di Mariagrazia Sinibaldi
Quando la signora Vecchiottina arrivò in macchina, dall’ospedale Galeazzi, (dove si era tanto divertita) alla struttura nella quale avrebbe soggiornato fino alla completa rimessa in funzione del suo bionico ginocchio al titanio, fu presa da un attacco di autentico terrore: sul fronte della struttura, grande, immensa, incombente come il peccato originale, trionfava la scritta : polo geriatrico riabilitativo. Che gliene importava a lei, signora Vecchiottina, delle parole “polo” e “riabilitativo”? Era quella parolaccia che c’era in mezzo, quella sì che era una pugnalata al cuore! Geriatrico…, geriatrico a me, pensava la nostra signora inferocita… Non che non sapesse di essere in avanzata età… ma geriatrico poi!… ma come si permettevano!
E non meno drammatico fu il suo ingresso in questo maligno polo: prelevata dalla macchina da persona estranea e fatta piombare su una sedia a rotelle, facendo lo slalom tra vecchietti d’ogni qualità, anche loro in carrozzella, con molta velocità ed efficienza fu trasportata al terzo piano, sua sede per le prossime sei settimane!!!!! La povera signora Vecchiottina, aggrappata alla mano della giovane amica, che l’accompagnava, rantolò: non mi lasciate mai in un posto così! E la cara giovane amica le rispose: «Ma che sei matta?».
Però così fu… almeno per il momento…
La poverina fu lasciata in una stanza d’ospedale, a pranzare alle 11 e tre quarti, tutta sola, davanti a un carrellino, avendo come compagna di stanza una vecchina piccola piccola come un ragnetto che con voce cavernosa si lamentava in continuazione. Ah ah… oh oh… ah ah…, faceva
Ma questo era quasi niente: il dramma era quella sorta di decalogo da capestro che le veniva imposto dal regolamento: pranzo alle 12, cena alle 18. In carrozzina per la prossima settimana. Divieto assoluto di prendere l’ascensore e scendere nella hall (nella quale aveva intravisto un bel bar) se non accompagnata. Per fare la pipì chiedere aiuto alle infermiere. Non ci si lavava se non con l’aiuto di una infermiera. Se si aveva la pretesa di spogliarsi nel primo pomeriggio per fare comodamente la pennichella pomeridiana, bisognava rimanere a letto fino all’indomani mattina alle 8. La notte proibizione di scendere dal letto!!!!!!! Le fu anche mostrato, come specialità della casa per la soluzione di ogni eventuale problema, un bel pannolone. A questo punto, fattasi furba per il terrore (il quale non sempre paralizza, evidentemente) e dicendo una bella bugia, la signora Vecchiottina evitò la… peretta!
La signora Vecchiottina tirò un sospirone e cominciò a fare mente locale. «Qui bisogna organizzarsi», ragionò e tirando fuori dal profondo dell’animo gli studi di filosofia compiuti al liceo, cominciò a sezionare il suo problema e a tirare le somme.
Per prima cosa elevò al Signore Iddio un sentito ringraziamento per averle donato la possibilità di essere una ribelle, poi Lo ringraziò di averle fatto incontrare il grande Cartesio filosofo francese del seicento e infine di averle regalato un cervello che le permettesse di mettere in pratica gli insegnamenti del suddetto noto filosofo, che la nostra signora aveva finito per considerare suo amico personale, visto che se l’era ritrovato accanto, nei momenti difficili, sempre, in questo maledetto ginepraio che è la vita.
“Cogito ergo sum”, ripetè dentro di sé la signora Vecchiottina… ERGO… Questo è il nocciolo del problema. Ergo, sottolineò dentro di sé la nostra tremolante signora… ergo… DUNQUE…
E dunque: perché si ritrovava in un postaccio così? Quale lo scopo della sua prevedibilmente lunga “permanenza” al polo? La poverina non disse la parolaccia inserita tra le due parole “polo” e “riabilitativo” così come era scritta sul fronte della struttura, anzi non la pensò nemmeno, e neanche disse “degenza” ma preferì “permanenza”. Invece andò avanti per schemi razionali!… eh sì… bisognava farsi furbi e non soccombere davanti alle parole!
Lei stava lì perché doveva fare riabilitazione… Ma anche questa le sembrò una parolaccia e la trasformò subito in “rimettere in funzione i muscoli attraverso un preciso programma di allenamento sotto lo sguardo attento di persone esperte”. «Ecco così va meglio – ragionò la signora Vecchiottina – anche se è stramaledettamente lungo… ma vuoi mettere…!». Era un po’ come per il caffé.
Per rimettere in funzione il ginocchio che era stato trattato come il tubo di scappamento di un’auto, magari adoperando un po’ di svitol, rappresentato in questo caso da movimenti passivi con l’aiuto di una macchina denominata inetech, doveva fare ginnastica secondo le direttive degli esperti.
Più ginnastica faceva più presto sarebbe fuggita dal polo. Era quasi un’equazione matematica.
La signora Vecchiottina interruppe i suoi razionali ragionamenti, infastidita da un penetrante acuto suono che bucava i timpani:
biiiiiiiiiiiiiiip…..biiiiiiiiiiiiip….. biiiiiiiiiiiip…… biiiiiiiiiiiiip.
E dall’infermiera che si trovava a passare di lì e alla quale aveva chiesto delucidazioni, venne a sapere che il fastidioso suono era quello dei campanelli dei degenti di tutto il piano ma che loro, le infermiere, non ci facevano più caso.
La signora Vecchiottina chiuse gli occhi e ripensò al decalogo da capestro!
Rapidamente… rapidamente… rapidamente doveva definire il programma per la sua sopravvivenza!
Le tornò in mente l’insegnamento di sua nonna: «Una vera signora queste cose non le fa», riacchiappò a volo tutto il suo aplomb da gran dama, cacciò via la rabbia che la stava consumando e la costernazione che la stava paralizzando, sotterrò l’ascia di guerra, si stampò sul viso un sorriso smagliante e alla fisiatra, che passava da quelle parti in quel momento, con voce ferma ma tono gentile disse: «Scusi signorina, potrebbe accompagnarmi giù nella hall?». La fisiatra chiamò l’ascensore e accompagnò la signora Vecchiottina nella hall e la lasciò lì.
…era fatta! …Questo sarebbe stato nelle prossime settimane il suo comportamento!
«Si sa – si disse la signora Vecchiottina, ricordando gli insegnamenti ricevuti da bambina – il sorriso è contagioso come il morbillo e la gentilezza è la chiave che apre le porte».
Per quel che riguardava l’orrido decalogo, avrebbe certamente trovato la maniera di ignorarlo senza che nessuno ci facesse caso e per quel che riguardava il fastidioso biiiip ci avrebbe pensato dopo.
(Mariagrazia, inviandomi il suo “sfogo”, mi chiede un giudizio su come ha elaborato la discesa agli inferi della riabilitazione post operazione al ginocchio. Lo faccio qui, molto brevemente. La sua è la testimonianza di come gli anni possano essere letti in maniera opposta. La prima, cieca e ottusa, li considera un handicap, anche della mente. La seconda, coraggiosa e fantasiosa, la sintesi di ciò che abbiamo saputo imparare per potercela cavare nella corsa a ostacoli della vita. Ma non mi avevi detto, Mariagrazia, che in quel posto non riuscivi a scrivere? Bentornata a casa, Paola).
Gli altri post di Mariagrazia sono qui.
desidero ringraziare la mia grande amica Paola ciccioli per il suo commento sul mio ‘pezzetto’! sì, ha veramente centrato il problema! sì, è vero: la vecchiaia va considerata solo un ‘piccolo inconveniente della vita’ perchè solo così si riesce a sopravvivere e ad averla vinta sugli ottusi che dall’alto della loro gioventù ( che è solo anagrafica) pretendono di domare
chi anagraficamente giovane non è più…. grazie Paola
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