“Smuggling”, la parola orribile dei trafficanti di esseri umani

di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci

traffico

I principali Paesi di origine del traffico di esseri umani (fonte http://www.camera.it/)

Lungo le rotte dell’immigrazione, collocati in punti nevralgici e strategici, esistono tanti «area manager» che coordinano le fasi del traffico. Non sono i manovali dello smuggling (attività che indica il diretto trasporto o accompagnamento dei migranti attraverso le frontiere, ndr), non sono quelli che fanno il lavoro sporco. È una catena di individui indipendenti che interagiscono tra loro. Questi area manager negoziano direttamente le attività necessarie con fornitori locali di servizi che risiedono nei paesi di transito. Garantiscono prestazioni come un passaggio in auto, una sosta di un mese in un appartamento in attesa di un passaporto falso, la corruzione di un agente di frontiera. Questa figura e il migrante hanno spesso la stessa origine etnica.

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«È la prepotenza che ha fatto abbassare l’asticella del sentimento di umanità»

«Ma in questo nostro mondo esistono cose intollerabili. Per accorgersene occorre affinare lo sguardo, scavare. Ai giovani io dico: cercate e troverete. L’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti, dire: «Io che ci posso fare, mi arrangio». Comportandoci in questo modo, perdiamo una delle componenti essenziali dell’umano. Una delle sue qualità indispensabili: la capacità di indignarsi e l’impegno che ne consegue».

(Indignatevi!, Stéphane Hessel)

Premio Pulitzer da Repubblica. it

«Foto di Yannis Behrakis (Reuters) 11 agosto 2015. Un gommone al tramonto pieno di profughi siriani alla deriva nelle acque del Mar Egeo, tra Grecia e Turchia, dopo un’avaria al motore al largo dell’isola di Kos. Il New York Times e l’agenzia Reuters hanno vinto il premio Pulitzer per la sezione fotografica Breaking News grazie agli scatti con cui hanno raccontato la crisi dei migranti in Europa». (da http://www.repubblica.it)

di Erica Sai

Non c’è bisogno di affinare troppo lo sguardo, ahimé, per accorgersi di quante cose intollerabili accadono intorno a noi. E non è necessario neanche, doppio ahimé, per rendersi conto di quanta indifferenza soffoca il mondo.

Concentrandoci sul macro-fenomeno dell’immigrazione in Europa, quindi dei flussi migratori da Paesi extraeuropei, si apre un enorme libro di indignazione e indifferenza.

Da indignata, trovo che l’Europa dovrebbe riflettere un po’ su se stessa perché, come ben scrive l’antropologa Amalia Signorelli, «ad onta delle sue orgogliose e miserabili rivendicazioni del ruolo di culla della civiltà, dell’arte, della filosofia, del diritto, della scienza e di tutto il resto che dovrebbe distinguere l’uomo dalla bestia, si sta rivelando incapace, ipocrita, immorale, feroce».

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«Cécile è la speranza delle seconde generazioni»

di Cheick Tidiane Gaye*

Ho avuto modo nel mio ultimo libro, Prendi quello che vuoi, ma lasciami la mia pelle nera (edizione Jaca Book 2013, con prefazione di Giuliano Pisapia) di evidenziare che «L’uomo abita dove vive e non dove nasce». Non è una frase buttata lì così per fare retorica, come fanno i politici di oggi, ma un concetto molto sostanziale in una realtà di globalità planetaria che sta attraversando l’umanità. Non accetto che la stampa chiami Cécile la “donna di colore”. Lei è la nera italiana, orgogliosissima di essere italiana e fiera delle sue radici congolesi Continua a leggere

Le finte primavere arabe delle donne

di Valeria Palumbo*

Il Cairo

Un’immagine da “La vallée du Sel” di Christophe M. Saber, in programma al Milano Film Festival che si terrà nel capoluogo lombardo dall’8 al 18 settembre 2016. Il film è «ambientato nel bel mezzo del momento politico peggiore dell’Egitto, quando un giovane regista torna a casa a Il Cairo, per la prima volta dall’inizio della rivoluzione, e guarda i suoi genitori fronteggiare una situazione che metterà in crisi la loro fede» (http://www.milanofilmfestival.it/)

Ottimiste. È il meno che si può dire. Adesso che nessuno osa più parlare di Primavere arabe (anzi, il settimanale tedesco Der Spiegel titola esplicitamente “L’inverno arabo”), perfino chi si era dilungato a raccontare delle donne protagoniste delle proteste, dalla Tunisia all’Egitto, dallo Yemen alla Siria, tace sbigottito. Dov’era il trucco? Mentre scrivo i (minoritari) sostenitori di uno Stato laico e i Fratelli musulmani si fronteggiano in Egitto; la Siria, schiacciata dalla guerra civile, assiste all’avanzare di gruppi ribelli integralisti; la Tunisia difende a stento le sue antiche conquiste laiche, soprattutto a favore delle donne, davanti a una crisi economica che si fa sempre più grave. L’Algeria, nelle elezioni locali di fine 2012, ha rinnovato la fiducia al Fronte di liberazione nazionale, ma nessuno è disposto a credere alla libertà di quei seggi. E il gran numero delle candidate proposte è stato visto soltanto come uno specchietto per le allodole. Della Libia non parliamo nemmeno: una brutta guerra tra clan rivali… è rimasta una brutta guerra tra clan rivali. Insomma è tramontato un sogno.

Sempre che il sogno che covava sotto la cenere delle dittature fosse quello di democrazie laiche e liberali, sia pure di stampo “islamico”. L’impressione è che ci fossimo sbagliati. Non solo noi occidentali. Ma anche quelle minoranze laiche e acculturate del mondo musulmano che, dal 1979 in poi, ovvero dalla rivoluzione oscurantista di Khomeini (appoggiata con speranza da molte donne), non hanno fatto bene i conti con la realtà e i radicatissimi valori delle loro masse.

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Libia: ”Ho visto donne uccise mentre offrivano acqua”

Un testimone da Bengasi: “I cecchini sparavano a vecchi e bambini in strada”. “In una notte ci sono stati 70 morti: ne hanno uccisi 50 all´ospedale militare”. “Avevamo rubato le armi all´esercito, ma ora è schierato con noi e le abbiamo restituite” – di Laura Pertici
«Devo dirvi una cosa tremenda. Sono state uccise delle donne. Hanno sparato alle donne che erano affacciate alle finestre, che dai balconi davano l´acqua a chi manifestava in strada. Queste donne sono morte per la libertà di Bengasi e della Libia intera» Continua a leggere

La velina islamica

di Gad Lerner

Ci mancava la velina islamica, dopo la donna tangente. Degna commistione fra due paesi mediterranei diversamente retrogradi, ma entrambi contraddistinti dall´abitudine a trattare la femminilità come ornamento del potere. Continua a leggere