Nell’antro magico dell’inavvicinabile Madame Destouches

di Delfina Provenzali*

Madame Destouches in una foto contenuta nel libro

Madame Destouches in una foto contenuta nel libro

Il giorno dopo riprendo il cammino.

Montparnasse, Vanvera-Malakoff, Clamart, Meudon-Bellevue, Café Céline, la Maison. Sono le 12,15, in tempo per veder sfilare gli allievi che smettono le lezioni alle 12,30. Come il mattino prima, più che sedermi, mi lascio cadere sulla panca. Oggi la porta è aperta e, anche a distanza, posso osservare, a tutto tondo, Madame. La prima impressione è di trovarmi davanti a una donna di gran classe, dotata di una forte presenza: non la si direbbe francese, ma russa, romena o comunque dell’Est. Ha fronte assai spaziosa, zigomi alti, sporgenti, occhi azzurri, viso che potrebbe definirsi triangolare. I capelli sono rosso tiziano, sollevati e legati a crocchia, come usano le danzatrici, sull’alto della nuca.

Il collo è da cigno, perfetto, il profilo ricorda la Dama del Pollaiolo. Snella, minuta, con un potere di concentrazione tale da saperlo infondere alle allieve che, quasi ipnotizzate, ne seguono i movimenti. Altrettanto sa rilassare, in un abbandono al ritmo, alla musica, con quel volteggiare nell’incenso, quanti desiderano perdere peso. Alle 12,30 il pavillon si svuota e:

«Bonjour Madame… et alors… votre silhouette?» 

Il votre silhouette mi giunge preciso come una freccia. La seguo lungo il sentiero che scende verso casa e mi precede in una grande stanza, definibile ‘soggiorno’; si scusa di doversi assentare qualche minuto per la doccia, dà qualche suggerimento ad Agnés e scompare. Sola, rimango attonita dinanzi a una voliera di fili di rame, alta fino al soffitto e dal diametro, alla base, di circa due metri; è brulicante di uccelli d’ogni specie: dai pappagalli ai corvi indiani ai canarini. La voliera è a sinistra entrando; di fronte un tavolo lungo, una fratina, e una poltrona di vimini con lo schienale alto a forma di ruota di pavone. Tutto attorno un bazar di oggetti, i più disparati e impensabili: paralumi senza lampadine e lampadine senza paralume, piccoli flaconi di acqua di colonia vuoti, sveglie senza lancette, abat-jour con dipinti velieri e, lungo le pareti, sgabelli, cuscini, materassi ricoperti da stuoie rosse e arancione. E ancora, sempre sparpagliati, oggetti di ferro, d’ottone, il cui uso mi è tutt’oggi incomprensibile.

Riappare avvolta in un largo accappatoio bianco, i capelli stretti da un nastrino in velluto viola, il viso rilassato, quasi ieratico. M’invita a sedermi davanti a un tavolino basso, un dieci centimetri da terra, le gambe incrociate all’orientale. ‘Celestina’ ci porta subito il pranzo: Madame infatti ha poco tempo, l’intervallo fra una lezione e l’altra è di due ore. Sul tavolo vengono poste diverse ciotole: mais, gamberetti, riso, insalata mista. Niente vino, niente acqua: solo tè addolcito con miele.

«Et… à Paris… tout va bien?…»

«Où est-ce que vous avez trové à vous loger ici?»

«Est-ce que vous etes marine?… des enfants?»

Libro Delfina ProvenzaliE, in un susseguirsi di domande brevissime, non mi dà neppure il tempo di rispondere. Certo segue un filo sotterraneo, ma in un circuito difficile da percorrere; balza da un argomento all’altro, da una situazione all’altra, in modo anacronistico, dando l’impressione di volersi tenere lontana dal nucleo, dal entro di un discorso imminente e inevitabile. Soltanto a metà pranzo incomincia, in cerchi più stretti, a porre interrogativi che sfiorano il ‘nocciolo’. Si informa sul mio lavoro di chimica, di biologa…

«Et votre mari?» «Il est ingénieur conseil…» rispondo.

Il fatto che mio marito non sia né scrittore, né regista, pare rasserenarla. Un attimo di sosta. Si volge ad Agnés e la prega di aprire la voliera; per me, da una parte, è la salvezza, ritardare ancora il momento della verità, dall’altra, le déluge.

Uccelli di tutte le razze e colori si riversano, come grandine, sulle nostre teste, sulle scodelline di mais, si aggrappano ai capelli, si posano sulle spalle.

«Ne vous inquietée pas… ils ne font pas mal… ils sont très gentils!».

Non ‘mi inquieto’, ma Totò, un pappagallo di notevoli dimensioni e dalle piume svarianti dall’azzurro al turchese, al viola, non mi lascia un minuto: tranquillo, condivide il mio mais.

«Et… etes-vous… écrivain?»

rompe il silenzio, se quello poteva chiamarsi silenzio.

«Oui… poète».

*Il brano è tratto da “Incontro Madame Destouches” di Delfina Provenzali (Vanni Scheiwiller, Milano 1977). E’ un libro speciale per varie ragioni. La prima è che l’autrice e il marito Piero ne hanno fatto stampare soltanto 300 copie da donare agli amici. La poetessa e traduttrice (Palermo 1920, Milano 2002) racconta come è riuscita, con tenacia e fantasia, a farsi ricevere dalla danseuse Lucette Destouches Almansor, l’inavvicinabile vedova di Céline, per ottenere da lei l’autorizzazione a pubblicare il pamphlet “Mea Culpa”, riprodotto in questo preziosissimo volumetto. Che ho il privilegio di avere, autografato da Piero Provenzali, conosciuto grazie ad Alessandro Quasimodo.

(Paola Ciccioli)

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