«Eva era un punto fermo per me»

Eva a casa di amici qualche anno fa

Eva a casa di amici qualche anno fa

Eva, iscritta all’anagrafe di Milano col nome di Margot Berta Glassman, se n’è andata il 28 maggio. Aveva quasi 102 anni. «Era un punto fermo per me», dice Alessandro Quasimodo che con lei aveva intrecciato un legame molto speciale. L’ho raccontato, tra l’altro, sul mensile “Vivere” nel marzo 2012. Ripropongo quel testo oggi, mentre sto riordinando gli appunti sul “segno” che questa donna ha lasciato nella vita dell’attore.

Una poesia ci ha unito

Il legame tra Alessandro Quasimodo e la figlia centenaria del medico di Hitler

di Paola Ciccioli

Ha la pelle candida, le mani levigate. Sta per compiere 101 anni ma ogni volta che l’unico uomo che la spinge alla preghiera va a trovarla, si colora leggermente di celeste le palpebre. Lei si chiama Eva, lui Alessandro. Lei ha raccontato di essere la figlia naturale di Ferdinand Sauerbruch, il medico che già nel 1937 aveva diagnosticato la pazzia di Adolf Hitler. E l’uomo per il quale tiene ancora in vita la propria femminilità è Alessandro Quasimodo, una delle più belle voci del teatro italiano, figlio del premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo e della danzatrice Maria Cumani. Che storia d’altri tempi nasconde Milano. Quanta cultura, intensità e mistero si intrecciano in questo rapporto tra due creature speciali, il cui destino si è unito per caso un pomeriggio del 1998 al Pac, il museo d’arte contemporanea della città lombarda.

Racconta Alessandro Quasimodo: «Per l’inaugurazione di una mostra sul futurismo russo, ero stato invitato a leggere le poesie di Majakovskij, Esenin, Cvetaeva e Achmatova. Appena finito il recital mi si è avvicinata una creatura minuta e sorridente che mi chiede: “Posso parlare con lei?”». La donna ha un forte accento tedesco, l’attore è conquistato dal modo di parlare dell’ammiratrice. Ed ecco che, in mezzo a riflessioni sull’arte e la poesia, Eva – lei si presenta con questo nome – riferisce un particolare decisivo della biografia di entrambi. È nata a Berlino ma ha vissuto per molti anni in Svezia. E con un dettaglio conquista per sempre l’attenzione di Alessandro: la sera del 10 dicembre 1959 faceva parte del pubblico ammesso alla cerimonia della consegna del premio Nobel al poeta italiano Salvatore Quasimodo. Eva era nella Concert Hall di Stoccolma e Alessandro, invece, no. Escluso da questa decisiva tappa del percorso culturale del padre da Quasimodo stesso. Il quale, invece che con la sua famiglia, aveva scelto di condividere l’incoronazione con la segretaria. Una ferita mai rimarginata nella vita dell’attore, una frattura che ha compromesso il matrimonio tra il premio Nobel e la moglie Maria Cumani, la quale, anche per un simile affronto, decise di chiedere la separazione legale.

In un attimo, quel pomeriggio del 1998 al Pac di Milano, le emozioni tornano vive. È poi la cagnetta dell’attore, Wally, a far incontrare di nuovo Eva e Alessandro. «Posso venire a conoscere tuo piccolo cane?», chiede lei. Così, la donna minuta e sola comincia a frequentare la casa del figlio del poeta, uno scrigno di libri, quadri e testimonianze che hanno attraversato tutto il Novecento. Compreso l’orologio che Salvatore Quasimodo richiama nella poesia a lui più cara, Lettera alla madre: “Ah, gentile morte,/non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro,/tutta la mia infanzia è passata sullo smalto/del suo quadrante, su quei fiori dipinti”. Scandisce ancora le ore nel corridoio che porta alla camera di Alessandro, custode critico e appassionato di ogni frammento che abbia riguardato il percorso umano e intellettuale del padre. «Come sto bene qui non sto da nessuna parte», il commento di Eva durante le sue prime visite nella casa-museo.

L’attore descrive in che modo il legame si è fatto giorno dopo giorno più intenso: «Eva in poco tempo era diventata la dog sitter di Wally e veniva con regolarità da me per portarla a fare un giro. Questo impegno la divertiva moltissimo, anche perché le dava l’opportunità di chiacchierare con i padroni degli altri cani che incontrava ai giardinetti». Quasimodo, che ha 72 anni e continua a girare l’Italia e il mondo con i suoi recital poetici, è attentissimo ai dettagli. E una delle caratteristiche di Eva, che fin dall’inizio lo ha conquistato, era il modo in cui lei preparava i vassoietti per i pasti della cagnetta Wally: «Da manuale teutonico. Incartati e infiocchettati in modo perfetto, con le zucchine tagliate a pezzettini tutti uguali in uno scomparto, la carne trita in un altro, il riso in un altro ancora». Si telefonano spesso e, visto che Eva spiega di non poter contare su alcun legame affettivo a Milano, chiede se può lasciare il numero di telefono dell’amico alla portinaia Erminia, così da poterlo avvertire nel caso le capiti qualcosa.

Il 2 gennaio 2007, Erminia chiama per dire che la signora è caduta e si è rotta un femore. «Mi trovavo nella casa di campagna a Palazzago per trascorrere le feste. Senza alcuna esitazione presi la decisione di occuparmi di lei in modo costante e continuativo», spiega l’attore. «Arrivato all’ospedale San Raffaele, con dolcezza ma anche con determinazione mi feci giurare che si sarebbe rimessa in piedi. Non avrei mai potuto pensarla costretta a letto o su una carrozzina».

Ma cosa ha spinto quest’uomo, un estraneo, ad “adottare” un’anziana di cui in fondo conosceva ben poco? «Entrando nei silenzi della sua biografia fuori dal comune, silenzi sui quali si è sciolta poco alla volta, mi sono detto: “Un peccato che mia madre non abbia fatto in tempo a conoscerla, sarebbero andate molto d’accordo. Stessa capacità di inventarsi la vita, la loro». «Mia madre», Alessandro ha il nome di Maria Cumani costantemente sulle labbra. Proprio in questi giorni è uscito il libro Il fuoco tra le dita, edito da Abramo, che lui stesso ha curato insieme con la poetessa Mariacristina Pianta, molto vicina alla moglie del poeta premio Nobel fino alla sua scomparsa, nel 1995. Il figlio custodisce le sue ceneri nella chiesetta privata di Palazzago e ogni 22 novembre, per l’anniversario della morte, il parroco celebra lì una messa per ricordare una madre e un’artista che, in una pagina di diario datata 20 luglio 1962 (e pubblicata nel libro Il fuoco tra le dita), di se stessa ha scritto: “Sono nata fuori tempo, trent’anni prima del mio vero tempo”. Dice Alessandro: «Eva e mia madre sono accomunate da un identico modo di guardare alla vita. Entrambe sempre proiettate al domani, attente a prendere quello che l’esistenza dà di positivo».

È un ritaglio del Corriere della sera a far accelerare le confessioni di Eva sul proprio vissuto. L’amico, diventato ormai la sua famiglia, trova da lei un articolo di Ennio Caretto in cui si parla di Ferdinand Sauerbruch, il clinico a capo dell’équipe medica di Hitler. Nella pagina che aveva staccato e conservato, il nome di Ferdinand Sauerbruch era stato sottolineato. Come mai?, si chiede Alessandro. Che ricorda: «Mi sono messo a fare una ricerca su Internet sull’uomo diventato il medico di fiducia del Führer e mi è apparso un fiume di informazioni. Si parlava della perizia eseguita da Sauerbruch su Hitler nel 1937 e rimasta a lungo chiusa in un cassetto, nella quale veniva certificato che il dittatore nazista era un psicotico, affetto da deliri di grandezza. Lo si definiva pericoloso, preconizzando così la rovina della Germania».

L’amico e protettore di Eva riflette e si domanda che ruolo possa avere avuto Sauerbruch nel passato di questa donna. «Chi era tuo padre?», si decide a chiederle. E lei: «Grande medico, grande chirurgo tedesco», ammette. «Si chiamava per caso Ferdinand?» «Tu come hai fatto a scoprire questo?» Il segreto così a lungo custodito si svela. E tutti i capitoli della vita di Eva si allineano. È figlia naturale del medico entrato nella storia anche per essersi rifiutato di ricorrere all’eutanasia per i malati di mente. Come si chiami sua madre non è ancora certo, forse Helena Hsheim, come ha annotato Alessandro in un taccuino nero riempito di appunti scritti con l’inchiostro verde. Eva ha due figli, un maschio e una femmina, entrambi abbandonati in tenera età. Uno vive in Svezia, si chiama Peter Hennix, è un giornalista con la passione di fotografare farfalle e fiori. La femmina non si sa se viva ancora e l’unico dettaglio certo è che si chiama Myriam.

Un altro punto da accertare è perché all’anagrafe di Milano Eva risulti con il nome di Margot Berta Glassman. Le sue tante fughe d’amore l’hanno portata anche a Zurigo e Vienna dove, per la professione di psicanalista che ha svolto, è riuscita a entrare perfino nel circolo ristretto attorno a Sigmund Freud e alla figlia Anna. Alessandro vuole riunire la madre con i figli. Provarci, almeno. «Quando Eva ha avuto l’incidente in casa ed è stata operata, sono andato al consolato svedese per capire se attraverso il suo numero di passaporto sarebbe stato possibile risalire a qualche parente. Sì, Peter Hennix, il figlio, esisteva davvero. Gli scrissi una lettera, spiegandogli la situazione e dicendogli che se non avesse voluto saperne della madre avrei capito». Invece Peter rispose: «Questo è un miracolo. Quante notti ho trascorso senza poter dormire, incapace di fare quello che lei invece ha fatto».

Ora il figlio manda a Eva cartoline con immagini del paesaggio svedese, una volta è venuto a Milano per abbracciarla. E di Alessandro Quasimodo dice: «Per me è più di un fratello».

I  due articoli su Eva già usciti sul nostro blog:
Quella donna misteriosa figlia del medico di Hitler 
Vive a Milano la figlia del medico che diagnosticò la pazzia di Hitler

Lascia un commento