«Pausa! Ci vuole una pausa»

di Luca Bartolommei

animalsLeggo con attenzione il post “Brahms e il respiro” di Sergio Angelo Picchioni e lo sguardo cade, e si ferma, su questa frase: «Certo, amico mio» azzardai allora «del resto nella musica il respiro è tutto, così come nel canto».

Ahhh, il respiro… argomento che mi interessa molto.

Mi piace il respiro dato dalla dinamica del suono, dall’alternanza, dal susseguirsi di piani e forti, pianissimi e fortissimi, crescendo e diminuendo. Il suono che arriva quasi a spegnersi in sussurro, la frase musicale ripetuta a volumi diversi, come fanno i bambini quando non li ascolti con l’attenzione che sempre meritano, e che alla fine urlano.

Dico sempre alle mie giovani allieve e ai miei allievi che la musica è fatta di suoni, sì, di note, va bene, ma anche, secondo me soprattutto, di pause.

Amo le pause. Amo il respiro delle pause.

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Luca Bartolommei fotografato da Elena Brunazzo durante un concerto degli “On the run – Pink Floyd Tribute Band

La pausa quando arriva, arriva, il compositore deve stare ben attento a non far soffocare la soprano, quelle brave respirano e manco te ne accorgi, si prendono anche qualche piccola libertà, deve anche pensare che il trombonista, così come il chitarrista, non può suonare note a cascata e sostenerle all’infinito. Pausa! Ci vuole una pausa.

Se la pausa è breve può creare scompiglio nella ritmica, è come un singhiozzo o un colpo di tosse che può sembrare inatteso, invece è stata messa lì proprio per svolgere il suo compito destabilizzante, ti sveglia, alternata alle note, uno starnuto ripetuto non sonoro e non suonato, un’irregolarità su una superficie che te ne fa apprezzare, invece, la regolarità.

La pausa lunga è attesa. Musica che va diminuendo, siamo al pianissimo, pausa lunga… e qui può succedere di tutto. Dalla deflagrazione, con l’orchestra, o il gruppo rock (mica parliamo solo di musica classica) che parte a tutta, al singolo strumento che, solitario nel silenzio degli altri, detta il prossimo tema da sviluppare.

Il respiro nel canto, non solo nel cosiddetto bel canto mi fa subito pensare alle canzoni. Lieder, romanze, arie, chiamiamole come ci piace e ci pare, alla fine sono canzoni, sia che canti il tartaro Calaf , sia che canti Ziggy Stardust, che invece arriva dallo spazio. Canzoni quindi, testo e musica.

E qui viene il bello. L’importanza di dare respiro, aria, anche nel testo, non solo nella musica. Musicare un testo pensato solo come tale può dare dei risultati sconfortanti, bei versi appunto, ma la canzone non funziona, bel libretto, ma che fatica per tirarci fuori una romanza, per contro, bella musica ma con quel testo proprio non gira.

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‘The Wire Cow’, artwork for 40th anniversary of ‘Atom Heart Mother’, 2009. © Pink Floyd Music Ltd. «The first international retrospective of one of the world’s most iconic and influential bands»

Come disegnare un gioiello stupendo che però sarà quasi impossibile realizzare. Serve, ha un senso, al di là dell’esercitazione estetica?

Questa del respiro nel testo l’ho ascoltata raccontare anche (sic) da un signore che, come autore di testi e musiche, e da musicista, in quasi 50 anni di carriera, ha venduto un paio di centinaia di milioni di dischi, di cui circa 90 con un solo LP. Roger Waters ha scritto delle canzoni più o meno memorabili, più o meno amate, più o meno conosciute, ma tutte con un equilibrio testo/musica raro da incontrare. Un uso della dinamica e un dosaggio di pause e parole, pause e note, che fanno dei suoi brani degli esempi, dei punti di riferimento. Poi le sue canzoni le suonava con i Pink Floyd, ma questo è un altro discorso. Pausa!

Io ho ascoltato, nella mia vita, di tutto, ora sono diventato pigro, ma c’è un brano che ad ogni ascolto, da più di quarant’anni, come diciamo a Milano, me faa vegnì la pell de cappon, ebbene si intitola Breathe. What else?

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