di Giovanna Musolino*
“Il fuoco tra le dita” è il titolo del libro che raccoglie poesie, riflessioni, saggi, racconti e pagine di diario della danzatrice Maria Cumani, moglie del poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo e madre dell’attore Alessandro Quasimodo. Proprio Alessandro ha curato il volume, edito da Abramo, insieme con Mariacristina Pianta.
Di seguito il testo critico di Giovanna Musolino, preceduto da una breve biografia di Maria Cumani.

Maria Cumani (Milano, 20 maggio 1908 – Milano, 22 novembre 1995). È stata sposata al poeta Premio Nobel Salvatore Quasimodo e dalla loro unione è nato l’attore e regista Alessandro Quasimodo
Maria Cumani Quasimodo, nata a Milano il 20 maggio 1908, apparteneva a una famiglia della buona borghesia meneghina; fornita di studi classici, manifestò presto una grande passione per la danza. Fu allieva della Ruscaja, in seguito ella stessa tenne corsi di danza. Nel 1936 in casa di Raffaello Giolli, suo professore di storia dell’arte, la Cumani conobbe il poeta Salvatore Quasimodo. Un incontro che fu determinante nella sua vita; dalla relazione amorosa che ne seguì nacque il figlio Alessandro. Nel 1948 Quasimodo e la Cumani si sposarono, dopo la morte della prima moglie del poeta.
Oltre che danzatrice, Maria Cumani fu coreografa, attrice di prosa e partecipò a numerosi film diretti da registi famosi come i fratelli Taviani, Fellini, Liliana Cavani, Rossellini, Dino Risi. Nel 1981 pubblicò con la casa editrice Rari Nantes un libro di versi, Improvviso un vento. Nel 1995 esce presso Spirali, L’arte del silenzio a cura di Delfina Provenzali e con la prefazione di Giovanni Raboni, Forse tutto non è stato (Casa editrice Nicolodi). Di lei hanno scritto tra gli altri Alfonso Gatto, Vittorio Sereni, Alberto Testa. Maria Cumani muore a Milano il 22 novembre 1995.
Tra le tante presenze femminili, che a vario titolo affollarono la vita di Quasimado, Maria Cumani fu indubbiamente quella che maggiormente ha inciso sulla sua vicenda umana e artistica, come si evince dalle lettere che compongono l’epistolario Lettere d’amore a Maria Cumani.
Quando conosce Maria Cumani che aveva appena ultimato il liceo classico, Quasimodo ha quasi quarant’anni e attraversa uno dei periodi più difficili della sua esistenza. Costretto a fare la vita da pendolare tra Milano e Sondrio per il suo lavoro di geometra, è inoltre assillato da gravi difficoltà economiche e dai problemi di una a dir poco complicata situazione familiare e sentimentale (vive con la moglie Bice Donetti, di recente aveva avuto una figlia, Orietta, da un’altra donna, da pochi mesi ha troncato una tempestosa e tutto sommato deludente relazione con la scrittrice Sibilla Aleramo). L’incontro con Maria Cumani significò per Quasimodo la scoperta di una nuova dimensione dell’amore e, contemporaneamente, la comune vocazione artistica conferiva al rapporto sentimentale una particolare valenza, un’aura di eccezionalità, che dà ragione dello stile sempre alto di queste lettere). E il dialogo vi è così intenso, che quasi non si avverte la mancanza delle lettere dell’altro interlocutore, tanto è dentro al discorso questo fantasma di donna così etereo e a un tempo concreto, di una concretezza fatta però della materia più spirituale: il movimento, il suono, la luce; citiamo a caso “tu fragile piegata al ritmo come cosa necessaria alla vita interiore… la tua voce orfica e marina… io amo la tua aria di luce dove tutto si muove in equilibrio”. Il fatto è che Quasimodo ha avuto fin dal primo incontro con la Cumani la certezza di essere un graziato della sorte, lui, “l’uomo di ogni pericolo”; di vivere una di quelle esperienze totalizzanti raramente concesse ai mortali.
L’epistolario citato non è infatti soltanto la storia di un amore, ma l’incontro di due sensibilità artistiche, con tutto ciò che di proficuo scambio esso comporta. Quasimodo sottopone alla giovane amica i frammenti di Saffo mano a mano che li viene traducendo, tiene in gran conto i suoi giudizi estetici: “quello che scrivi talvolta sulla mia arte è molto profondo, le tue ragioni sono puntualissime ed esatte e rivelano la rarissima qualità di poter scendere al centro della creazione poetica… tu possiedi (e non è un elogio) il ritmo della parola e della musica”.
A sua volta la Cumani influenzò la poesia di Quasimodo in quanto risvegliò nel poeta segrete rispondenze non solo emotivo-sentimentali (“voglio pensare al cuore che hai mentre danzi e scavi le braccia e il capo sollevi per donarti intera all’aria. Quel cuore io cerco”); ma anche sotto il profilo della tecnica del verso, in quanto gli rivelò i segreti della danza come numero e armonia, lo spinse a cercare nuovi e più liberi ritmi. Leggiamo infatti nella lettera che accompagna la prima stesura della lirica “L’alto veliero”, ho rotto qua e là con la metrica per lasciare la stesura originale; e l’ho rotta con le poetiche e la tradizione; Su questa identificazione donna amata /poesia, insiste più volte il poeta. E quando le prime nubi dell’ incomprensione si addenseranno minacciose sull’orizzonte di quest’amore, il poeta nell’intento di placare la gelosia della sua donna e difendere la sincerità del suo sentimento, come ciò in cui si identifica e che più nobilmente lo rappresenta, le scrive: “Mia Pucci (la Cumani veniva chiamata con questo nome dai familiari), lo sai ti amo, fuori non ci sono che ombre e cadono. La vita è con te, anche se a volte la tristezza ci vince. Conosci la mia natura, la mia poesia. E se non fosse vera avrei mentito anche con la mia anima. Ti dico ancora che la sola donna pura che sia entrata nella mia giornata fluttuante sei tu. E in te spero di salvarmi, di salvarci. Tuo Salvatore”.
Ma la crisi era destinata ad approfondirsi, vuoi per le sempre più frequenti infedeltà del poeta, vuoi perché i grandi artisti appartengono innanzitutto alla loro arte, sacerdoti di una divinità che non ammette comprimari, anche se umanamente soffrono, anzi, forse più acutamente di altri, della solitudine, che nasce dalla loro incapacità o impossibilità di vivere una normale vita affettiva.
Il libro di cui ci occupiamo stasera Il fuoco tra le dita – il poeta e la danzatrice, contiene scritti inediti di Maria Cumani: testi in prosa, lettere, racconti, monologhi ( probabilmente composti per una eventuale trasposizione teatrale ) e un diario che va dal 1936 al 1992. Da questi scritti viene fuori il ritratto di una donna dotata di eccezionali qualità creative, intellettuali e umane, animata da un insopprimibile bisogno di esprimersi attraverso quella che è stata la sua passione più grande, la danza; ma non esclusiva, in quanto ella dimostrò interesse per tutte le forme d’arte, dalla musica, alla poesia, alla pittura; a proposito di quest’ultima vi è nel libro un carteggio con alcuni dei maggiori rappresentanti della pittura del primo Novecento: Giorgio Morandi, Alberto Savinio, Gianfilippo Usellini, Aligi Sassu.
Una donna, Maria Cumani, in anticipo con i tempi: in un’epoca in cui alle donne al massimo era consentito frequentare le cosìddette Normali, frequentò il liceo classico; in un’epoca in cui lavoravano solo le donne appartenenti alle classi disagiate, ella non solo cercò sempre di lavorare (nel suo campo) ma arrivò ad affermare: “io mi stanco quando non lavoro”.
Una donna che, a dispetto di una solo apparente fragilità, seppe in tempi non favorevoli, a costo di grandi sacrifici, difendere il diritto ad affermare la propria personalità contro i pregiudizi borghesi di una società ancora attardata nei moduli del passato.
La grande tragedia della seconda guerra mondiale (c’è in queste pagine il racconto drammatico del primo bombardamento su Milano) fece inoltre maturare in lei ideali pacifisti, di cui è un nobile esempio il suo discorso tenuto al Congresso delle Donne Italiane, organizzato dal Comitato Provinciale dei Partigiani della Pace.
Il libro inizia con il racconto che la Cumani fa del primo incontro con il poeta. A sua volta Quasimodo così ricorda l’avvenimento in una lettera del 27.VI. XIV alla Cumani: “Ricordo ancora nella notte dei tigli l’urlo del leone. Il suo segno zodiacale è prossimo e sarà ventura ch’io cominci la vita intensa in questo cielo celeste”. E in altra lettera del 29/7/1936: “mia Amata, il leone ci è stato propizio. Quella sera ai giardini ci prese il cuore: era il segno buono, senza vanità, diritto per la nostra sorte”, e ancora nella poesia Delfica (la prima delle tre dedicate alla Cumani ) troviamo un riferimento alla passeggiata lungo la cinta dei Giardini pubblici, quando improvvisamente si levò l’urlo di un leone (Q. lo ritenne di buon auspicio, essendo nato il 20 agosto, sotto il segno del leone).
Il libro presenta una varietà di temi. Il più insistito è quello che riguarda la solitudine: la solitudine è meravigliosa per capirsi, per studiarsi, per ritrovarsi, per rivivere ciò che si è vissuto. Ma se nulla si vive da tempo, se il nostro vivere non è altro che un vegetare, un guardare gli altri vivere, è sentirsi isolata, sola, estranea, esclusa. È necessaria per il nostro lavoro, per costruire, per creare, ma non vogliamo essere soli quando godiamo anche di piccole innocenti gioie. “L’estate oggi mi spaventa, sì sono spaventata come un animale quando sente la morte fisica. L’estate mi fa toccare il fondo della solitudine. Sono sola, disperatamente sola, libera soltanto di fuggire da un luogo all’altro, sempre inseguita da me, aggrovigliata in me da immagini che mai più potranno essere espresse, divenire voce umana e consolare. Da tempo temevo questa triste solitudine del cuore. Il volermi spingere a non pensare alla tua vita segreta da me lontana ha operato questo. Come tutto e tutti mi siete lontani! Troppo si è scherzato con un cuore vivo”.
Il male di vivere – “Quando mi è nato il bambino ho creduto di essermi pacificata, lo amo più di me stessa, sì questo lo posso dire, ma non mi ha salvato neppure lui. È un male profondo il mio: il male di essere vivi, nel cuore nella mente nel sangue”.
La danza – “La danza mi affascinava tanto e la gioia fisica era così grande che per me la fatica non era più tale; per assurdo io mi riposavo danzando. L’anima mia inquieta, sempre in attesa di risposte, aveva quiete”. Molte sono le riflessioni su questo argomento. Alla danzatrice americana Isadora Duncan, a proposito della quale viene sottolineata l’importanza della rivoluzione da lei operata nel campo della danza, è dedicato un interessante profilo.
La natura – Una natura filtrata attraverso i sensi (il paesaggio è quasi assente): “L’odore della pioggia che già presentivo, il colore dell’aria mi hanno dato un desiderio così violento della mia campagna, che avrei urlato, come uno struggimento di piacere”, “quale profumo mi ha investita alla svolta della strada lungo la casa della mia fanciullezza. La pioggia appena caduta aveva reso il verde così lucente, fresco, intenso e come l’anima e i sensi si beavano per quel profumo che veniva al cuore da così lontani, infinitamente lontani giorni”.
La gelosia – “Perché si è gelosi? Gelosi più del pensiero dell’uomo amato che non del corpo dell’uomo? Non vogliamo che egli pensi ad un’altra donna, che la desideri vicina e compagna. Non vogliamo che egli dia a lei affetto, comprensione affettuosa, che a lei parli di sé stesso che a lei si confidi, che a lei si abbandoni. Questo non possiamo sopportare. Non possiamo sopportare un interesse dimostrato da lui a lei profondo. Se egli ci tradisce solo con il corpo e all’altra dà questa sensazione non di “amore” segreto ma di bisogno, capriccio, di richiamo fisico, noi ecco, pur soffrendone possiamo sopportarlo, ma non che egli conceda a lei o illuda lei sull’averlo anche come mente e cuore”.
Presente spesso uno struggente sentimento materno, per il piccolo Alessandro, quando non può, per varie situazioni della sua vita, essergli vicina. “Ma il mio bambino perché è lontano? io lo voglio abbracciare, voglio sentire le sue tenere delicate braccia attorno al mio collo, voglio il suo bel volto vicino al mio, contro il mio il suo respiro buono ed il suo agitarsi contro il mio petto mentre lo stringo a me e il suo profumo di capelli tiepidi così impalpabili come polvere d’oro attorno al suo bellissimo capo ed al suo sguardo. Io voglio vedere il mio bambino. Ora riposa, lo so, e la mia mamma è presso di lui. Caro, caro Alessandro”.
Per quanto riguarda la scrittura è da sottolineare la padronanza di un linguaggio che consente all’autrice di passare da analisi di grande lucidità, relative alla realtà interiore, a momenti in cui prevale un’interpretazione – o ricostruzione? – onirica della realtà. Indicativo il fatto che in queste pagine ricorre spesso la parola sogno; e “Sogni, danza, bambine”, e “Alcuni sogni” sono i titoli di due racconti. Colpisce inoltre la grande capacità di introspezione, di scandaglio psicologico (quasi da addetta ai lavori) e che non è mai astratto esercizio mentale, ma affonda le radici, talora dolorosamente, nel vissuto dell’autrice per un bisogno di conoscere anzitutto sé stessa. Da tenere presente infatti che questi scritti non si rivolgono ad un ipotetico lettore, tanto è vero che in vita, ella non li ha pubblicati.
*Giovanna Musolino, poetessa e autrice, ha presentato “Il fuoco tra le dita”alla libreria Circolo Pickwick di Messina.
AGGIORNATO IL 16 MAGGIO 2017
Molto interessante l’analisi del testo che Giovanna Musolino ha condotto
in questo suo saggio perché è riuscita ad enucleare i punti focali del
libro della Cumani.
Mi congratulo, quindi, con la dott.ssa Musolino per il valido contributo
critico pubblicato.
Mariacristiona Pianta
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Ma scusate tra Maria e Salvatore ci sono solamente sette anni di differenza anagrafica, come si spiega che al loro primo incontro la Cumani ha da poco terminato il liceo ed il poeta é quasi quarantenne?
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E’ quello che volevo chiedere anch’io, infatti c’erano solo sette anni di differenza
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