Mariagrazia ci ha raccontato con ironia la lotta interiore per uscire integra dalla degenza in un centro di riabilitazione geriatrico. Lo ha fatto distanziando la propria sofferenza da sé e usando quella stessa fantasia dei bambini quando si inventano un amico immaginario. Lei, in quei giorni nei quali sarebbe bastato un niente per farsi agguantare dallo stereotipo dell’anziano non autosufficiente, ha rispolverato la “signora Vecchiottina” un alter ego che viene da lontano. Ecco da dove. (p.c)
Molti anni fa, quando la mia nipotina Sara aveva tre o quattro anni, mi trovavo davanti a lei a impartirle con voce pacata ma seria una lezioncina di bon ton.
Guardavo il suo visetto compunto e intanto mi chiedevo se mi stesse ascoltando e se un domani avrebbe ricordato quello che le stavo dicendo.
A un certo punto, guardandomi intensamente e alzando un ditino mi disse, con tono fiducioso: «Nonnina, tu che sei un poco vecchiottina…».
No, Saretta non mi stava a sentire per niente.
Ma che tenerezza quella parola “vecchiottina”!
Certo per lei ero “vecchia”… Ma perché offendermi? E quindi guidata dal suo grande affetto per me, addolcì il termine in “vecchiotta”… Ma per lei io ero “nonnina” e quindi io ero “vecchiottina”.
Il termine “vecchiottina” mi conquistò il cuore.
E lì nel cuore per tanto tanto tempo lo tenni racchiuso come in una scatolina preziosa.
Così piano piano, con l’andare degli anni, la parola diventò parte di me e si trasformò in personaggio, e sulle spalle della “signora Vecchiottina”, vecchina svelta svelta, che pretende di essere indipendente, che combina un bel po’ di guai ed è la disperazione di figli e nipoti, appoggio se non addirittura rovescio le mie paure, le mie preoccupazioni e talvolta le mie delusioni… dalle quali, però, proprio perché la signora Vecchiottina è a mezza strada tra “io” e “lei”, riesco sempre a riprendermi.
… Sì… voglio bene alla mia signora Vecchiottina!