«È la prepotenza che ha fatto abbassare l’asticella del sentimento di umanità»

«Ma in questo nostro mondo esistono cose intollerabili. Per accorgersene occorre affinare lo sguardo, scavare. Ai giovani io dico: cercate e troverete. L’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti, dire: «Io che ci posso fare, mi arrangio». Comportandoci in questo modo, perdiamo una delle componenti essenziali dell’umano. Una delle sue qualità indispensabili: la capacità di indignarsi e l’impegno che ne consegue».

(Indignatevi!, Stéphane Hessel)

Premio Pulitzer da Repubblica. it

«Foto di Yannis Behrakis (Reuters) 11 agosto 2015. Un gommone al tramonto pieno di profughi siriani alla deriva nelle acque del Mar Egeo, tra Grecia e Turchia, dopo un’avaria al motore al largo dell’isola di Kos. Il New York Times e l’agenzia Reuters hanno vinto il premio Pulitzer per la sezione fotografica Breaking News grazie agli scatti con cui hanno raccontato la crisi dei migranti in Europa». (da http://www.repubblica.it)

di Erica Sai

Non c’è bisogno di affinare troppo lo sguardo, ahimé, per accorgersi di quante cose intollerabili accadono intorno a noi. E non è necessario neanche, doppio ahimé, per rendersi conto di quanta indifferenza soffoca il mondo.

Concentrandoci sul macro-fenomeno dell’immigrazione in Europa, quindi dei flussi migratori da Paesi extraeuropei, si apre un enorme libro di indignazione e indifferenza.

Da indignata, trovo che l’Europa dovrebbe riflettere un po’ su se stessa perché, come ben scrive l’antropologa Amalia Signorelli, «ad onta delle sue orgogliose e miserabili rivendicazioni del ruolo di culla della civiltà, dell’arte, della filosofia, del diritto, della scienza e di tutto il resto che dovrebbe distinguere l’uomo dalla bestia, si sta rivelando incapace, ipocrita, immorale, feroce».

I punti, comunque, sono molteplici e vanno dalle responsabilità materiali che il mondo occidentale ha, alle dinamiche di gestione ed all’abbassamento nella società dell’asticella del sentimento di umanità.

Guardiamo quali grandi contraddizioni esistono sulla questione dell’aiuto e del fermare i flussi. L’aiuto con qualche missione di emergenza umanitaria non risolve il problema e i flussi, checché se ne dica, non si possono fermare su due piedi. La verità è che bisognerebbe cambiare l’intero sistema perché le persone possano rimanere, in gran parte e più tranquille, nelle proprie terre. Ma chi vuole davvero fermare l’industria della guerra? Chi vuole davvero rinunciare allo sfruttamento delle risorse che genera denaro? Chi vuole rinunciare ai privilegi del mondo ricco?

la-nostra-africa

«Questa è una raccolta di disegni che racconta i Paesi che ci portiamo dentro. Siamo un gruppo di richiedenti asilo africani. Veniamo da Gambia, Mali, Senegal, Somalia. Abbiamo cominciato a disegnare nella scuola di italiano del centro di accoglienza di Casale San Nicola, a Roma». “Aiwa. La nostra Africa”, a cura di Daniela Morandini (Le strade bianche di Stampalternativa) sarà presentato sabato 4 marzo 2017, alle ore 17, nella sala conferenze Benedetto XIII dell’Istituto San Gallicano a Trastevere (http://www.stradebianchelibri.com/aiwa.html)

Esiste uno squilibrio strutturale che porta inevitabilmente a flussi migratori verso l’Europa, di cui siamo a conoscenza da molto tempo (o almeno lo è chi vuole esserlo) e che è ridicolo associare al termine emergenza. Questo squilibrio, con migrazioni annesse, non potrà fare a meno di esistere fino a che l’Occidente persisterà nell’attaccare quei Paesi attraverso lo sfruttamento dei quali esso può continuare a mantenere il triste primato di minoranza che utilizza la grande maggioranza delle risorse del mondo. Se non saremo noi europei, noi occidentali, a mettere un freno al processo, lo squilibrio comunque prima o poi esploderà portando le cose ad una misura diversa, più giusta potremmo dire, con l’azione di chi dall’altra parte dello squilibrio sta.

Leggo su internazionale.it che, nonostante gli accordi di settembre 2015 per un piano di ricollocamento di 66.400 richiedenti asilo arrivati in Grecia, soltanto 325 profughi sono stati spostati in altri Paesi dell’Unione. È solo un numero, tra i tanti, che fa riflettere su quanto l’Unione Europea sia davvero unione. Si parla di stanziamento di denaro per i Paesi che più si occupano della gestione dell’immigrazione, si spera dia buoni frutti anche se pare sia già inferiore a quello che la Grecia richiede per far fronte alla situazione attuale carica di problemi. Gli sbarchi nei primi due mesi del 2016 sono aumentati di trenta volte rispetto allo stesso periodo nel 2015. Intanto, i paesi sulla rotta balcanica stanno conducendo politiche di controllo estremo (praticamente chiusura delle frontiere) che, oltre a provocare enormi sofferenze per i migranti fermi in Grecia, violano il diritto internazionale ed europeo. Nei giorni più difficili dei blocchi alle frontiere macedoni, si sono viste scene alle porte della “civile” Europa che si pensava di poter relegare nel dimenticatoio del passato o di qualche luogo sperduto del mondo.

Fuocoammare da www.maredolce.com

Un’immagine da “Fuocoammare” di Francesco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro al Festival internazionale del cinema di Berlino. Il documentario racconta con dolente sensibilità gli sbarchi sull’isola di Lampedusa e insegna a guardare i migranti con umanità e compassione. Imperdibile (foto da maredolce.com)

È terribile, poi, che nella società ci sia un disorientamento attivo delle persone e una grande disinformazione riguardo l’identità, in un certo senso, dei migranti. Disinformazione e indifferenza.

Con disorientamento attivo intendo riferirmi a quei professionisti della mala-politica che arraffano voti al prezzo di imbarbarire la società. Si portano le persone a concentrarsi su ciò che l’outgroup (come si direbbe in Psicologia sociale per indicare chi è visto parte di un gruppo diverso dal proprio) sottrae all’ingroup ragionando in termini di autoctono contro straniero. Così si punta su quello che lo straniero toglie all’autoctono, attraverso le risorse impiegate in accoglienza; l’ingroupoutgroup, invece, potrebbe strutturarsi in modo diverso, volgendo lo sguardo a quante risorse vengono buttate in cose futili o dannose, abbassando le possibilità di uno stato sociale migliore per tutti (immigrati e non!).

L’aspetto più deleterio è la non riflessione su chi sono le persone che migrano, perché lo fanno, da dove arrivano. La deumanizzazione è sempre più nell’aria ed essa passa attraverso la volontà di non soffermarsi sul dare un nome alle storie, alle vite.

Gran parte delle persone che vediamo attraversare il mare, la terra, il deserto, scappa da situazioni di guerra, di dittatura, di feroce povertà. Non solo dalla Siria, per la quale c’è percezione maggiore di zona di guerra, ma anche dall’Africa. Vogliamo non sapere cosa succede in Africa e invece dobbiamo, anche perché abbiamo responsabilità. Dall’Eritrea, per esempio, le persone scappano per evitare una dittatura che obbliga al servizio militare dai 15 anni e praticamente per tutta la vita, a costo di correre il rischio di essere catturati alla frontiera con il Sudan e uccisi all’interno di container come in forni. So da testimonianze dirette che in Sudan le città sono centri di raccolta a cielo aperto di persone che sperano in un futuro (sistematicamente distrutto dal proprio governo con la violenza) e da persone provenienti da altri Stati africani. Da qui ogni giorno partono camion carichi di esseri umani disperati che decidono di affrontare la traversata del deserto, dove spessissimo si muore, per arrivare in Libia e da lì imbarcarsi per l’Europa. Persone che pagano migliaia di euro a trafficanti anche con l’aiuto di decine di altre famiglie che, per tentare di dare speranza a uno di loro, si riuniscono e raccolgono il denaro per finanziare le traversare che spesso – come in queste ore – diventano stragi silenziose.

In tutto questo quadro, risulta decisamente ipocrita fare la differenza tra rifugiati politici o di guerra e migranti economici. I confini si confondono. Con quale diritto pensiamo di poter dire che un migrante economico non debba essere accolto, quando nella condizione di migrare lo abbiamo messo noi, con le politiche scellerate di sfruttamento del passato e del presente? Con quale diritto lo pensiamo, quando ci comportiamo da padroni del mondo e per fare i nostri interessi crediamo di poter disporre e scompigliare le carte in tavola come più ci aggrada? Con nessun diritto, se non quello dell’ipocrisia e della prepotenza.

AGGIORNATO IL 27 FEBBARIO 2017

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