«Certamente, noi roviniamo il paesaggio»

di Jean-Dominique Bauby*

Mariagrazia Iannone, foto 1

Maria Grazia Iannone è infermiera e lavora nella cooperativa “ABC Zeta” di Milano. Per noi ha scelto questo brano dal libro “Lo scafandro e la farfalla” che recensirà nel prossimo post (la foto è di Giovanni Auletta)

Dopo aver ospitato alla fine della guerra le piccole vittime delle ultime stragi della tubercolosi, Berck ha abbandonato a poco a poco la sua vocazione per l’infanzia. Al giorno d’oggi vi si combattono piuttosto le miserie dell’età, l’inesorabile decadenza del corpo e dello spirito, ma la geriatria è solo una parte dell’affresco che bisogna dipingere per avere un’idea esatta della clientela dell’istituto. A una estremità del quadro ci sono una ventina di coma permanenti, poveri diavoli tuffati in una notte senza fine, alle soglie della morte. Non lasciano mai la loro camera. Tutti sanno che ci sono e hanno un peso curioso sulla collettività, come una coscienza sporca. All’altra estremità, accanto alla colonia dei vecchietti senza famiglia, si trova qualche obeso dall’aria stravolta al quale la medicina spera di ridurre le considerevoli misure. Al centro un impressionante battaglione di sciancati forma il grosso della truppa. Superstiti dello sport, della strada, di ogni tipo di incidente domestico possibile e immaginabile, transitano a Berck giusto il tempo di rimettere a nuovo i loro arti spezzati. Io li chiamo i «turisti».

Infine, se si vuole che questo quadro sia completo, bisogna cercare un angolo dove mettere noi, volatili dalle ali spezzate, pappagalli senza voce, uccelli del malaugurio che abbiamo fatto il nido dentro un corridoio senza uscita del reparto di neurologia. Certamente, noi roviniamo il paesaggio. Conosco fin troppo bene il leggero imbarazzo che provochiamo quando attraversiamo, rigidi e silenziosi, un gruppo di malati meno sfortunati.

Per osservare questo fenomeno, la postazione ottimale è la sala di fisioterapia, dove si mescolano tutti i pazienti che seguano una rieducazione. È una vera corte dei miracoli rumorosa e colorata. In un fracasso di stampelle, di protesi e di apparecchiature più o meno complesse, si passa accanto a un ragazzo con l’orecchino che si è fracassato in moto, a una nonnina in tuta fluorescente che dopo una caduta da una scaletta impara di nuovo a camminare e a un barbone che nessuno ha ancora capito come sia riuscito a farsi strappare un piede dal metrò. Questa umanità in fila indiana agita gambe e braccia sotto una sorveglianza rilassata intanto che io sono sistemato su un piano inclinato che viene portato progressivamente in posizione verticale. Ogni mattina passo così una mezz’ora in sospensione, in uno ieratico attenti che evoca l’apparizione della statua del Commendatore nell’ultimo atto del Don Giovanni di Mozart. Di sotto, si ride, ci si diverte, si parla. Mi piacerebbe prendere parte a tutto questo divertimento, ma quando volgo il mio unico occhio verso di loro, ragazzo, nonnina e barbone girano tutti la testa e provano un bisogno impellente di contemplare il sistema antincendio fissato sul soffitto. I «turisti» devono avere molta paura del fuoco.

*Due pagine da “Lo scafandro e la farfalla”, autobiografia di Jean-Dominique Bauby che nel 1995, dopo un ictus, ha perso le proprie facoltà motorie, restando mentalmente integro ma prigioniero del proprio corpo (Ponte alle Grazie, 2015). Questo brano, che richiama purtroppo anche la sofferenza dei malati di Sla, è stato scelto per noi da Maria Grazia Iannone, giovane infermiera appassionata del proprio lavoro, che nel post successivo recensirà il libro. Benvenuta! 

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