di Paola Chiavari Pignataro*
All’Abbadia di Fiastra Terza PETRINI ci riserva una piccola sorpresa: conosce la canzone di Pacì de lu steru! Ma perché l’ha sentita cantare tante volte da suo padre e direttamente anche da Pacì, quando passava a casa loro, con un gran cesto sotto il braccio… Quello che conosciamo; ma la canzone? Eccola! Terza comincia a canticchiarla: Il 28 d’aprile successe un gran miracolo… e qui, ahimé!, si ferma anche lei. Sicuramente questo sarà stato il verso più facile, ma possibile che insistendo…? Prova e riprova; infine rinuncia e conclude: insomma, che fu un gran miracolo, fu un gran miracolo! Lo sa bene perché glielo raccontava il padre Remigio, che nel 1893 aveva undici anni e la sera del 28 aprile si era recato a Urbisaglia insieme ai genitori e alla sorella. Su per la salita il sole bruciava, faceva un gran caldo, si sudava e della nuvoletta che vedevano sopra le loro teste si diceva che era tutto fuoco e non sarebbe piovuto. E invece… venne la pioggia, ma tanta tanta, che Fiastra e l’Entogge non si potevano più oltrepassare. Così Remigio con i suoi, e come tanti altri, dovette trascorrere la notte in paese, rifugiandosi presso una parente e solo all’alba del giorno dopo poté incamminarsi
verso casa. A tanti anni di distanza, Remigio aveva ancora negli occhi l’immagine della madre che, camminando, teneva su con le mani la sottana e il bianco sottanino per schiavare le “pantane”. Da quella volta non mancò mai di recarsi, con tutta la famiglia, alle funzioni serali per la festa del Sacro Cuore. Oggi è andata un po’ giù, è meno sentita: sarà per la televisione e per le discoteche?, chiede. Se pioveva, come capitava spesso, si partiva per tempo; se era bello e si stava pei campi a levar l’erba dal grano, certo si faceva più tardi, ma la processione e la predica non si perdevano mai.
È vero, conferma Maria CALZETTI (92 anni), ripensando anche lei con nostalgia alle feste degli anni passati, quando era una ragazzina e Parroco di Urbisaglia era don Filippo Caraceni. Le funzioni religiose erano affollate, però i contadini le avrebbero desiderate a un’ora più tarda. Ma su questo, niente da fare, don Filippo era irremovibile, perché diceva: quando è notte si deve stare tutti a casa e specialmente la gioventù! Mica come adesso… Così mentre le messe si dicevano al mattino, di pomeriggio, verso le diciassette, le diciassette e trenta, si iniziava con la recita della Coroncina del Sacro Cuore, poi seguivano la processione, la predica e la benedizione. E oltre a questo? Che altro c’era? Beh, intanto al mattino si mettevano in piazza le bancarelle: si vendevano palloncini e girandole, noccioline americane, teche marine (carrube), cinque soldi una teca!, semi di zucca salati e abbrustoliti da mangiare passeggiando su e giù per il corso… e in quel passeggio, quanti incontri, quanti corteggiamenti!
Si intromette nel discorso Pia SALVUCCI (94 anni), perché, sa, di altre occasioni per queste cose mica ce ne sono tante! E poi, continua Maria CALZETTI, c’era la Banda musicale, che prima suonava in processione e poi sulla piazza, dove si faceva anche la tombola… Per la tombola si metteva un gran cartellone su un palco sistemato proprio davanti all’attuale negozio Tartarelli; e qualcuno, dal balcone sovrastante, annunciava a gran voce i numeri estratti. Qui Pia, a ricordare la voce strascicata di un certo Picò che si sgolava: numeroooooo…, non si trattiene dal ridere. E i premi? Adesso va a sapere…, però il primo era quasi sempre una bicicletta. A concludere il tutto c’erano i fuochi artificiali, ma presto, eh!, presto, verso le undici finivano, perché di notte… a casa tutti, per amor di Dio!
* Paola Chiavari Pignataro è autrice di esilaranti commedie in dialetto maceratese. Cultrice di storia locale, ha curato il volume “Centenario della festa del Sacro Cuore di Gesù. Urbisaglia 1893-1993”, da cui è tratto il brano che vi proponiamo. I suoi compagni di viaggio nella raccolta delle testimonianze scritte e orali del miracolo della pioggia, tuttora celebrato nello splendido paese cantato da Dante (e che incidentalmente mi ha dato i natali), sono: Don Quinto Farabolini, Pino Ferranti, Betto Salvucci. Le foto provengono da Siro Buccolini, da Giuseppe Camacci, dall’archivio di Betto Salvucci e dalla collezione di Roberto Cruciani. Sfoglia che ti sfoglia, in quella qui accanto sono sbucata io in mezzo alla folla. O, per lo meno, le assomiglio come una goccia d’acqua. Una prova, ma non ce n’era bisogno, della necessità antica e radicata di essere sempre tra le donne della realtà. A cominciare da quelle di Urbisaglia. Vedi qui:
– Quel filo sottile della memoria
– «Amo di più le tue rughe, che lo splendore della giovinezza»