Il nuovo destino di Tefta tra libertà e pregiudizi: «voi albanesi, brutta razza. Avete anche cacciato via Madre Teresa»

di Tefta Matmuja

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Tefta Matmuja fotografata dal compagno Christian. Quella che vi proponiamo è la seconda parte del discorso che ha tenuto a Roma nel corso dell’International Women’s Workshop for the Right to Education. Nel post precedente, pubblicato il 30 agosto, Tefta ha raccontato la sua formazione scolastica in Albania durante la dittatura

Purtroppo i politici non capirono. Inesperti della libertà e a conoscenza soltanto del potere, non si preoccuparono di migliorare le condizioni economiche del popolo. Il loro impegno era solo nel prendere il potere nel modo più rapido possibile. Ma la gente chiedeva libertà ormai. Non un’altra dittatura che prendesse il posto di quella precedente, anche se insistevano nel chiamarla democrazia. La gente iniziò a soffrire le privazioni economiche ed era impaurita dal fatto che nessun politico sembrava preoccuparsene.

Iniziammo noi. I giovani, la promessa futura classe dirigente e culturale dell’Albania. Licei ed università, tutti in marcia per chiedere che fossero garantiti e rispettati i nostri diritti. Marce pacifiche, scioperi della fame, e le forze che volevano conservare il potere, perché solo a quello erano interessate, cercavano di impedire tutto questo.

Il popolo spinto dalla delusione decise di prendere le armi e di rivoltarsi contro chi aveva promesso democrazia e benessere economico.

Nel 1997 l’Albania dichiarò di essere in piena guerra civile.

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Elogio del margine di una Penelope egiziana

A Milano dall’età di 2 anni, diventa cittadina italiana

di Alba L’Astorina

Daphne Cazalet, "Scritto sulla pelle"

Daphne Cazalet, “Scritto sulla pelle”

“Nonostante il mio velo africano, la faccia da indiana-calabrese, col naso egizio e i capelli neri e crespi, il marito col turbante che da lontano potrebbe sembrare addirittura un po’ talebano, giurerò davanti a un funzionario del comune di Milano di essere italiana, italianissima, “un purosangue d’Arabia”. Verrò “naturalizzata”, cioè, riconosciuta, in termini di immigrazione, come fossi un po’ più naturale, normale, e finiranno i miei incubi più atroci dopo 29 anni vissuti a Milano e 7 di attesa da quando ho presentato la domanda di cittadinanza. 

Quindi, ad esempio, come tutti gli italiani, potrò vivere serenamente la mia disoccupazione, senza il timore di non vedermi rinnovato un pezzo di carta dal quale dipende la mia vita in Italia; oppure potrò migrare in un altro paese ancora, senza la paura di non riuscire a tornare nel posto in cui più ho vissuto, qui. Potrò votare…

Insomma, cosette di questo tipo… Continua a leggere