Elogio del margine di una Penelope egiziana

A Milano dall’età di 2 anni, diventa cittadina italiana

di Alba L’Astorina

Daphne Cazalet, "Scritto sulla pelle"

Daphne Cazalet, “Scritto sulla pelle”

“Nonostante il mio velo africano, la faccia da indiana-calabrese, col naso egizio e i capelli neri e crespi, il marito col turbante che da lontano potrebbe sembrare addirittura un po’ talebano, giurerò davanti a un funzionario del comune di Milano di essere italiana, italianissima, “un purosangue d’Arabia”. Verrò “naturalizzata”, cioè, riconosciuta, in termini di immigrazione, come fossi un po’ più naturale, normale, e finiranno i miei incubi più atroci dopo 29 anni vissuti a Milano e 7 di attesa da quando ho presentato la domanda di cittadinanza. 

Quindi, ad esempio, come tutti gli italiani, potrò vivere serenamente la mia disoccupazione, senza il timore di non vedermi rinnovato un pezzo di carta dal quale dipende la mia vita in Italia; oppure potrò migrare in un altro paese ancora, senza la paura di non riuscire a tornare nel posto in cui più ho vissuto, qui. Potrò votare…

Insomma, cosette di questo tipo…

Con queste parole Heba, una giovane amica egiziana, ha annunciato a me e ai suoi cari, che presto sarebbe diventata cittadina italiana. Nel suo gesto, privato ed informale ma nel contempo solenne, è riuscita a comunicare a noi tutti che non abbiamo di questi “problemi” la precarietà esistenziale che vivono alcuni loro amici, “nati sotto un accento sbagliato”; le prove a cui si devono sottoporre per dimostrarsi “degni” di viverci accanto.

Ho conosciuto Heba alcuni anni fa, al corso di italiano per stranieri organizzato dal Comitato Inquilini di Molise-Calvairate-Ponti, un quartiere a sudest di Milano. Erano i primi anni del mio trasferimento in quella zona della città dove, dall’altro lato del piazzale alberato su cui affacciavano le finestre del mio appartamento, c’era un gruppo di caseggiati di edilizia popolare abitati ormai quasi esclusivamente da stranieri.

Heba con la sua mamma Nadia, durante una festa organizzata dal Comitato Inquilini di Molise-Calvairate-Ponti

Heba con la sua mamma Nadia, durante una festa organizzata dal Comitato Inquilini di Molise-Calvairate-Ponti

Ho capito che Heba non sarebbe stata una mia alunna, quando, alla prima lezione, si è rivolta a me, in perfetto italiano, per darmi il benvenuto e affiancarmi in questa mia avventura di insegnante volontaria. Si occupava degli aspetti logistici e di pianificazione dei corsi, facendo da mediatrice tra le disponibilità delle insegnanti e le richieste delle iscritte. E insegnava anche lei italiano nei corsi serali. L’ho ammirata, perché oltre all’arabo e all’italiano, studiava anche cinese all’Università.

Nata a Il Cairo e trasferitasi in Italia con la famiglia all’età di 2 anni, compiuti i suoi 18, Heba, come tutti i figli maggiorenni di stranieri non cittadini italiani[1], ha perso il diritto di rimanervi per motivi familiari.

Heba con il fratello Ahmed, durante una delle tante manifestazioni per la pace a Milano a cui abbiamo partecipato insieme

Heba con il fratello Ahmed, durante una delle tante manifestazioni per la pace a Milano a cui abbiamo partecipato insieme

Terminati gli studi universitari, a 23 anni, ha perso anche quelli per ragioni di studio. Ha cominciato allora a cercare un lavoro che le consentisse di acquisire il permesso di soggiorno per lavoro, l’ultimo motivo che la legge le consentiva per rimanere ancora in Italia in quanto straniero maggiorenne che ha smesso di studiare. Ma, diversamente dai coetanei italiani che possono restare nell’incertezza sul proprio futuro fino a quando possono o vogliono, Heba ha dovuto fare in fretta, per evitare, dopo 6 mesi di “inattività”, di essere espulsa dal paese in cui era cresciuta e dove vive tutta la sua famiglia e la sua rete di affetti.

A quel punto è cominciata la sua lunga odissea di lavori precari, e, soprattutto, di ricerca di un lavoro stabile e di un reddito sicuro. Essendo residente in Italia in maniera continuativa da più di 10 anni, Heba aveva sì maturato il diritto di chiedere la cittadinanza italiana per “naturalizzazione”, ma a patto di dimostrare di essere autonoma, di avere un lavoro stabile e un reddito superiore al minimo di sussistenza.

Più “fortunato” è stato il fratello minore di Heba, Ahmed, nato dagli stessi genitori ma nato su suolo italiano, che ha potuto acquisire la cittadinanza, dopo averne fatta richiesta, al compimento dei 18 anni. Ma più che di fortuna parlerei di consapevolezza dei propri diritti, perché Ahmed, se non avesse manifestato esplicitamente davanti al Comune la sua volontà di prendere la cittadinanza italiana, l’avrebbe persa al raggiungimento dei 19 anni, come succede a molti suoi coetanei non sufficientemente informati.[2]

Quando ho letto l’annuncio di Heba, sono stata contenta che fosse finita la sua lunga Odissea e quella della sua famiglia. La precarietà che la mia amica ha vissuto in tutti questi anni, poggia su un diritto alla cittadinanza italiana incurante dei cambiamenti avvenuti nel paese, sia in termini demografici[3] sia nel mondo del lavoro. Una giurisprudenza che guarda al passato piuttosto che al futuro; che, come molti paesi interessati da una forte emigrazione storica, tutela di più i diritti dei discendenti di seconda, terza, quarta generazione degli italiani emigrati, che quelli degli stranieri che vivono da anni in Italia. Con conseguenze spesso drammatiche sulle vite dei giovani, che farebbero inorridire noi italiani, così inclini alla retorica della difesa della famiglia, se ricadessero sui nostri stessi figli.

Lubaina Himid, "Between the Two my Heart is Balanced", 1991

Lubaina Himid, “Between the Two my Heart is Balanced”, 1991

Nonostante le sue peripezie, Heba non ha perso la gioia di condividere con tutti gli amici che, in tempi e modi diversi,hanno costruito un pezzo della sua cittadinanza, di far partecipi tutti di questo momento “di passaggio, di svolta, un paletto in meno, una quasi libertà”.

Perché, ci ricorda Heba, la vera sostanza della sua e della nostra “italianità” non sono la casa, né il paese dove si decide di vivere, siamo noi, sono le nostre relazioni.

Non pensa però a una festa, “no, finché continueranno a esserci morti in mare, o ai confini di qualunque parte del mondo, dietro muri, o durante viaggi non più umani di persone ridotte come non vengono quasi più ridotte le bestie. 

Vorrebbe, piuttosto, fosse un “elogio del margine”, un canto, una sorta di danza della pioggia per tutti quelli che stanno ai margini di qualcosa, in solitudine, e che non tacciono e cercano e osano andare oltre per un’esistenza, una cittadinanza migliore, nonostante muri, pali, spine, ignoranze.

Allora potremmo sorseggiare un tè marocchino con biscotti danesi su di un tappeto siriano in una casa faraonica, davanti a un aperitivo milanese, magari con un’insalata russa, una crema catalana, un gatto persiano, una birra tedesca, scatole e mandarini cinesi, con un po’ di musica araba, leggera leggera, e fumando come turchi …

Porteremo, su sue indicazioni, un quadrato di stoffa della misura e del colore che vogliamo, e soprattutto un pensiero sul “margine”. Heba sarà la nostra Penelope egiziana[4].

siti utili dove trovare informazioni sul soggiorno degli stranieri in Italia: http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/immigrazione/sottotema00101/

http://www.meltingpot.org/, http://www.stranieriinitalia.it/,


[1] La legge prevede che si può diventare cittadini italiani se un proprio genitore ha la cittadinanza, status che i genitori di Heba hanno ottenuto quando lei era già maggiorenne.

[2] La legge italiana n. 91/92 sulla cittadinanza stabilisce che “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diventa cittadino italiano se dichiara di voler acquistare la cittadinanza Italia entro un anno della suddetta data” (art. 4, comma 2 L. 91/92); deve dunque presentarsi, entro i 19 anni, all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza: http://www.cittadinanza.eu/2013-07-17-14-17-40/come-fare-superati-i-19-anni-in-prefettura/167-come-fare-superati-i-19-anni-in-prefettura.

[3] Sono ormai quasi 5 milioni gli stranieri non comunitari presenti in Italia, cioè il 7,4% dei residenti italiani.

[4] ringrazio Heba e la sua famiglia per avermi consentito di raccontare la sua storia, di usare le foto che io stessa le avevo fatto anni fa, e di riportare  le sue efficaci parole, tutti in corsivo nel testo..

4 thoughts on “Elogio del margine di una Penelope egiziana

  1. molto molto bello fa ben sperare che ci sia ancora , nascosta nel profondo , la voglia di amarci l’un l’altro . In quel che ho letto ho sentito l’amore e il coraggio , la speranza e la perseveranza. cosa vuoi di più ?La fratellanza e l’amore universale, basterebbe cercarlo nei nostri cuori, rimarginerebbe tante ferite e ridarebbe un giusto volto a quello che definiamo uomo.

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