A lezione di immagini “velenose”

Paola Ciccioli con uno studente a Sassari.

Paola Ciccioli con uno studente a Sassari

di Maria Elena Sini

Quando quest’estate in spiaggia ho visto Paola sottolineare con l’evidenziatore giallo, come fossero dei testi di studio, i settimanali di gossip per mettere in evidenza i messaggi sessisti contenuti nella pubblicità e nell’informazione ho immediatamente realizzato che siamo così permeati dalla cultura maschilista, talmente assuefatti che non ci facciamo più caso. E ho capito che uno “sguardo attivo” che non “veda passivamente” poteva essere un punto di partenza per cambiare approccio. Nella discussione che è scaturita subito dopo su quella stessa spiaggia, tutti i presenti hanno guardato con occhi nuovi e diversi le immagini del giornale: i commenti di Paola esprimevano quello che tutti noi avevamo pensato almeno una volta, spesso però senza soffermarci a considerare la vastità della portata di un fenomeno del genere.

Sono rimasta colpita quando ho saputo che quelle osservazioni erano oggetto di un lavoro di approfondimento che Paola Ciccioli porta avanti da alcuni anni con la professoressa Chiara Volpato nell’ambito del corso di Psicologia delle influenze sociali all’Università Bicocca di Milano. Immediatamente ho intravisto la possibilità di proporre una lezione agli alunni della scuola in cui insegno per mettere in evidenza quanta violenza e discriminazione nei confronti della donna sia presente nelle immagini pubblicitarie, nell’informazione e nella televisione.

L’occasione giusta è arrivata con la celebrazione del cinquantenario della mia scuola, l’Istituto Tecnico “Salvator Ruju” di Sassari, nell’ambito della quale è prevista una serie di incontri e conferenze su temi diversi (dalla gestione dei conflitti agli interventi delle cooperative che si occupano di solidarietà sociale), e mi è sembrato che un confronto sulla decodifica delle implicazioni sessiste presenti nelle diverse forme di comunicazione in Italia fosse un tema decisamente interessante da affrontare soprattutto in una scuola frequentata in maggior parte da ragazze.

Paola ha proposto di organizzare il suo intervento partendo dalla tesina di fine corso della studentessa Stefania Rigola, intitolata “L’oggettivazione della donna nei video musicali trasmessi da MTV”. La lezione è stata preceduta da un video dell’autrice della tesina la quale ha  spiegato di aver scelto di lavorare sui video musicali perché «molti di questi hanno segnato la mia adolescenza, e di fatto posso essere considerata una testimone/ vittima di essi».

L’idea si è mostrata subito vincente per catturare l’attenzione di un pubblico formato da studenti di 18-20 anni, tutti fruitori di questo canale specializzato nella diffusione di video musicali e quindi tutti potenzialmente “testimoni/vittime” come dice Stefania Rigola.
La lezione è partita dalla spiegazione del termine “oggettivazione”, con riferimento alle sette dimensioni proposte da Martha Nussbaum, per giungere all’affermazione che l’oggettivazione della donna è una particolare forma di deumanizzazione secondo la quale alle donne è negata una propria soggettività, e nei media sono troppo spesso considerate solo per il loro utilizzo a fini sessuali o per conferire status al maschio.
Dopo questa premessa è partita la visione dei video di Christina Aguilera, Lady Gaga, Beyoncé tutti accomunati dalla presentazione della donna a rango di oggetto, protagonista di orge post-apocalittiche, vestita/svestita con abbigliamento bondage o fetish, indagata con riprese che indugiano su particolari del corpo come i glutei o la bocca e spesso ripresa nell’atto di manipolare oggetti a chiara simbologia fallica.
Quando Paola ha chiesto se i video fossero conosciuti, solo i quattro-cinque adulti presenti hanno dichiarato di non averli mai visti mentre tutti i ragazzi li conoscevano. È stata così confermata la tesi di Stefania Rigola secondo la quale i giovani sono bombardati da questo tipo di immagini che presentano la donna in modo degradante, volgare e sessista.

Interessante inoltre notare che i ragazzi hanno visto e ascoltato i video sostanzialmente in silenzio anche se si percepiva un certo mormorio che lasciava intendere che la visione, dopo la premessa iniziale, aveva smosso qualcosa.
È bastato dare loro la parola per vedere immediatamente delinearsi le posizioni: alcune ragazze hanno subito colto nelle immagini che proponevano le cantanti, spesso poco vestite e attorniate da uomini vestiti, la dimensione del “branco”; una di loro ha addirittura parlato di lupi famelici, altre invece, mostrando di aver interiorizzato delle regole difficili da sradicare, hanno sostenuto che per le donne può essere una libera scelta quella di presentarsi in modo seducente e sessualmente disinibito. Queste ragazze, inconsapevolmente vittime di una comunicazione sessista che fa aumentare la tolleranza nei confronti degli stereotipi di genere, sembrano far fatica a rendersi conto che la maggior parte delle cantanti prese a modello sono il frutto della programmazione dei manager delle varie case discografiche che creano la loro immagine, scelgono le canzoni che devono cantare, dicono loro come vestirsi e come devono comportarsi. La loro libertà è quindi limitata, sono considerate solo come un prodotto commerciale, una merce, che deve saper vendere e fruttare denaro, non si può parlare di scelta se sono trattate più come degli oggetti che come delle persone.

I maschi presenti si sono subito sentiti chiamati in causa e in più interventi hanno sottolineato di non sentirsi responsabili per una società che propone a fini commerciali dei modelli caratterizzati da una donna provocante e allusiva e un maschio muscoloso, nerboruto con atteggiamento dominante.
È certo che quello che viene mostrato nei video è finzione, ma non si può pensare che tutto ciò non abbia effetti sul modo in cui alcuni uomini considerano le donne. L’esposizione alla cultura dell’oggettivazione farà sì che i maschi tendano a trattare le coetanee con poco rispetto, prendendole in giro per il loro aspetto fisico se non somigliano a “quelle della televisione”.

Quando la relatrice ha fatto notare che tutte le donne dei video sono belle, sono truccate in modo sapiente, esibiscono seni prorompenti e glutei sodi, suggerendo l’idea che chi non ha un fisico che rispetti quei canoni non ha le carte in regola per raggiungere il successo, ci sono stati diversi interventi che hanno sottolineato come oggi numerose ragazze, anche molto giovani, facciano ricorso alla chirurgia estetica per inseguire un modello stereotipato di bellezza.
Qualcuna ha notato che nella comunicazione pubblicitaria questo modello di perfezione è sempre presente: quando si presenta una crema contro i brufoli la modella ha comunque una pelle perfetta, quando si pubblicizza una crema anticellulite la modella è magra e tonica, come se gli inestetismi non potessero trovare spazio nel nostro mondo sempre più simile ad una réclame.
Altre studentesse hanno ricordato come alla conquista di un certo tipo di avvenenza vengano anche affidate speranze di facile carriera nel mondo dello spettacolo.

Paola Ciccioli è quindi intervenuta per spiegare che gli studi condotti sull’oggettivazione hanno investigato le conseguenze sulla percezione di sé delle donne : l’autooggettivazione riduce la percezione di benessere, aumenta i sintomi depressivi e i disturbi alimentari, crea disfunzioni nelle abilità cognitive. Non è purtroppo un fenomeno privo di conseguenze ma ha vaste implicazioni che coinvolgono la sfera emotiva e relazionale.
Ha concluso ribadendo l’importanza della consapevolezza dei rischi che comporta la continua esposizione al bombardamento di immagini di donne assoggettate e sottomesse, perché solo se c’è la conoscenza si può essere liberi e solo il possesso degli strumenti di decodifica di certi messaggi favorisce l’esercizio della capacità critica e permette di difendersi da una comunicazione “velenosa” (come dice Paola), anche se apparentemente innocua.

Al termine della mattina sia io che Paola, la quale solo per amicizia ha messo a disposizione la sua esperienza in questo campo, abbiamo avuto la sensazione di aver contribuito a formare dei cittadini migliori, più sensibili e capaci di indignarsi davanti a tutte le immagini che svalutano e denigrano le donne, partendo proprio dall’istituzione scolastica. Luogo della formazione per eccellenza.

6 thoughts on “A lezione di immagini “velenose”

  1. a me sembra falso e anche pericoloso affermare che una donna “seducente” o “disinibita” sia per questo sottomessa a regole patriarcali..può essere una scelta e va rispettata..una donna bella e sensuale ha diritto di esserlo..non è un “oggetto” nè una minus habens incapace di decidere. Criminalizzare l’essere sexy (qualunque cosa si intenda) è un grave errore
    Comunque Beyoncè e Lady Gaga, la Aguilera sono artiste pop di grande successo e “forza contrattuale”, e spesso decidono loro che video fare..Lady Gaga è anche cantautrice..piaccia o meno sono artiste popolari, fanno ciò che amano e vanno rispettate per il loro lavoro..ed equiparare il bondage e il festish all’oppressione..bè nemmeno quello è vero. Che io sappia il bondage prevede consensualità

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  2. L’intervento proposto nelle scuole è rivolto ad adolescenti e ha lo scopo di spingere a riflettere e considerare un diverso angolo di visuale. Non dico che tutte le donne belle e provocanti sono sottomesse ma sottolineo che alcune delle immagini contenute nei video oggetto della lezione mostrano una donna “oggetto” che acquista senso solo in quanto si offre agli occhi degli uomini. Come ho già detto siamo talmente abituati all’uso del corpo delle donne utilizzato nella pubblicità e nell’informazione che ormai quasi non ce ne accorgiamo più e tendiamo a legittimare tutto purché sia patinato o beni impacchettato. Comunque quello che più mi premeva evidenziare è che il bombardamento continuo di immagini di questo tipo per un adolescente non è un semplice assistere ad uno spettacolo ma è un atto che ha conseguenze più vaste, ad esempio sulla percezione di sé delle ragazze che non si sentono adeguate a quei modelli di perfezione, e che crea quell’insicurezza che sfocia nei disturbi del comportamento alimentare e nella ricerca del “ritocco” già in giovane età. Non sto parlando di un immediato meccanismo causa/effetto ma non bisogna sottovalutare il problema. Non intendo condurre una crociata moralizzatrice nei confronti di immagini con esplicito contenuto sessuale, sono convinta che persone adulte e consenzienti possano scegliere le pratiche che desiderano, diverso è riflettere sul fatto che questi video sono a disposizione di adolescenti la cui vita di relazione può essere influenzata da questi contenuti senza che loro abbiano la maturità e gli strumenti per rapportarsi ad essi. Credo che ragionare, discutere e confrontarsi per cercare di capire sial’unico modo per poterscegliere senza subire.

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  3. Infatti ho detto che non c’è un immediato rapporto causa/effetto, ma confrontarsi con certi modelli contribuisce a creare depressione, insoddisfazione, problemi di identità e non ultimi disturbi alimentari……

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