (volete sapere di cosa si tratta –non è una domanda- quindi eccovi accontentati: http://gelatieri-indipendenti.com/puro-e-bio , così non rischiate nemmeno di sbagliare strada https://www.google.it/maps/place/Via+Donato+Bramante,+101,+61029+Urbino+PU/@43.7287159,12.6361189,17z/data=!3m1!4b1!4m2!3m1!1s0x132cf8310a43a0c3:0xb3ead954100f2a64 ). Un solo obbligo: provate il loro gelato al gusto “mousse di ricotta” o il loro frozen yogurt con frutta fresca e ditemi se non ne sia valsa la pena (prego dare feedback in calce al post). Il memo visivo qui in basso ha il solo scopo di rendervi succubi del gelato di cui sopra: gelateria via Bramante, gelatieri indipendenti (trigger potente per le vostre papille gustative, segno evidente del comportamentismo vincente).
A Urbino non rinunciate alla visita del Palazzo Ducale (alcune sale sono in restauro, ma non ne perde in fascino): non troverete italiani, perciò non troverete nemmeno i famosi bambini italiani (quelli che generalmente han sempre ragione perché “Poverini, sono bambini…”, nemmeno l’essere piccoli desse diritto al demonio di impossessarsi di certi pargoli). Il Duca di Montefeltro (Federico, per gli amici), al contrario della popolazione italiana media attuale, era un uomo illuminato; questo vuol dire che all’interno del Palazzo Ducale troverete opere del Rinascimento di Piero Della Francesca, Raffaello, Leon Battista Alberti e Giusto di Gand (o Ghent, ma per il Belgio rimando a un altro post) eseguite dal 1444 in poi, anno d’insediamento di Federico.
A destra: il Palazzo Ducale di Urbino, uno scorcio dalla Piazza del Duomo
Bene, è indicativamente il terzo giorno (dicevamo di week end lunghi, ricordate?…), quindi rientrate in zona Verucchio e fate una puntata verso Perticara per trovare del buon miele all’ erba medica (fenomenale sui formaggi, a titolo informativo) dal signor Biordi (vi direi dove sta, ma son gelosa dei miei fornitori fidati) e concludere con una pizza fuori dal comune a Coriano (RN), località San Patrignano. Se vi state chiedendo quello che penso, la risposta è «Sì, la comunità per tossicodipendenti». Qui, da “O’ Malomm” (la pizzeria gestita dalla comunità, nella quale lavorano i ragazzi) potrete mangiare la classica pizza o (consiglio vivamente) provare a fare una degustazione di 2/3 pizze speciali (le chiamano pizze gourmet, sui siti di enogastronomia).
Il mio ragazzo soffre dello spauracchio “Le erbe di campo”, l’unica pizza che è impossibile io non ordini: impasto di grano spezzato, mozzarella fiordilatte, erbe di campo macerate nel sale di Cervia, ricotta neutra e polvere di agrumi; ovviamente in menù ci sono una serie di pizze speciali per mettere d’accordo tutti, ma il mio primo amore rimane lei (per il resto, mi ritengo democratica: lascio libera scelta ai commensali nella scelta delle restanti pizze). L’unico neo imputabile a “O Malomm” è la fugacità del tempo che improvvisamente corre di più. Il servizio – nota dovuta ai ragazzi che ci lavorano – è gentile ma non ossequioso, preciso e preparato, perché non esiste uno solo dei camerieri di sala che non sappia di cosa stia parlando mentre spiega cosa state per assaggiare. Ho visto solo un cliente scontento, ma credo fosse scontento della vita: non puoi chiedere al cameriere di fermarsi al tuo tavolo per raccogliere il tovagliolo che tu non riesci a raggiungere, razza di panzone ignorante, perché il tuo stomaco ti impedisce di muoverti meglio di un t-rex. Ciò detto, elargisco un’ultima volta un link per consigli culinari (pronto in tavola: http://spaccio.sanpatrignano.org/pizzeriapiadineria, scaricate i menù) e vi invito a sfidare la mediocrità e raggiungere la misteriosa Terra di Mezzo che si colloca tra l’ultima fila di lettini da spiaggia e le colline. Troverete qualche olandese, alcuni francesi e qualche belga in vacanza: portano i sandali con i calzini, ma sono turisti affidabili.