Netanyahu ha sciolto il “gabinetto di guerra” ma a Gaza la mattanza dei palestinesi continua

Benjamin Netanyahu ha annunciato oggi – lunedì 17 giugno – di aver sciolto il “gabinetto di guerra”, costituito dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023. Dall’organismo è uscito 9 giorni fa uno dei 6 membri, Benny Gantz, il principale opppositore del primo ministro israeliano che accusa Netanyahu di mettere i proprio interessi davanti a quelli del Paese e di non avere una strategia su questa carneficina che ha già causato la morte di circa 37 mila palestinesi.

Il libro di Marco Travaglio, Israele e i palestinesi in poche parole (PaperFirst, 2023) – di cui proponiamo un estratto – è uno strumento di consultazione indispensabile perché in modo asciutto aiuta a districarsi negli accadimenti della «Guerra dei Cent’Anni israelo-palestinese», fino all’operazione “Alluvione Al Aqsa” di Hamas del 7 ottobre e alla reazione “Spade di Ferro” israeliana che ha assunto i contorni di una “vendetta collettiva” contro la popolazione civile di Gaza.

Foto da Haaretz

di Marco Travaglio

Le due mattanze. Lì, sul fronte Nord cisgiordano, il governo Netanyahu tiene dislocati 26 battaglioni dell’esercito, lasciando senza bussola i servizi segreti (un tempo i migliori del mondo) e sguarnito il fronte Sud di Gaza, presidiato da appena due compagnie di reclute e dalla polizia locale. Hamas per Netanyahu non è più un’emergenza: il governo nel 2003 interrompe le intercettazioni sui suoi capi per “non sprecare risorse”. E proprio sul fronte Sud, alle 6,30 del 7 ottobre 2023, all’indomani del cinquentennale della guerra del Kippur, mentre Israele festeggia il Simchat Torah (“Gioia della Torah”), Hamas sferra l’operazione Alluvione Al Aqsa: 2.500 terroristi s’infiltrano da Gaza in Israele, sfondando il confine a bordo di furgoni, camioncini, moto, persino deltaplani e parapendio. E colpiscono vari kibbutz ai confini della Striscia e un rave party. Lo Stato ebraico viene colto totalmente impreparato, esattamente come nel Kippur di 50 anni prima e malgrado gli allerta dei servizi egiziani e americani su un pericolo imminemte da Gaza. È una mattanza, un progrom, la più grave strage di civili mai subita da Israele: circa 1.400 assassinati in un giorno (compresi molti bambini, ragazzini e donne) e 239 ostaggi.

Foto di Paola Ciccioli

Netanyahu, giunto ormai al capolinea, proclama lo stato di guerra, come non accadeva dal 1973. Tenta di ricompattare il Paese che lui stesso ha spaccato, con un governo di unità nazionale a cui aderisce Benny Gantz. E scatena su Gaza l’operazione Spade di Ferro: un assedio con lanci di missili indiscriminati, raid aerei e incursioni via terra, via mare e via cielo, che sa tanto di rappresaglia decisa in preda all’ira, di “vendetta collettiva” contro la popolazione, visto che i capi di Hamas sono quasi tutti all’estero, fra il Qatar e la Siria. I bollettini dell’Onu basati sui dati del ministero della Difesa di Gaza (governo Hamas) sono terrificanti: 11 mila palestinesi uccisi, di cui 4.500 bambini e 27.500 feriti nei primi 45 giorni; il 50% delle case distrutte; oltre un milione di sfollati (circa metà della popolazione) in fuga verso la parte Sud della Striscia e il deserto del Negev; catastrofe umanitaria e sanitaria; aiuti alimentari col contagocce (le frontiere con l’Egitto e con Israele sono sigillate, salvo qualche sporadico varco). Intanto Hamas, tutt’altro che indebolito, continua imperreto a colpire lo Stato ebraico: quasi 15 mila razzi in sei settimane. E ottiene due degli scopi che si proponeva con il progrom: il congelamento dei nuovi Accordi di Abramo fra Israele e l’Arabia Saudita e una guerra aperta con lo Stato ebraico nella giungla di Gaza.

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