La bellezza della Basilicata grida aiuto contro le trivellazioni

di Rosalba Griesi

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Il magnifico paesaggio della Basilicata fotografato dall’autrice del post

Era una festa! I tini in zinco fuori dalle porte, lungo la strada, riempiti d’acqua, secchio a secchio dal rubinetto di casa e i manti in lana di pecora lasciati in ammollo. Così, si aprivano i materassi, di questi tempi, quando gli uomini si apprestavano alla mietitura, quando il sole splendeva caldo e pungente dall’alba sino al tramonto, quando i girasoli gli facevano capolino con le loro buffe faccette, quando le garrule rondini sfrecciavano nel cielo terso.

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Rosalba Griesi (foto dal suo profilo Facebook). Ha appena pubblicato la raccolta poetica “Nicol, ali di farfalla”, LuoghInteriori

Io ero poco più di una bambina, ma il ricordo è nitido, vivo nella mia mente di donna ormai matura. Nonna Peppa mi diceva che poi, a un certo punto della tua vita, ogni cosa si filtra e torna a galla, cose belle e cose brutte, a seconda di ciò che hai vissuto… senza dubbio sia l’uno che l’altro, visto che della vita tutto occorre prendere.

Io insieme alla ciurma di bambini, sì perché prima, una volta di bambini ne nascevano, da mamme ventenni e anche meno, corteggiavo quei tini più alti di noi. Qualcuno si arrampicava persino, per toccarla quell’acqua e schizzarla e finiva poi per immergersi a testa in giù col rischio di affogare…Tant’è che nei pressi dei tini vi era a guardia sempre una donna vestita di nero che ci urlava dietro: «Via bambini, andate via, lontano, a giocare».

Ma noi eravamo come le api sui fiori e sempre pieni d’acqua e schizzi.

Rivedo le schiene piegate a lavare quei manti che nell’acqua diventavano piombo. Rivedo le braccia con le maniche rimboccate ai gomiti, salde nell’andirivieni energico dello sfregare. Risento le voci squillanti delle mamme che chiacchieravano e cantavano al battito delle mani sulla strcator, un’asse in legno con scanalature, dove la lana veniva passata per la pulitura. Le strade del paese vecchio erano, e lo sono ancora, strette con case a piano terra e “mugnale” allineate come i soldatini di piombo una di fianco all’altra e schierate una di fronte all’altra. Auto ce n’erano poche, vedevo passare la Vespa, che era già una fortuna possederne una. La strada quindi era interamente nostra e di tutto il vicinato che pareva una grande famiglia, visto che insieme si decideva di svolgere quei lavori. La vita scorreva fuori dall’uscio, all’aperto, come in un grande parco.

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Un’altra immagine della campagna intorno a Palazzo San Gervasio, paese in provincia di Potenza in cui Rosalba risiede

Dopo il lavaggio si passava al risciacquo. La strada odorava di bucato, e gli enormi tini del lavaggio venivano svuotati e abbondanti rivoli d’acqua scorrevano per la strada e a noi sembravano fiumi per tuffarci dentro i piedi scalzi. Da un mugnale all’altro venivano stese delle funi che servivano per appendere i manti e metterli ad asciugare. Per giorni rimanevano stesi. A sera venivano ritirati per timore che qualcuno di passaggio ne facesse man bassa, al mattino riapparivano sulle funi come bandiere bianche al vento, come vessilli di legionari, come a indicare la forza e la potenza delle donne di quella strada. Era tale la magia di quel rituale che si sopportavano con piacere le notti a dormire sul materasso di riserva oppure sulle reti scarne… o sulle tavole addirittura… Bisognava far presto e risistemarlo. Le donne a bande, ancora a colpi di braccia, riassettavano quella lana candida dentro ai sacconi di tela grezza di Sassonia e la fermavano col filo di cotone spesso, infilato nell’ago grande che trapassava da sopra a sotto il materasso. A lavoro terminato si spostavano tutte insieme nelle altre case per eseguire lo stesso lavoro. Alto e soffice il materasso era pronto per il tuffo di prova. La ricordo ancora quella sensazione di morbidezza, di calore e di amore simile alle braccia materne.

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La protesta dei lucani contro le trivellazioni che mettono a rischio il vero “petrolio” della regione: l’integrità del paesaggio (foto da Il Quotidiano della Basilicata)

Abito ancora in quella strada e oggi attraversandola, come spesso faccio a piedi, ho rivisto per un attimo quella donna vestita di nero, seduta fra i tini a far la guardia. Ho camminato a lungo fino al belvedere e ho ammirato i campi biondi che stridono col verde degli alberi, quei campi che ora vogliono trivellare alla ricerca di un presunto giacimento di petrolio… Perché, mi chiedo, oltraggiare ancora la nostra terra?

L’hanno chiamato progetto “Palazzo San Gervasio”, 561 chilometri quadrati dell’Alto Bradano, tutti a vocazione agricola, vigneti pregiati di Aglianico, multi culture tra pomodori, ortaggi, cereali, da trivellare… La società statunitense AleAnna Resources LLC che insiste e punta la Basilicata… come se non avesse già dato con i pozzi della Val d’Agri, con l’inceneritore della Fenice… con l’alto tasso di mortalità per tumori… E i nostri politici?

Quella donna vestita di nero sarà ancora là, penso tornando a casa, a vegliare su quei tini e a scacciare i pericoli, quei vessilli bianchi occorrerà issarli, a difesa del bene più prezioso: la nostra terra, la cui atavica voce invoca, ora più che mai, aiuto.

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